Tutti pazzi per il Punto Banco: ecco perché il Casinò di Venezia piace tanto ai giocatori cinesi

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​​​​«Evvai!». Con gli amici confabula in mandarino ma gli scappa di esultare in italiano quando le carte gli girano bene e raccoglie il gruzzoletto di fiches, ora raddoppiato, che aveva poggiato sul panno verde puntando contro il banco.

Per capire la passione dei cinesi per il gioco bisogna lasciarsi alle spalle gli spazi che ospitano le oltre 600 slot machines, dove pure non disdegnano di cercare le combinazioni vincenti, e raggiungere la sala del Casinò di Ca’ Noghera, a Tessera, dedicata ai tavoli.

Sono a quelli della roulette e del black jack dove si mescolano ai giocatori italiani, ma è soprattutto ai tavoli a semicerchio del Punto Banco che si affollano tentando la fortuna nella notte del Capodanno cinese che celebra l’ingresso nell’anno del serpente.

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Sono le 11 di sera e mentre il banchiere si prepara a far scivolare le carte dal sabot è inutile azzardare una battuta per alleggerire l’attesa che si scioglierà in bronci, silenzi, il fruscio delle fiches nelle mani che indugiano per la prossima giocata: scommettere sul “Punto”, sul “Banco”, o sul “Pareggio”? Ci scuseranno gli addetti ai lavori, ma giusto per rendere l’idea: il Punto Banco è un gioco che assomiglia al 7 e mezzo che si gioca nelle osterie venete, solo che a vincere sono i punteggi 8 e 9. Semplice, veloce. Fortuna senza strategia.

L’allestimento per la danza del dragone, tradizione del Capodanno cinese

La mappa dei clienti racconta di ristoratori veneziani, commercianti padovani, imprenditori lombardi e toscani, con macchine di impresari tessili che arrivano cariche di connazionali da Prato. E se ai tavoli è difficile approcciare un dialogo, meglio spostarsi negli spazi comuni, come l’area fumatori, dove la solidarietà che accomuna i perdenti permette di scalfire la diffidenza.

Eccolo, allora, il contoterzista della Riviera del Brenta, titolare di un piccolo tomaifico avviato in un capannone tra i campi quando dieci anni fa è arrivato da Wenzhou, che si rilassa con due boccate di fumo: «Io vengo una volta a settimana, più o meno. Lavoro tanto, e qui mi diverto».

Sull’entità delle giocate è meglio non sbilanciarsi troppo: «Dipende». Il tempo dell’ultima boccata e si torna a giocare.

Farli sentire a casa

Anche lui: Punto banco. Qualche volta le slot, con il pollice: sì perché, chi si registra può decidere di accedere tramite l’identificazione dell’impronta digitale e così sempre sul pollice gli verranno caricati i soldi che, sempre poggiando il pollice, potrà giocare alle slot. Lanterne rosse al soffitto dell’ingresso, un gruppo folkloristico che passa da una stanza per la danza del drago e del leone issando in alto con un bastoni la grande testa di cartapesta, i tornei dedicati con 140 iscritti.

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Non è un caso che il Casinò di Venezia, il cui ultimo bando per la ricerca di addetti all’accoglienza richiede la conoscenza della lingua cinese da parte dei candidati, stia spingendo il marketing rivolto alla clientela cinese.

Riccardo Ventura, il presidente della casa da gioco, con sede a Tessera (più pop) e Ca’ Vendramin Calergi (più nobile), ridimensiona le stime circolate nei giorni scorsi, ma i numeri che fornisce non sminuiscono la portata di un fenomeno sul quale vale la pena interrogarsi: tre clienti su dieci sono cinesi, ma poiché sono per la maggior parte giocatori forti, il loro impatto sugli incassi è percentualmente molto più alto. Considerando che nel 2024 il Casinò ha incassato 117 milioni assicurando al Comune di Venezia, che ne è unico proprietario, entrate per circa 20 milioni di euro, basta fare un po’ di conti.

Sulla comunità cinese bisogna puntare

«Non c’è dubbio che per noi sia una clientela molto importante e che vogliamo coccolare», spiega Ventura, «composta da imprenditori del commercio e della manifattura che arrivano soprattutto dal Veneto ma anche da altre regioni come la Lombardia e la Toscana (più a nord c’è la concorrenza di Nova Gorica, ndr) e il nostro obiettivo è organizzare momenti di socialità che valorizzino l’esperienza del gioco in presenza che non può essere paragonato al gioco online. Già da un paio d’anni, per esempio, organizziamo i tornei di Punto Banco».

La concorrenza dell’online inizia a far un po’ di paura. E va infatti nella direzione di contrastarla l’iter che la casa da gioco sta avviando – a presentare la domanda deve essere la proprietà e quindi il Comune di Venezia – per ottenere dal ministero dell’Interno l’autorizzazione a un gioco di dadi chiamato sic-bo. Gioco molto popolare in Asia – tra i più gettonati al Casinò di Macao – ha accompagnato la diaspora cinese nelle migrazioni negli Stati Uniti e in Inghilterra, dove da anni è presente nelle case da gioco.

Due considerazioni sui motivi della proverbiale passione cinesi per le scommesse.

La prima è che il divieto di gioco d’azzardo imposto dal regime cinese ha sortito l’effetto contrario. La seconda è che «tra gli imprenditori cinesi il gioco d’azzardo è un momento di socialità, utile anche per consolidare relazioni e fare affari» dice Marcello Feraco, dell’associazione Passacinese che a Venezia si occupa di promuovere la cultura cinese.

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Feraco è a contatto soprattutto con ragazzi e ragazze della terza generazione. «Non dobbiamo dimenticare che a giocare sono imprenditori con buona disponibilità di denaro, di solito della prima o seconda ondata e, dal nostro osservatorio», rileva, «questa tendenza al gioco sta scemando tra le giovani generazioni le cui abitudini sono, per semplificare, le stesse dei loro coetanei italiani: videogiochi e manga».



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