Sanità, redditi, lavoro. Nel campo progressista i contenuti, prima dei contenitori

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“I partiti non fanno più politica”. Le considerazioni amare pronunciate da Enrico Berlinguer nella nota intervista a Eugenio Scalfari del 1981 non sono mai passate di moda. Tralasciando i giudizi su “macchine di potere e clientele” di allora – e di oggi – quello che viviamo rischia di essere, soprattutto nel cosiddetto campo progressista, il momento in cui, prima del contenuto, si attiva un spasmodica ricerca di “contenitori”. Talvolta al centro, talvolta a sinistra, spesso alla ricerca dei cattolici, dei liberali, dei progressisti perduti, nel tentativo di inseguire pezzi di elettorato.    

Il primo partito, purtroppo, è l’astensionismo. Astensionismo per disinteresse, astensionismo per lontananza dai partiti e dalla politica. La ricetta per riportare gli elettori al voto o, almeno, a interessarsi della cosa pubblica, non è semplice e non si risolve con nostalgie, annunci o proclami.

La frammentazione sociale, come quella attuale, mette in crisi le forme di aggregazione classica (partiti, forze sociali, parrocchie) e trova collanti, quali la rabbia verso il sistema clientelare, i benefici per pochi, la povertà diffusa, che possono generare spinte al cambiamento, ma che non si sono rivelate – e non solo nell’esperienza italiana – durature.

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Spesso, però, lo sconforto personale è utilizzato strumentalmente per coalizzarsi contro gli ultimi, i migranti, i più deboli, al solo scopo di sfogare la frustrazione sociale e sfruttarne il consenso immediato, mettendo in crisi i valori democratici su cui si fonda la nostra Repubblica.

Per combattere la solitudine di chi ha poco o non ha, di chi sta male, di chi non si sente rappresentato, di chi non vede realizzato il merito, occorre sì espandere le aggregazioni sociali, ma ancor di più coglier la sfida dei temi più urgenti, offrendo alternative e soluzioni più concrete. I problemi sono sotto gli occhi di tutti e ai cittadini servono risposte, nell’immediato e per provare a credere a un futuro migliore. Basta cogliere gli esempi più sentiti.

Secondo un recente sondaggio d’opinione, dal titolo ‘Gli italiani e la sanità’, curato dall’Istituto Piepoli per gli Stati generali della comunicazione per la salute, promossi da Federsanita e PaSocial all’Inmi Spallanzani di Roma, la principale priorità degli italiani è la sanità (per il 25% della popolazione), seguita da situazione economica (20%) e lavoro (18%). Il problema principale della sanità per il 50% delle persone intervistate è costituito dai ritardi nelle liste d’attesa. Un problema che investe trasversalmente la popolazione, dai giovani ai più anziani che, naturalmente, rimangono i più colpiti.

Non nascondiamo la verità: una visita specialistica rinviata per troppo tempo può determinare l’incapacità di intervenire in tempo per salvare una vita.

L’Italia del boom demografico, della ripresa economica, dei diritti, del servizio sanitario nazionale, è frutto di una politica che ha fatto del metodo della programmazione lo strumento decisivo per la crescita sociale, politica, economica. Si apra un confronto su questo. Si studi un piano pluriennale di abbattimento delle liste di attesa, con un sforzo radicale immediato, seguito da una programmazione stabile di lungo periodo: più risorse, più medici, più presìdi territoriali, maggiore integrazione con le strutture accreditate, più prevenzione; meno accessi agli ospedali lontani da casa, dove le barelle in corridoio aumentano e le cure immediate rischiano di latitare. Senza dimenticare maggior sicurezza per il personale sanitario dei pronto soccorso.

Il primo passo è quello di completare l’attuazione del PNRR, rendendo davvero operative le case di comunità, potenziando la telemedicina, rafforzando la medicina territoriale nel complesso.

Resta il nodo delle risorse, spesso troppo utilizzato come unica ragione da chi ostacola la tutela dei diritti fondamentali. Ragioniamo anche su questi aspetti. Gli investimenti pubblici di lungo periodo stimolano la crescita economica e gli investimenti privati; la programmazione, seguita da un’attuazione uniforme, puntuale e continuamente verificata, serve a combattere gli sprechi, monitorando la spesa. Il coinvolgimento serio del privato convenzionato, senza ritardi nei pagamenti; la regolamentazione efficace delle prestazioni intramoenia, possono anche servire a combattere forme di elusione ed evasione fiscale, riportando gettito all’erario.

L’innovazione digitale è uno strumento straordinario. La telemedicina ha una doppia valenza: assicurare una prima risposta a chi è in difficoltà, lontano, e far dialogare i sanitari anche su casi complessi, che necessitano del consulto di professionisti di differenti specialità. Il PNRR sta realizzando l’obiettivo prefissato in tal senso?

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Anche la situazione economica desta preoccupazione tra i cittadini. Un timore che riguarda tutti: i più poveri, ma anche il ceto medio. Secondo un rapporto Istat pubblicato nell’ottobre 2024, nel 2023 si sono trovati in condizione di povertà assoluta poco più di 2,2 milioni di famiglie e quasi 5,7 milioni di individui (quasi il 10% della popolazione residente). Numeri elevati, sui quali ha avuto rilievo certamente l’inflazione, impennatasi a seguito del conflitto in Ucraina, soprattutto nel 2022.

Negli ultimi anni i tentativi di ridurre la povertà assoluta si sono susseguiti, con alterne fortune: dal reddito di cittadinanza, al reddito di emergenza, all’assegno di inclusione. Segno che, anche nelle differenti coalizioni, v’è un principio comune: forme di sostegno al reddito, di supporto alle famiglie più bisognose sono ineliminabili. Chi scommette sulle restrizioni all’accesso a queste forme di sostegno – come il passaggio dal reddito di cittadinanza all’ADI – lo fa presumibilmente pensando che ciò porti stimolo a cercare un impiego.

Chiariamo un aspetto. Ciò in realtà dipende dalla domanda di lavoro più che da imposizioni normative e sconta un possibile problema, legato alle difficoltà di reinserimento lavorativo di soggetti avanti con gli anni, con basso livello di scolarità e poche esperienze lavorative pregresse.

Anche in questo caso: si ragioni concretamente, imparando dagli errori del passato. L’obiettivo è sempre uno: non lasciare indietro nessuno. Si discuta apertamente di proposte di formazione professionalizzante studiate sulla base dei bisogni delle singole aree territoriali, da affiancare al sostegno al reddito nelle ipotesi in cui sia davvero probabile – e non burocraticamente – trovare un nuovo impiego, in raccordo con le pubbliche amministrazioni e le imprese.

Soffre anche il ceto medio. Come più volte ha spiegato il Prof. Marco Leonardi di recente sul quotidiano il Foglio, insieme ad altri studiosi, nell’ultimo biennio della spirale inflazionistica lo Stato ha incassato più di 25 miliardi di tasse occulte, di cui quasi 18 dai lavoratori dipendenti, a causa del fenomeno del fiscal drag. Quando aumenta l’inflazione, infatti, poiché gli scaglioni IRPEF e le detrazioni non sono indicizzati all’inflazione, la quota del reddito da pagare in IRPEF aumenta “automaticamente”. Per i lavoratori dipendenti e pensionati si tratta – come notano gli economisti – di una quota non trascurabile di IRPEF pagata in più senza un reale aumento del reddito di ciascuno.

Vorrei in questa sede rilanciare l’appello degli economisti più avveduti, che hanno studiato il fenomeno: elaboriamo una proposta per sterilizzare il fenomeno nell’immediato e per restituire, in più anni, il mal tolto involontario ai cittadini, provando a stimolare i consumi delle famiglie. 

Strettamente correlati sono i temi riguardanti il lavoro. Secondo dati ISTAT, Il tasso di disoccupazione in Italia scende al 5,7%, il valore più basso dal 2004. Tuttavia, il tasso di inattività è salito al 33,7%, mostrando un aumento degli inattivi soprattutto tra i giovani (25-34 anni), che crescono di +183mila unità nell’ultimo anno.    

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Naturalmente, questi dati vanno messi in correlazione con i numeri della ricerca di lavoratori, soprattutto nei prossimi anni. Per Unioncamere, tra il 2024 e il 2028 si prevede un aumento dello stock occupazionale per effetto dell’espansione economica compresa tra 405mila e 831mila potenziali occupati a seconda dello scenario considerato. Molti dei quali, soprattutto al Nord, non si trovano. È allora così strano o così straordinario che ci siano m enodisoccupati, se non si trovano lavoratori?    

Il primo punto, dunque, per affrontare il tema del lavoro, è ancora una volta la formazione adeguata, sapendo incrociare domanda e offerta di lavoro. Senza dimenticare, tuttavia, aspetti non trascurabili. Anzitutto, i salari. Stando ad alcuni dati INPS, per ciò che riguarda i compensi orari, sotto i 9 euro all’ora, nel 2022, si trovavano nel 2022 ben 4,2 milioni di dipendenti, pari al 26% del totale (quasi 17 milioni di lavoratori). Nello specifico: 3,3 milioni di dipendenti privati, quasi 300.00 operai agricoli e più di 600.000 lavoratori domestici. Il dato è impressionante e, al di là della cifra minima da considerare -sulla quale si può e si deve discutere, tenendo conto della struttura economica del Paese e dei contratti collettivi -, traccia l’idea di una diseguaglianza che va contrastata, in un’alleanza rinnovata tra datori di lavoro, lavoratori e forze sociali.

Il tempo della riflessione è maturo, ma non è abbastanza lungo se si vuole incidere davvero per il bene comune. Per chi abbia voglia di mettersi in cammino, riconoscersi nei valori delle forze popolari e progressiste che hanno già un radicamento sul territorio può essere una strada percorribile, a condizione che si faccia lo sforzo, unitario, di ripartire dai temi e dai bisogni dei cittadini.    

La vera sfida è chiamare a raccolta tutti, ma avendo ben chiaro prima cosa fare e come farlo.



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