Dazi Usa: consumatori e imprese pagheranno care le tariffe

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Lo scorso fine settimana gli Stati Uniti hanno annunciato una nuova serie di dazi verso Canada, Messico e Cina. Ma se il presidente Powell, in occasione della riunione della Fed di gennaio, ha dichiarato che i policymaker dovranno attendere ulteriori dettagli prima di poter valutare l’impatto economico delle nuove misure, gli investitori non hanno il lusso della pazienza. Il rendimento dei Treasury Usa a 10 anni è salito di 100 punti base rispetto allo scorso autunno, in parte a causa dei timori per l’aumento dei prezzi, con le attese di inflazione implicite nel mercato tornate ai livelli della primavera 2024. Sull’onda di un’inflazione ancora problematica, che quindi richiederebbe un tasso sui Fed Funds restrittivo per un periodo più lungo, il mercato sta prezzando meno tagli dei tassi nel corso dei prossimi dodici mesi. Ma si tratta di una valutazione corretta? Powell ha ragione nel dire che le incognite sono molteplici: con l’introduzione dei dazi Usa, i paesi subiranno ritorsioni, i consumatori e le imprese potrebbero cambiare le loro preferenze di acquisto, le merci d’importazione potrebbero essere sostituite da altri beni di consumo, i paesi esportatori potrebbero modificare le loro rotte commerciali o Trump potrebbe ricredersi. Molto potrebbe accadere, ma ci sono anche alcuni punti fermi.

Sicuramente, i dazi appena introdotti sono tra le tasse potenzialmente più significative per le famiglie e le imprese statunitensi nel dopoguerra. Molte ricerche confermano che i consumatori e le imprese sarebbero in grado di sopportare l’incidenza delle tariffe, che possono essere considerate alla stregua di un aumento dell’imposta sulle vendite o dell’IVA. Le stime, però, variano: secondo le più prudenti dazi del 10% si tradurrebbero in un aumento dell’imposta sui consumi di circa 1.500 dollari all’anno per famiglia, mentre,secondo altre, il gettito oscillerebbe tra i 1.900 e i 7.600 dollari all’anno per famiglia. Per mettere le cose in prospettiva, le stime indicano che i tagli fiscali introdotti dalla prima amministrazione Trump hanno ridotto l’onere fiscale per famiglia di soli 1.570 dollari all’anno.

Le tariffe aumenteranno il livello dei prezzi dei beni importati, ma non necessariamente il tasso di inflazione. Tendenzialmente, quando i redditi non tengono il passo con gli aumenti dei prezzi, i consumatori fanno economia, spendendo meno altrove e l’effetto netto sul livello generale dei prezzi è difficile da delineare. Quando venne aumentata l’IVA giapponese, ad esempio, i prezzi subirono un’impennata iniziale, ma l’inflazione si attenuò nel giro di un anno. A complicare ulteriormente le cose, i beni colpiti dalle tariffe Usa, inclusi quelli intermedi, riguardano circa il 25% della spesa totale dei consumatori per i beni, ovvero solo il 10% del paniere PCE totale, mentre il resto è rappresentato dai servizi. Non ci sorprende che gli investitori siano preoccupati per l’inflazione: durante la crisi delle catene di approvvigionamento del gennaio 2022, i beni di base rappresentavano il 35% dell’inflazione PCE core, anche se i principali driver dell’inflazione negli Usa restano le abitazioni e i servizi non abitativi, che saranno verosimilmente meno colpiti dagli shock tariffari rispetto ai beni di consumo.

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Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel

La crescita economica degli Stati Uniti subirà un rallentamento. Riteniamo che l’impatto negativo delle tariffe sulla crescita supererà le attuali preoccupazioni del mercato per l’inflazione. La salute dei consumatori è stata un pilastro fondamentale della nostra visione relativamente ottimistica sull’economia statunitense negli ultimi anni, ma se la crescita del reddito non dovesse essere in linea con l’aumento delle tariffe, i consumi ne risentirebbero. Al di là degli effetti sul reddito dei consumatori, i dazi danneggiano anche le imprese aumentando i costi dei fattori produttivi e creando un clima di incertezza per le aziende. Spesso si crede, erroneamente, che gli Stati Uniti commercino principalmente in beni di consumo finali, quando, in realtà, a novembre 2024 le importazioni di beni strumentali ammontavano a 875 miliardi di dollari, contro i 731 miliardi dei beni di consumo. Di conseguenza, le tariffe comprimerebbero i margini di profitto delle imprese e ostacolerebbero gli investimenti. In base alle stime più prudenti, che prevedono un impatto di 1.500 dollari per famiglia all’anno, i dazi potrebbero ridurre dello 0,5% la crescita annuale del Pil Usa. Potrebbe non sembrare molto per un’economia che è cresciuta a un tasso annualizzato del 2-3% in nove degli ultimi dieci trimestri, ma i modelli potrebbero sottovalutare l’impatto dei dazi sulla crescita, dal momento che non sono in grado di catturare tutta la complessità dell’economia statunitense.

Le ritorsioni innescate dai dazi Usa freneranno ulteriormente la crescita statunitense e globale. I più colpiti dalle nuove tariffe saranno i paesi che più dipendono dal commercio con gli Stati Uniti, come Messico, Canada, Singapore e Corea del Sud ed è probabile che non mancheranno le ritorsioni. Nel 2018, ad esempio, il governo cinese reagì alle tariffe introdotte da Trump con dazi che danneggiarono diverse industrie statunitensi, tra cui quella agricola. L’amministrazione repubblicana, a sua volta, reagì aumentando i sussidi agli agricoltori, impiegando a questo scopo quasi tutti i proventi derivanti dalle tariffe sulle importazioni dalla Cina. Negli anni, gli importatori cinesi hanno diversificato le fonti e oggi la Cina importa più mais dal Brasile che dagli Stati Uniti.

I tassi di interesse potrebbero scendere. Potrebbe essere necessario deltempo, ma è probabile che i tassi di interesse a breve e a lungo termine scenderanno non appena gli investitori si renderanno conto del fatto che i dazi penalizzano la crescita. Sospettiamo che la Fed guarderà oltre gli aumenti dei prezzi una tantum e si concentrerà sui rischi negativi per la crescita, purché le attese di inflazione rimangano sotto controllo. I verbali delle riunioni del FOMC tra il 2018 e il 2019 raccontano di come, al tempo dei dazi introdotti dalla prima presidenza Trump, i policymaker fossero più preoccupati per la crescita che per l’inflazione: nel 2019, con un’inflazione core al di sotto del 2%, il FOMC effettuò ben tre tagli dei tassi.



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