è urgente ridefinire le priorità della Sanità pubblica

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Come per le pensioni si è faticosamente, ma inevitabilmente, passati dal sistema retributivo a quello contributivo, anche per la sanità la strada è segnata, ed è quella indicata dagli economisti del Cergas: bisogna definire le priorità e decidere chi avrà o non avrà diritto a ricevere gratuitamente anche quello che non è prioritario. Prima lo si farà, o almeno prima si comincerà a discuterne, meglio sarà

Il Giappone è il paese con la popolazione più anziana al mondo: una persona su dieci ha più di 80 anni e il 29,1 per cento degli abitanti ne ha più di 65. L’Italia si piazza buona seconda, con quasi l’8 per cento di ultraottantenni e il 24,5 per cento di persone con più di 65 anni.

L’istituto Cergas dell’Università Bocconi, nel suo rapporto OASI 2024 sulle aziende e sul Sistema sanitario italiano ci ricorda che «in un Ssn al 6,3 per cento del Pil nel secondo paese più anziano al mondo, occorre definire e selezionare le priorità». Ricordo en passant che siamo sedicesimi per spesa sanitaria in Europa, dove la media è del 6,8 per cento sul Pil e raggiunge un massimo del 10,1 per cento in Germania.

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L’affermazione dei ricercatori del Cergas non dovrebbe suscitare stupore, ma il fatto che non venga ripresa e fatta propria da nessuna parte politica fa sospettare che il suo contenuto sia assai più rivoluzionario di quanto potrebbe sembrare a prima vista.

È ancora possibile una sanità universalistica?

Su ambedue i lati dello schieramento, si continua a parlare dell’universalismo del nostro Ssn, accrescendo le attese di una sanità in grado di fornire tutto a tutti, se solo si investisse un po’ di più, si assumessero più medici e infermieri, ci si organizzasse un po’ meglio. Anche chi lo dice sa però che così non è e non potrà più essere.

Si sarebbe certo potuto fare di più, se avessimo un sistema fiscale efficiente, equo, progressivo che permetta di avere gli adeguati finanziamenti per una adeguata gestione della sanità e se il servizio sanitario nazionale non si fosse sbriciolato in 20 servizi sanitari regionali incapaci di produrre una politica comune. Ma così non è stato. Si potrebbe di sicuro fare di meglio. Ma è utopia pensare che nel giro dei prossimi anni sia possibile una rivoluzione in termini di efficacia, efficienza ed equità del Ssn.

Dunque, come per le pensioni si è faticosamente, ma inevitabilmente, passati dal sistema retributivo a quello contributivo, anche per la sanità la strada è segnata, ed è appunto quella indicata dagli economisti del Cergas: bisogna definire le priorità e decidere chi avrà o non avrà diritto a ricevere gratuitamente anche quello che non è prioritario. Prima lo si farà, o almeno prima si comincerà a discuterne, meglio sarà.

Spesa privata e priorità delle cure

D’altra parte, è nozione comune che gli italiani spendono di tasca propria (o con l’intermediazione di enti assicurativi) oltre 40 miliardi ogni anno per la propria salute e che la distribuzione di questa spesa non risponde a nessun evidente criterio di equità.

Il 50 per cento delle viste specialistiche viene ormai eseguito in regime libero professionale, ma c’è chi sborsa 200 euro senza alcun problema e chi si trova a dover fare lo stesso investimento lesinando su altre spese essenziali. Per citare ancora una volta il rapporto OASI 2024: «Queste (le priorità ndr) possono riguardare aree di patologia, setting assistenziali, cluster di popolazione per reddito o livello di istruzione, portafogli di tecnologie da includere nel contenuto dei servizi garantiti dal Ssn».

La prima cosa che si dovrebbe fare, se si vuole entrare in questo ordine di idee, è stabilire da subito quello che deve essere garantito a tutti i costi. Direi, come minimo: l’assistenza del medico di medicina generale, tutti i ricoveri ospedalieri, tutti gli esami diagnostici, le visite e le terapie per i pazienti con problemi oncologici attivi o con altre patologie croniche invalidanti, le vaccinazioni obbligatorie e quelle consigliate per le popolazioni a rischio. Non resta a questo punto che ragionare sul mondo delle visite, degli esami e delle terapie occasionali o di controllo per patologie acute o croniche di minore gravità.

Si tratta di un campo sufficientemente vasto da poter avere un impatto economico, oltre che gravato dalle maggiori inappropriatezze prescrittive e dalla presenza di molta medicina difensiva (si calcolano 10 miliardi all’anno di spese legate a questo problema). È infine questo l’ambito per cui le persone sono già oggi inclini (o costrette) a pagare più spesso di tasca propria.

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Sostenibilità economica e difficoltà della politica

Qualsiasi intervento si decidesse di attuare dovrà mirare non solo a produrre un risparmio per il Ssn, ma anche a disincentivare l’uso inappropriato di visite ed esami e a reintrodurre un minimo di logica e di equità nella spesa a carico dei cittadini, oggi del tutto casuale e troppo spesso iniqua.

Dovrà inoltre passare per una forte contrattualità con la sanità privata per controllare la sua tendenza a rendersi disponibile solo (o soprattutto) per le prestazioni più redditizie. Starà a chi ha accesso ai dati, oltre che alle necessarie competenze, valutare quale sia il modo più corretto di procedere per stabilire le priorità del sistema e dividere in modo equo ed equilibrato la spesa per tutto quello che non vi rientra. Molti tecnici lo stanno già facendo, ma per ora manca il mandato politico e non è difficile capire perché.

Scegliere le priorità è sempre difficile e doloroso in ogni democrazia. Per la politica, questo risulta ancora più difficile quando si tratta di materie complesse e sensibili come la sanità, perché bisogna motivare e spiegare le proprie decisioni all’opinione pubblica, con l’inevitabile rischio di perdere consensi. Non si tratta di cose abituali alle nostre latitudini.

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