Suicidio Sylla, un anno dopo: i Cpr continuano a uccidere

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È trascorso un anno dal suicidio di Ousmane Sylla, guineano di 22 anni, nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) romano di Ponte Galeria dove era recluso. Arrivava dal centro di Trapani, Sylla, e secondo un rapporto della psicologa del Cpr siciliano sarebbe dovuto essere trasferito in un’altra struttura idonea ai suoi bisogni e al suo disagio. Ma la storia è andata diversamente: la segnalazione della psicologa è rimasta inascoltata, a gennaio 2024 il Cpr di Trapani è andato a fuoco e tutti i migranti detenuti, Sylla compreso, smistati in altri Cpr della penisola. A febbraio, il giovane è stato così mandato nella struttura romana. Il resto della storia, purtroppo, è noto.

La medesima sorte è toccata ad agosto a Belmaan Ousama, giovane morto nel Cpr lucano di Palazzo San Gervasio in circostanze non ancora chiare. «Nell’ultimo anno la situazione nei centri non è migliorata» denuncia all’Atlante il dottor Nicola Cocco, medico infettivologo che ha visitato i Cpr di tutta Italia. «Permangono degrado, violenza e abbandono».

«In diversi centri si sono strette delle collaborazioni con gli psichiatri delle Asl» denuncia Cocco, «Gli psichiatri lavorano nei Cpr perché le richieste aumentano». Eppure, secondo la direttiva Lamorgese, le persone con problemi di salute mentale non sono idonee alla vita in comunità. «La presenza degli psichiatri nei Cpr normalizza la malattia mentale nei centri. È in corso una deriva manicomiale» commenta il medico, «la sommatoria di detenzione e psicofarmaco fa manicomio, non detenuto felice».

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L’appello ai medici lanciato dopo la morte di Sylla dalla Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) e altre associazioni per invitare i medici a dichiarare l’inidoneità alla vita nel Cpr è stato accolto con moderato entusiasmo. «L’accoglienza è stata tiepida e ha raggiunto a fatica il sud Italia», commenta Cocco. Eppure, l’Appello per una presa di posizione sui rischi di salute per i migranti inerenti all’accordo con l’Albania di Medici Senza Frontiere e altri è stato sottoscritto anche dalla Federazione Italiana degli Ordini dei Medici (FNOMCeO). Filippo Anelli, presidente della Federazione, ha dichiarato al Manifesto che «il ruolo dei medici non è la selezione ma la cura», e che le stesse considerazioni sul ruolo del personale medico in Albania valgono anche per i Cpr sul suolo italiano, dove è il medico a stabilire “l’idoneità alla vita in comunità ristretta”.

Trattenuti 2024: un rapporto sull’alto costo economico dei Cpr

Secondo “Trattenuti 2024”, rapporto redatto da ActionAid insieme al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari, sono 50.000 le persone straniere che tra il 2014 e il 2023 sono state detenute nei dieci Cpr italiani. Nel 2023 sono state rimpatriate il 10% delle persone recluse. «Una politica che ottiene il 10% dei risultati attesi è inammissibile, a meno che non si riconosca che l’obiettivo non è quello esplicito del rimpatrio, ma è quello di assimilare le persone migranti ai criminali, erodendo le basi del diritto d’asilo e del sistema di accoglienza» ha commentato Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni di ActionAid.

Le spese sostenute per tra affitto e amministrazione sono altissime: il Cpr di Torino (chiuso nel 2023, e che a breve riaprirà, dove nel 2021 si suicidò un altro guineano, il ventitreenne Moussa Balde) è costato più di 3 milioni di euro di solo affitto. Le spese dell’anno 2022-2023 di Ponte Galeria arrivano a quasi 6 milioni. Secondo lo studio, l’intero sistema nel biennio 2022-2023 ha toccato la cifra di 39 milioni di euro, la spesa media di una struttura detentiva arriva fino a 760 mila euro, quella di un posto quasi 29 mila euro all’anno.

Non ci sono aggiornamenti sulla spesa di psicofarmaci, che secondo un’inchiesta di Altreconomia del 2023 sul Cpr di Ponte Galeria era pari al 51% della spesa totale dei farmaci.

Aveva fatto discutere la storia di Camelia, ripresa dalle videocamere della trasmissione “100 minuti” che la mostravano in un’evidente stato di disagio, certamente non “idonea alla vita in comunità”, eppure lì rinchiusa per nove lunghi mesi e, probabilmente, continuamente sedata. Solo grazie alla richiesta esplicita della Corte europea per i diritti dell’uomo, che aveva fatto pressioni al governo, Camelia non è più detenuta a Ponte Galeria. «Oggi sta meglio, ha ricominciato a parlare con le persone» racconta il dottor Cocco «Questo dimostra che i Cpr davvero non sono adatti a chi soffre di disturbi mentali».

A un anno dal suicidio di Sylla, la situazione non solo non è quindi migliorata ma è peggiorata, perché «la detenzione amministrativa si è spostata, è stata esternalizzata in Albania. È diventata il modello. Il quadro europeo sta peggiorando» conclude Cocco. «I Cpr sono il tombino da cui è uscito fuori il razzismo sistemico della nostra società. E il razzismo sistemico è diventato istituzionale».

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