“Quadro complesso ma obiettivi ambiziosi”

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Sulla sanità pubblica se ne dicono tante e le valutazioni dei cittadini sembrano essere sempre più critiche, soprattutto quando si tratta di liste di attesa per visite specialistiche. Anche l’Emilia-Romagna, che si è sempre difesa molto bene sui servizi sanitaria, di fronte al definanziamento comincia a vacillare o per lo meno a sentire maturare delle preoccupazioni. Il nuovo assessore regionale alle Politiche per la Salute, Massimo Fabi, mette in testa alle sue priorità “garantire la salute pubblica e universalistica”. Come? Certamente non senza risorse adeguate. Con lui abbiamo parlato del futuro dei nostri ospedali, della trasformazione dei Cau e di tanto altro.

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È il nuovo assessore regionale alla Sanità: una bella sfida, soprattutto in questo momento storico. Quali sono le priorità che si pone?

“Sì, il quadro è davvero molto complesso. Durante l’emergenza Covid abbiamo tutti compreso l’importanza della medicina territoriale e che il sistema regge se si poggia su una rete di professionisti e operatori sanitari numericamente adeguata. Purtroppo quella consapevolezza, a oggi, non ha trovato riscontro nelle politiche nazionali dove dobbiamo registrare il definanziamento della sanità: circa il 6,3% del Pil, chiaramente insufficiente e sotto la media dei Paesi Ocse ed europei. Pur in questo quadro abbiamo obiettivi ambiziosi.

Innanzitutto vogliamo investire nella promozione della salute e nella prevenzione: dobbiamo intervenire prima, rafforzare la mentalità della salute a partire dall’infanzia, insistere con le campagne di screening che possono salvare vite. E poi l’appropriatezza delle prescrizioni di visite ed esami per evitare sprechi e zone grigie. Dobbiamo utilizzare al meglio le risorse che abbiamo a disposizione con l’obiettivo duplice di continuare ad abbattere le liste d’attesa, dove necessario, e di allentare la pressione sui pronto soccorso. E ancora va creata una nuova alleanza, fondata sull’ascolto e la fiducia, tra Regione, territori, cittadine e cittadini. Tutti concorriamo a un unico obiettivo: garantire la salute pubblica e universalistica”.

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Secondo lei i cittadini, diciamo rispetto al periodo pre-Covid, hanno meno fiducia nella Sanità Pubblica? Perché?

“Il Covid è stato senza dubbio uno spartiacque: c’è un prima e un dopo. Ha inciso in modo significativo sulla percezione della nostra fragilità. Credo che non ci sia persona o famiglia che non sia stata toccata dalla pandemia, con il risultato che è aumentata la richiesta di assistenza e di cura. Una richiesta che va ascoltata, compresa e gestita. Per questo, ad esempio, è importante insistere sulla prevenzione e sull’appropriatezza delle prescrizioni. Abbiamo professionisti eccellenti che vanno messi nelle condizioni di lavorare al meglio e, aggiungo, che devono anche essere pagati di conseguenza, per questo innovo l’appello al Governo affinché la sanità pubblica venga finanziata adeguatamente”.    

È vero che i nostri CAU vengono messi in discussione e che rischiano di chiudere o comunque di trasformarsi? Quali i loro punti deboli? Perché i riscontri della cittadinanza sembrano essere positivi sull’area di Bologna…

“In Emilia-Romagna siamo abituati a dare risposte ai problemi e poi sottoporre quelle risposte a verifiche in un’ottica di miglioramento continuo. Fatta questa premessa, come ha spiegato anche il presidente Michele De Pascale, sotto il nome di Cau sono stati attivati tre tipi di servizi: quelli che hanno sostituito Punti di primo intervento o Pronto soccorso che avevano un elevato livello di inappropriatezza perché erogavano prestazioni di bassa complessità con personale medico specialista che deve invece essere utilizzato per le prestazioni di emergenza urgenza. Questa tipologia è quella che ha funzionato meglio e va confermata perché ha evitato di chiudere punti di erogazione del servizio. Poi ci sono le strutture costituite vicino ai Pronto Soccorso DEA (Dipartimento Emergenza e Accettazione), con l’obiettivo di sgravarli dei codici bianchi e verdi: qui abbiamo bisogno di alcuni aggiustamenti perché la situazione non è omogenea sul territorio. Infine, alcuni Cau sono stati introdotti in luoghi dove non c’erano né Punti di primo intervento, né Pronto soccorso. Per quest’ultima tipologia vogliamo seguire il modello delle Case di comunità e delle Aggregazioni funzionali territoriali dei medici di Medicina generale, per ricondurre tutto a una gestione univoca nelle cure primarie”.

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“Abbiamo molte leve che intendiamo azionare con l’obiettivo di ridare ai Pronto soccorso la funzione per la quale sono nati”

Il nodo dei Pronto Soccorso: c’è l’intenzione di potenziarli attraverso maggiori risorse sia economiche che in termini di personale?

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“Il problema della pressione sui Pronto soccorso ha di sicuro bisogno, per essere risolto, di risorse economiche e professionali. Ma questi ambiti, che dipendono in primo luogo da decisioni e finanziamenti nazionali, non sono gli unici da tenere in considerazione. Come sottolineavo prima c’è bisogno di lavorare anche sull’educazione alla salute, l’appropriatezza delle prescrizioni, e di potenziare le Aggregazioni funzionali territoriali dei medici di Medicina generale e dei pediatri di libera scelta. Abbiamo molte leve che intendiamo azionare con l’obiettivo di ridare ai Pronto soccorso la funzione per la quale sono nati, azzerando l’accesso dei codici bianchi e verdi che devono essere gestiti in modo più funzionale e sostenibile”.

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E a proposito di personale: come le professioni sanitarie potranno nel concreto diventare appetibili per i professionisti che spesso optano per l’estero, per il “gettone” o per il privato?

“Il nostro servizio sanitario regionale è una meta attrattiva e non solo per i professionisti. Qui abbiamo poli di eccellenza, strutture avanzate e tecnologie che rendono appetibile e sfidante il lavoro quotidiano. E abbiamo anche Università prestigiose in grado di formare e preparare i migliori medici, infermieri e operatori sanitari del futuro. Ma, come dicevo prima, è necessario prima di tutto allineare gli stipendi ai livelli dei Paesi europei più avanzati, senza risorse adeguate è difficile mantenere un sistema avanzato e innovativo”.

Chi è Massimo Fabi 

Nato a Parma nel 1958, si è laureato in medicina e chirurgia nell’Ateneo della stessa città e ha conseguito la specializzazione in Reumatologia all’Università di Milano. Nel 1993 all’Università di Trieste ha ottenuto la specializzazione di Igiene e medicina preventiva. 

Ha una lunga e significativa esperienza nella gestione e governo delle Aziende sanitarie: è stato direttore del Distretto sud est dell’Azienda Usl di Parma dal 1998 al 2003, e dal 2003 al 2004 è direttore del distretto di Parma. Ha ricoperto anche l’incarico ad interim di direttore del Presidio ospedaliero di Fidenza-San Secondo. Dal 2004 al 2008 è stato nominato direttore sanitario della stessa Azienda territoriale, di cui dal 2008 al 2015 ha ricoperto l’incarico di direttore generale. Dal 2010 al 2015 è stato coordinatore del Comitato dei direttori generali per l’Area Vasta Emilia-Nord, mentre dal 2011 al 2016 è coordinatore FIASO (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere) per l’Emilia-Romagna e componente del direttivo nazionale.  Dal 2015 al 2020 è direttore generale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, incarico rinnovato per i successivi quattro anni. A questo incarico, dal giugno 2022 si è aggiunta la nomina di commissario straordinario dell’Azienda Usl Parma.

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