Trump-Bibi, sul tavolo il futuro della tregua

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Tregua e governo a Gaza, Iran, annessione della Cisgiordania a Israele, il «nuovo» Medio oriente. Donald Trump e Benyamin Netanyahu discuteranno di questo e altro durante il lungo colloquio che avranno oggi. Il premier israeliano – che ha allungato fino a sabato prossimo la sua permanenza degli Usa – è il primo leader straniero che il presidente americano incontra a Washington dall’inizio del suo secondo mandato. Il viaggio di Netanyahu avviene in un momento cruciale. I negoziati sulla seconda fase del cessate il fuoco di Gaza dovevano cominciare ieri a Doha. Invece sono fermi al palo. Se i colloqui in Qatar fallissero, Israele potrebbe riprendere la sua offensiva militare nella Striscia tra un mese.

In Israele si tende a credere che Netanyahu farà di tutto per convincere Trump – in apparenza a favore dell’attuazione della fase 2 e 3 dell’accordo di tregua tra Israele e Hamas – che la guerra sia l’unica «soluzione». Haaretz scriveva ieri che il premier vuole assicurarsi il pieno appoggio degli Stati uniti allo «sradicamento» di Hamas da Gaza nonostante non siano serviti a raggiungere questo obiettivo 15 mesi di attacchi e bombardamenti a tappeto (a pagarli sono stati i civili). Una fonte ad alto livello ha detto al quotidiano che Israele non adempierà ai suoi impegni nella seconda fase del cessate il fuoco – che prevede il ritiro dall’esercito da Gaza e dal corridoio di Filadelfia – senza ottenere questo risultato. Neanche di fronte alla disperazione dei famigliari degli ostaggi israeliani che saranno liberati nella seconda fase. La prima (42 giorni, con scambio di prigionieri) prevede il rilascio di 33 dei 97 ostaggi. Hamas ha già detto che non restituirà gli altri 64 (non pochi dei quali morti) se Israele riprenderà la guerra e non si ritirerà da Gaza.

Il piano B di Netanyahu è rinunciare alla guerra per ottenere l’appoggio di Trump all’inclusione del più potente dei paesi arabi, l’Arabia saudita, negli Accordi di Abramo (la normalizzazione delle relazioni tra Israele e arabi dimenticando i diritti dei palestinesi), al riconoscimento della «sovranità» israeliana su tutta o su larghe porzioni di Cisgiordania palestinese, e a una posizione comune sull’Iran. Al governo israeliano non sono piaciute le indiscrezioni che vogliono l’Amministrazione americana ben disposta nei confronti di una soluzione negoziata dello scontro sul nucleare con l’Iran e a rinunciare alla linea della «massima pressione» su Teheran attuata da Trump durante il suo primo mandato.

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Alcuni media israeliani affermano che nell’agenda dell’incontro di oggi c’è anche l’idea avanzata da Trump di «ripulire Gaza» e di «trasferire» la sua popolazione «nel breve o nel lungo» in Egitto e Giordania. L’opposizione di Amman e Cairo e di altri paesi arabi e le critiche internazionali a questa pulizia etnica mascherata non hanno convinto il tycoon a fare retromarcia. Anzi, scriveva ieri Israel Hayom, quotidiano vicino al governo Netanyahu, non si tratta più solo di una idea, piuttosto è un piano vero e proprio che l’inviato Witkof ha illustrato agli israeliani. Svuotando la Striscia di un numero significativo di abitanti, la Casa Bianca ritiene di poter conciliare la fine della guerra con il desiderio del governo Netanyahu di non vedere il movimento islamico alla guida di Gaza. Secondo il punto di vista americano, spiega Israel Hayom, «quando non ci saranno più residenti nella Striscia di Gaza (o ce ne saranno molti meno rispetto ad ora), neanche Hamas potrà controllarla».

Il piano Trump non piace solo a qualche ministro e deputato in Israele. A guardarlo con favore e interesse è la maggioranza della popolazione, stando a un sondaggio dell’istituto JPPI Israel Index di Gerusalemme. Sette israeliani su dieci credono che «gli arabi di Gaza dovrebbero trasferirsi in un altro paese». La maggior parte degli israeliani ebrei ritiene che questo sia un «piano pratico, che dovrebbe essere perseguito», altri sono scettici e lo considerano «impraticabile». Solo il 3% degli israeliani ebrei intervistati considera il piano di Trump «immorale». Ad opporsi nettamente a questa soluzione sono solo i palestinesi con cittadinanza israeliana.

In ogni caso, qualsiasi piano e idea di «trasferimento» si scontra con la determinazione dei palestinesi a non abbandonare la loro terra e a non lasciarsi sedurre da chi potrebbe esortarli a «rifarsi una vita in un altro paese». Un segnale preciso di ciò giunge proprio dall’Egitto, dove si trovano non pochi dei circa 100mila palestinesi riusciti a scappare dalle bombe che cadevano su Gaza. «Noi, gente di Gaza, possiamo vivere solo a Gaza», ha detto Shuruq, una giovane, all’agenzia Reuters. «Gaza è la nostra terra e non è lui (Trump) a controllarci…È la nostra terra, la lasciamo e ci torniamo quando vogliamo», ha aggiunto Fares Mahmud, un altro gazawi al Cairo.



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