Generali: nessun rischio su gestione risparmio degli italiani da jv con Natixis. Penale da 50 mln se accordo salta

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Generali prova a rassicurare il mercato e spazzare via i timori sorti intorno all’operazione, annunciata lo scorso 21 gennaio, riguardante una partnership nel risparmio gestito con la francese Natixis e la sua controllante, il Groupe des Banques Populaires et des Caisses d’Epargne (BPCE). Un’operazione rilevante nel panorama finanziario italiano ed europeo, che “è stata oggetto di molta attenzione da parte della stampa e del mercato”, si legge nella nota di precisazione del gruppo di Trieste, diffusa oggi. Innanzitutto per i risvolti economici e finanziari. Secondo l’accordo preliminare (un memorandum d’intesa non vincolante), verrebbero unite le divisioni investimenti di Generali e Natixis per creare un operatore globale nel risparmio gestito da 1.900 miliardi di masse, al nono posto a livello mondiale e leader nell’asset management in Europa con 4,1 miliardi di ricavi. Ma la partnership avrebbe sollevato anche qualche perplessità. Secondo alcune indiscrezioni, infatti, tra i soci di Generali l’operazione non è completamente condivisa, con il gruppo Delfin e il gruppo Caltagirone contrari all’intesa per la mancanza nell’accordo di una serie di dettagli sulla gestione della nuova società. Non solo. Nell’aria si è levato il timore che il gruppo del Leone alato possa perdere il controllo su miliardi di risparmi italiani. Un rischio che potrebbe destare l’attenzione del governo.

Nessun impatto su gestione risparmio degli italiani né su allocazione Btp

Proprio riguardo a quest’ultimo timore, Generali ha precisato che “la nascita della joint venture non avrebbe alcuna ripercussione sulla continuità delle politiche di gestione del risparmio affidato dagli italiani alle compagnie del gruppo, che rimangono proprietarie degli attivi e ne decidono l’allocazione tra le diverse strategie di investimento”. Le masse in gestione afferenti alle compagnie e a clientela italiana del gruppo rappresentano ad oggi circa il 30% delle masse totali gestite da Generali Investments Holding. Il Leone ribadisce che “ciascuno dei due soci manterrà il potere decisionale pieno ed esclusivo sui propri attivi assegnati in gestione alla joint venture”. In altre parole, la capogruppo e il suo Cda continueranno, come avviene oggi, a definire le linee guida strategiche di investimento dell’intero gruppo, come ad esempio i paesi e gli asset su cui investire. “Alla luce di ciò, l’operazione con BPCE non avrà alcun impatto sulla allocazione quanto ai BTP del Gruppo Generali”, precisano da Trieste.

Nessun trasferimento di valore fuori dall’Italia o meno tasse pagate in Italia

Anche sotto il profilo fiscale, Generali rassicura che “non si determinerebbe alcun trasferimento di valore fuori dall’Italia e non si avrebbe, come effetto, una riduzione delle imposte assolte in Italia”. La precisazione è legata al fatto che la nuova società verrebbe costituita ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, come soluzione neutrale tra i due soci basati in paesi diversi. Mentre Italia, Francia e Stati Uniti rimarrebbero gli hub operativi, dai quali si continuerebbe a gestire direttamente le attività di business. Secondo Generali, anzi, è plausibile che l’onere fiscale italiano aumenti, per effetto di due fattori: la creazione di un altro livello nella catena societaria in Italia, con conseguente ulteriore tassazione dei dividendi; e l’aumento dei dividendi previsti per Generali per effetto della creazione di valore generato dalla joint venture.

Penale da 50 mln se accordo salta

Per quanto riguarda poi il nodo lavoratori, Generali precisa che l’accordo è preliminare e che diventerà definitivo una volta completate le procedure di consultazione. Tra queste consultazioni anche quella con gli organi di rappresentanza dei dipendenti. “Entrambi i gruppi coinvolti nella prospettata joint venture dispongono di organi di rappresentanza dei dipendenti in Francia (nonché in altri paesi), e sono pertanto tenuti a svolgere procedure di consultazione prima di assumere impegni vincolanti definitivi circa l’operazione in oggetto”, fa sapere il Leone. A seguito della firma del MoU, ciascun gruppo (Generali da un lato, BPCE dall’altro) provvederà quindi a svolgere le proprie procedure di consultazione e, una volta che saranno concluse, dovrà informarne la
controparte e indicare se intende procedere o meno con la sottoscrizione degli accordi definitivi. Sebbene l’accordo preliminare non vincoli le parti all’esecuzione dell’operazione, sono però previste delle clausole, tra cui una penale (definita break-up fee) di 50 milioni di euro, come copertura dei costi sostenuti per l’organizzazione e la negoziazione dell’operazione. La penale è applicabile in tre casi: nel caso in cui una parte non abbia intrapreso le proprie procedure di consultazione dopo la firma dell’MoU oppure le procedure non siano state eseguite con successo prima del 31 luglio 2025; nel caso in cui la parte interessata non abbia confermato la propria intenzione di procedere con l’operazione ipotizzata ad esito del completamento delle proprie procedure di consultazione; oppure nel caso in cui le azioni intraprese o le omissioni di una parte abbiano portato al verificarsi di un material adverse effect, ossia un cambiamento delle circostanze che riduce significativamente il valore dell’azienda.

L’impatto sull’utile netto di Generali si vedrà a partire dal 2028

Guardando ai risvolti finanziari, invece, Generali assicura che la combinazione con Natixis, una volta finalizzata, offrirà un’interessante opportunità di creazione di valore, stimata in oltre 1 miliardo di euro, che sarebbe però neutrale ai fini dell’utile netto rettificato di gruppo. In particolare, vengono identificate sinergie di ricavi ed efficienze operative per un totale annuo di 210 milioni, derivanti da un maggiore potenziale di crescita e da risparmi e benefici di scala, soprattutto nelle aree di procurement, IT e gestione dei dati. L’impatto dell’operazione sull’utile del Leone si vedrebbe solo dal 2028. Nei primi due anni, infatti, l’effetto della partnership, includendo gli oneri di integrazione, è atteso fra 25 milioni e 50 milioni, prima dell’effetto del dividendo preferenziale per i francesi, previsto solo per i primi due anni e per un ammontare complessivo di 250 milioni. Questo dividendo preferenziale a favore di BPCE porterebbe l’impatto complessivo dell’operazione fra -25 milioni e 0 milioni. Dopo la fine dell’effetto del dividendo preferenziale, quindi a partire dal 2028, l’impatto sull’utile netto rettificato è atteso esser superiore a 50 milioni, anche tenendo conto degli oneri di integrazione. Una volta esaurito l’impatto di tali oneri e una volta che le sinergie attese andranno a regime, l’impatto della joint venture sull’utile netto rettificato è atteso esser superiore a 125 milioni annui a partire dal 2030.

Investimenti per 15 mld ma non come capitale di rischio

Secondo l’accordo preliminare, Generali Investments Holding porterebbe nella nuova società 650 miliardi di euro di patrimoni gestiti, mentre Natixis ben 1.300. Per compensare questo divario, il gruppo di Trieste si è impegnato ad allocare risorse per avviare la newco nel corso dei primi cinque anni. Si tratta di un totale di 15 miliardi di capitale di avviamento, cosiddetto Seed money, per l’avvio di nuove iniziative e strategie di investimento nel settore degli investimenti alternativi (e in particolare nei private markets). Una cifra che però, chiarisce Generali, non sarà capitale di rischio. Il Seed money consiste nella sottoscrizione di fondi e mandati d’investimento, regolamentati e coerenti con l’asset allocation definita autonomamente da Generali, e “non in capitale di rischio per finanziare le società operative di asset management”. Si tratta di investimenti fatti nell’ambito delle scelte di allocazione delle masse assicurative gestite dal gruppo – che contano ad oggi un totale superiore ai 460 miliardi – per conto dei propri clienti.
Non si tratta di una novità per Generali: già oggi il gruppo ha una politica di seeding. Ogni anno i portafogli assicurativi di Generali generano circa 25 miliardi di flussi di cassa tra rimborsi di titoli in scadenza, cedole e dividendi che vengono reinvestiti nelle diverse classi di attivo. A questo si aggiunge un target triennale (da piano 2025-2027) di raccolta netta sui prodotti assicurativi Vita pari a 25-30 miliardi. Ad oggi, il Seed money di Generali ammonta a circa 20 miliardi, e ne sono già previsti circa 5 miliardi nel 2025 a prescindere dalla operazione con Natixis. “È quindi evidente – chiarisce – che l’impegno di 15 miliardi cumulati su cinque anni rappresenti una quota minoritaria sia delle masse complessive gestite che dei flussi di reinvestimenti annui di Generali”.

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I vertici in carica per 5 anni con rinnovo automatico

Infine, un appunto anche sulla governance condivisa 50-50. Il Leone precisa che il CEO a capo della nuova entità al momento della sua costituzione sarebbe l’attuale CEO di Generali Investments Holding, nominato per un periodo di cinque anni e automaticamente rinnovato per un ulteriore periodo di cinque anni in caso di raggiungimento di risultati in linea con il piano industriale della società. Generali esprimerebbe anche il vicepresidente, mentre deputy CEO e presidente sarebbero appannaggio di Natixis, sempre per i primi cinque anni (e per ulteriori cinque anni in caso di rinnovo del mandato del primo CEO). Il gruppo del Leone rassicura anche su questo aspetto: “non è intenzione di Generali – né esistono previsioni contrattuali che possano costringere la medesima a – ridurre la propria partecipazione o i propri diritti di governance nella joint venture”.



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