sulle droghe violato un principio costituzionale. Non si può punire una condotta inoffensiva

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La recente riforma dell’articolo 187 del Codice della Strada è terreno fertile per questioni di spessore costituzionale. L’intervento legislativo, che ha eliminato la condizione di “alterazione” dagli elementi costitutivi della fattispecie – ora rubricata semplicemente come “guida dopo l’assunzione di sostanze” – si pone in aperto contrasto, tra gli altri, con il principio di offensività del reato. Tale principio, sintetizzato nel brocardo “nullum crimen sine iniuria”, trova il suo fondamento costituzionale negli articoli 13, 25 e 27 della Costituzione e afferma che il legislatore non può prescindere, nella configurazione dei reati, dal necessario collegamento con un’offesa – o la messa in pericolo – a un bene giuridico meritevole di tutela penale.

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L’offensività

Sul piano dell’applicazione pratica, il principio di offensività opera su due distinti livelli: come canone di politica criminale per il legislatore (offensività in astratto) e come criterio interpretativo-applicativo per il giudice (offensività in concreto). Nel primo caso, impone al legislatore di configurare fattispecie penali che contemplino la lesione o la messa in pericolo di beni giuridici costituzionalmente rilevanti. Nel secondo, richiede al giudice di verificare che il fatto storico abbia effettivamente leso o posto in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma. Il legislatore ha optato per un approccio che prescinde dalla verifica dello stato di alterazione psicofisica del conducente, configurando la mera assunzione di sostanze come elemento sufficiente per l’integrazione della fattispecie penale. La ratio dichiarata della riforma si fonda su esigenze di semplificazione probatoria e di potenziamento dell’efficacia deterrente della norma. Il legislatore ha inteso superare le difficoltà pratiche legate all’accertamento dello stato di alterazione, optando per un modello di incriminazione basato sul dato oggettivo dell’assunzione di sostanze, rilevabile attraverso gli screening tossicologici. Sono diversi i profili di aperto contrasto tra la nuova formulazione dell’art. 187 C.d.S. ed il principio di offensività. In primo luogo, la norma, nell’ancorare la punibilità alla mera presenza di tracce di sostanze nell’organismo, recide il necessario nesso tra condotta e offesa al bene giuridico tutelato. Il bene giuridico protetto dal Codice della Strada è infatti la sicurezza della circolazione stradale, che può essere messa a repentaglio solo da una effettiva alterazione delle capacità di guida del conducente. Opinare diversamente sottolineerebbe criticità anche in punto di ragionevolezza del precetto in esame: sul piano della capacità di guida, non sussiste alcuna differenza tra un conducente che, pur positivo al test, non presenta alterazioni psicofisiche, e un conducente che non ha mai assunto sostanze e si trova nel medesimo stato di lucidità.

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Solo tracce, niente effetti alteranti

La presunzione assoluta di pericolosità introdotta dalla riforma risulta priva di fondamento empirico-scientifico. È infatti ampiamente documentato che la mera presenza di tracce di sostanze nell’organismo non implica necessariamente un’alterazione delle capacità psicofisiche del conducente. Questo è particolarmente evidente nel caso di assunzioni risalenti nel tempo, allorquando permangano tracce nell’organismo sebbene gli effetti alteranti siano completamente esauriti. Il principio di offensività risulta violato anche nella sua dimensione concreta, privando il giudice della possibilità di valutare l’effettiva lesività della condotta nel caso specifico. L’automatismo creato tra assunzione e reato impedisce quella necessaria verifica del “minimum di offensività” che, secondo la giurisprudenza costituzionale, deve caratterizzare ogni fatto penalmente rilevante, anche nei reati di pericolo presunto.
Tale costruzione normativa trasforma di fatto l’art. 187 C.d.S. in uno strumento di controllo di condotte meramente sintomatiche di un determinato stile di vita, allontanandosi dalla sua funzione costituzionalmente legittima di tutela della sicurezza stradale. La norma finisce così per punire non già una condotta pericolosa per la circolazione stradale, bensì l’assunzione pregressa di sostanze in sé considerata, trasformando surrettiziamente un reato di pericolo in un illecito di mera disobbedienza.

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