Una relazione «molto buona». Anche senza la conferma della Casa Bianca, e pure nel contesto dello storico sostegno di Washington per Israele, il legame fra Donald Trump e Benjamin Netanyahu è fra i più stretti che un premier dello Stato ebraico possa sperare di avere con un presidente americano. Oggi il premier è stato infatti il primo leader straniero a incontrare Trump da quando è tornato alla Casa Bianca due settimane fa, un giorno dopo essersi assunto il merito del cessate il fuoco fra Israele e Hamas. Con Netanyahu «siamo amici da molto tempo, e facciamo un grande lavoro, siamo una combinazione imbattibile», ha detto Trump al termine dell’incontro con il premier israeliano. Che ha risposto: «Io ho tre obiettivi, non uno, non due, tre obiettivi e ho trovato risposta a tutti e tre. Penso che il presidente ci può aiutare in modo enorme», ha aggiunto Netanyahu, senza tuttavia precisare quale siano questi obiettivi. Salvo aggiungere: «Sono per la liberazione di tutti i nostri ostaggi e il raggiungimento di tutti i nostri obiettivi di guerra, compresa la distruzione di Hamas».
Sempre a margine del vertice alla Casa Bianca, Trump ha ribadito la sua idea che i palestinesi non dovrebbero tornare a Gaza. «Non credo – ha detto al termine del bilaterale – che la gente dovrebbe tornare a Gaza. Io penso che Gaza è stata molto sfortunata con loro, hanno vissuto l’inferno. Come stare all’inferno. Gaza non è un posto perché la gente ci viva, e la sola ragione per cui vogliono tornarci, e lo credo con forza, è perché non hanno alternative». Trump ha poi detto che «con denaro di altri Paesi che vogliono finanziare qualcosa in Giordania o in Egitto si possono costruire non una ma quattro o cinque aree, con alloggi di gran qualità e una bella città, dove si possa vivere e non morire». Perché, ha ribadito, «Gaza è una garanzia di morte».
Al primo posto nell’agenda dei colloqui era proprio la seconda fase del negoziato sul post-conflitto, per la quale Trump ha proposto di trasferire l’intera popolazione di Gaza in Egitto e Giordania. Una posizione dalla quale il presidente Usa non ha indietreggiato, nonostante sia Amman che il Cairo l’abbiano liquidata come impossibile. Anche oggi Steve Witkoff, inviato Usa per il Medio Oriente, ha ribadito la convinzione che la ricostruzione dell’enclave potrebbe richiedere dai 10 ai 15 anni, e che i rifugiati che tornano alle loro case «si voltano e se ne vanno».
Netanyahu si ritrova dunque nello Studio Ovale con un capo della Casa Bianca disposto a sostenere il piano dichiarato da lui e dai suoi ministri (come l’ex titolare della Sicurezza nazionale Ben-Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich) di ridurre la popolazione di Gaza e di incoraggiarne l’emigrazione.
Questo mentre il nuovo ambasciatore in Israele, Mike Huckabee, ha affermato che il popolo palestinese «non esiste», il nuovo segretario di Stato Marco Rubio ha chiesto la deportazione degli studenti internazionali che hanno protestato contro Israele, e la nuova ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite Elise Stefanik ha parlato del «diritto biblico di Israele» di occupare la Cisgiordania.
Sebbene l’Amministrazione Biden abbia concesso a Israele tutto quello che ha chiesto nel contesto della guerra a Gaza, il livello di sostegno del nuovo governo Usa è senza precedenti. C’è da aspettarsi che Netanyahu cerchi di concretizzarlo ottenendo da Trump un impegno incondizionato contro l’Iran, che si spinga potenzialmente fino a un attacco militare congiunto con Israele. Oggi, infatti, il presidente Usa ha accolto il collega alla Casa Bianca con i “regali” di un miliardo di nuove armi ed un ordine esecutivo per imporre “massima pressione” su Teheran. Trump ha aggiunto di aver lasciato “istruzioni” che se l’Iran lo assassinerà, il Paese sarà “annientato”.
La visita a Washington rappresentato la prima volta che il capo di governo israeliano si reca all’estero da quando la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti a novembre per «crimini contro l’umanità e crimini di guerra» legati all’operazione a Gaza. Gli Stati Uniti, che non sono parte della Corte penale internazionale, hanno respinto le accuse contro Netanyahu.
Prima di incontrare Trump e i consiglieri per la Sicurezza nazionale e il Medio Oriente, il premier israeliano ha visto Elon Musk, che non è un membro del governo americano ed è stato al centro di aspre critiche, anche da parte della comunità ebraica, per il gesto fatto due volte il mese scorso che ricorda molto il saluto nazista. Trump ha anche firmato un ordine esecutivo che ritira il suo Paese da una serie di organismi delle Nazioni Unite, tra cui il Consiglio per i diritti umani (Unhrc) e dalla principale agenzia di soccorso delle Nazioni Unite per i palestinesi (Unrwa) e la revisione del coinvolgimento nell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco)
Nel giorno in cui due soldati israeliani sono morti in seguito a un attacco contro un checkpoint dell’Israel defense forces nel nord della Cisgiordania, Trump e Netanyahu hanno discusso anche della liberazione degli ostaggi ancora in mano di Hamas, per i quali centinaia di dimostranti si sono radunati a Washington e a New York, e di un possibile accordo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita.
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