Caccia agli spioni in Svizzera

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Prima dell’ingegnere iraniano arrestato a Milano e scarcerato dopo la liberazione della Sala, altri casi di sospetto spionaggio. Ora si valutano misure draconiane nei confronti dei ricercatori provenienti da Paesi a rischio Il politecnico federale di Losanna (l’Epfl), nella top 20 dei dipartimenti di ingegneria più importanti d’Europa, è blindato. In un clima surreale, l’invito alla massima riservatezza da parte dell’intelligence elvetica ha colto nel segno. «Gli istituti di ricerca e formazione svizzera potrebbero ritrovarsi sempre più nel mirino di attori stranieri. È essenziale che utilizzino cautela nella diffusione del loro know how», ha detto la portavoce del Servizio Attività Informative della Confederazione, Sonja Margelist. E infatti i ricercatori con la stampa non parlano. Lo fanno solo dietro promessa di anonimato, sancita, se è il caso, anche da accordi scritti. Specie ora che il caso di Mohamed Abedini Najafabadi, l’ingegnere iraniano specializzatosi a Losanna e accusato dagli States di aver fornito ai pasdaran tecnologia per la costruzione di armi letali, ha messo tutti in allarme.

Abedini aveva start up svizzera

Per l’intelligence americana, Abedini, arrestato a Milano e scarcerato pochi giorni dopo la liberazione della giornalista Cecilia Sala dal carcere di Teheran, avrebbe utilizzato una start-up di impresa da lui stesso fondata, la Illumove, con sede nell’Innovation Park del Politecnico svizzero , come copertura per sviluppare, indisturbato, innovativi dispositivi per il controllo da remoto dei sensori di movimento. Venduti, in un primo tempo, per l’impiego in contesti sportivi e in particolare nell’ippica. E poi finiti, guarda caso, nella disponibilità del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie islamiche per l’utilizzo a scopi militari: il drone killer che in Giordania il 28 gennaio 2024 esplose alla «Tower 22» in un attentato costato la vita a tre militari americani, secondo l’accusa di Washington, sarebbe stato realizzato con la stessa tecnologia.

Eppure, quello del prestigioso campus nel cantone Vaud non sarebbe il primo caso, in Svizzera, di centro di ricerca d’avanguardia finito nel mirino di sedicenti studiosi provenienti da Paesi soggetti a sanzioni internazionali. Lo rivela Fabio Lo Verso, direttore del mensile Il Corriere dell’Italianità e autore di un’inchiesta che prova a far luce sui limiti della sicurezza elvetica e sulla necessità di stringere le maglie di una rete di controllo fin qui troppo poco efficace.

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Risale a solo pochi mesi fa, e precisamente a ottobre 2024, il nuovo severissimo regolamento che il Politecnico di Zurigo (l’Eth), dopo presunti casi di spionaggio, ha adottato nei confronti dei ricercatori provenienti dall’estero. Le nuove misure, particolarmente avversate dai 1362 studiosi cinesi iscritti all’Eth, che ora accusano l’Ateneo di razzismo, implicano una scrupolosa procedura di controllo sulle candidature da Paesi considerati a rischio, con l’obiettivo di evitare che i loro ricercatori possano venire a conoscenza di tecnologie militari o a doppio uso sviluppate all’Eth.

Rischio infiltrazioni

Altri atenei, visto il boom di studenti stranieri e i rischi sempre più concreti di infiltrazione, si trovano di fronte a un bivio: libertà accademica da un lato, sicurezza dall’altro. L’ago della bilancia, ora, rischia di pendere a favore di quest’ultima, come annunciato dal portavoce dell’Efpl Emmanuel Barraud, pronto a rivedere, dopo il caso Abedini, anche «le condizioni di ammissione per le aziende che desiderino domiciliarsi o avere una sede presso l’Efpl Innovation Park».

Un caso analogo a quello Abedini

Eppure, sempre a Losanna, ben prima dell’arrivo in Svizzera di Abedini, un analogo caso di utilizzo militare di tecnologia civile «incubata» nel campus universitario, avrebbe già dovuto far scattare l’allarme.

Un’inchiesta della Radio Télévision Suisse ha infatti rivelato che i droni E-bee di un’altra start up di impresa, la SenseFly, progettati da due ricercatori di robotica nel 2009, erano già stati utilizzati dal 2017 al 2020 in Afghanistan dall’esercito americano. Quel che è peggio, quei droni, inizialmente concepiti per sorvegliare i cantieri urbani e i terreni agricoli, erano stati finanziati con un contributo pubblico di 630 mila franchi dal Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca scientifica. Resta ancora un mistero se Abedini abbia potuto in qualche modo venire a conoscenza di quel progetto. Ma per le istituzioni elvetiche, che pur hanno negato di essere a conoscenza degli sviluppi militari di quella tecnologia, si tratta di un ulteriore motivo di imbarazzo.

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