Auto ibrida, tutti i tipi: mild hybrid, full hybrid, plug-in hybrid

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Mild, full e plug-in hybrid. I sistemi di propulsione ibridi delle vetture sono sempre più diversificati ed evoluti. Una mappa per capire cosa sono e come funzionano

Emilio Deleidi

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Non c’è più l’ibrido di una volta. Bei tempi, quelli in cui bastava poco per fare la figura del grande esperto parlando con gli amici di auto a doppia propulsione, termica ed elettrica. Di tipi, in fondo, ce n’erano soltanto tre: mild, full e plug-in. Le mild, auto ibride per modo di dire: sì, un motore elettrico ce l’hanno, ma non è collegato alle ruote e la batteria ha una capacità molto ridotta: in pratica, serve a dare un “aiutino” al motore a benzina o gasolio, riducendo un po’ consumi ed emissioni, senza che l’auto possa muoversi in modalità solo elettrica. Quelle full, invece, il motore a elettroni l’hanno in vari modi inserito nella catena di trasmissione: la batteria, ricaricata come nelle mild dall’energia recuperata in fase di rallentamento, ha una capacità maggiore. Così l’auto può percorrere come se fosse elettrica brevi tratti di strada, che diventano più lunghi nel traffico cittadino, dove i cicli di carica e scarica sono frequenti. Quanto alle plug-in, è il nome stesso a far capire come la batteria debba essere collegata alla corrente per ricaricarsi: essendo molto più capiente, permette alla componente elettrica del sistema di far percorrere all’auto in autonomia parecchi chilometri, da una quarantina al centinaio.

ibrido nell’ibrido

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Tutto chiaro e ben distinto. E, invece, non si fa in tempo ad assimilare questi concetti che i costruttori iniziano a mischiare le carte, tanto da confonderci le idee. È il progresso, bellezza, ma che fatica. Per prima cosa, si è iniziato a fare distinzione tra ibrido full in serie e in parallelo. Nel primo, sia il motore termico sia quello elettrico sono in grado di muovere l’auto; nel secondo, la trazione è fornita solo dal motore elettrico, mentre quello termico funge solo da generatore per caricare la batteria. Esempi? L’e-Power delle Nissan Qashqai e X-Trail. Prevede che il tre cilindri turbo a benzina non agisca mai sulle ruote e che la vettura sia spinta solo dal propulsore a elettroni (due, nella versione 4×4). Ma ci sono anche sistemi misti, come quello Honda (adottato per Jazz, Civic, HR-V e CR-V), in cui la marcia avviene “quasi sempre” in modalità elettrica, perché il quattro cilindri a combustione, che di solito ricarica la batteria, in autostrada si aggancia alle ruote (attraverso un’apposita frizione) e provvede lui alla spinta. E pure la Toyota, che l’ibrido l’ha inventato nel 1997 con la prima generazione della Prius, confonde le acque con il suo più recente sistema, utilizzando uno schema con due motori/generatori elettrici e un ingranaggio che distribuisce i compiti con il motore termico, a seconda delle situazioni. 

quale mild

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Insomma, delle granitiche certezze iniziali ne rimaneva solo una: con le mild hybrid, in elettrico puro non si va mai. È durata poco, però. A sgretolare l’ultimo baluardo è stata Stellantis, con uno schema introdotto sull’Alfa Romeo Tonale e poi adottato su vasta scala per altri modelli del gruppo (da Fiat a Jeep). In linea teorica si tratta sempre di un mild hybrid, perché la batteria (agli ioni di litio) ha una capacità modesta, però il motore elettrico è collocato all’interno del cambio (a doppia frizione). Questo fa sì che, oltre a dare una mano a quello termico, sia in grado di muovere l’auto da solo in partenza e per brevi tratti, fino a una velocità di 30 km/h. Proprio come un’ibrida full. Nasce così una nuova “razza” di auto a doppia propulsione, difficile da incasellare (anche se Stellantis continua a considerarlo uno schema mild). Il sistema ha una sua validità, se anche l’Audi – ed è storia degli ultimi giorni – ne propone una sua interpretazione, battezzata Mhev Plus, che siamo andati a studiare da vicino a Ingolstadt. Qui un motore elettrico è collocato all’uscita del cambio ed è associato a una frizione che lo accoppia o disaccoppia dalla trasmissione: in questo modo può aiutare il motore termico negli spunti o far marciare la vettura in modalità solo elettrica. Compatta ma abbastanza potente (24 Cv e 230 Nm di coppia), questa unità è in grado di recuperare fino a 25 kW di energia nelle fasi di rallentamento, che indirizza a una batteria da 1,7 kWh. Chi guida non si accorge del suo intervento, ma il sistema permette di risparmiare fino a 17 g/km di CO2 e fino a 0,74 litri per 100 km di benzina. Valori che possono sembrare un’inezia, ma che hanno una loro importanza nella battaglia odierna per rientrare nei limiti di emissioni previsti dalla normativa europea ed evitare d’incorrere nelle maximulte previste dalla Ue. Lo schema funziona sia in associazione con motori a benzina, sia con quelli diesel, particolare quest’ultimo importante, visto che Audi non intende, almeno per ora, rinunciare ai suoi efficienti Tdi. Ad adottarlo, al momento, sono le nuove versioni dell’A5 e Q5, realizzate sulla piattaforma Ppc, ma è solo l’inizio perché la casa tedesca, anche se crede fortemente nell’ibrido plug-in come soluzione ponte verso un futuro solo elettrico, prevede di lanciare entro quest’anno sei nuovi modelli Mhev.

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dubbi

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Che cosa ci insegna tutta questa vicenda? Che la tecnologia non si ferma, che la ricerca – stimolata dalle normative che impongono la riduzione delle emissioni – prosegue senza sosta, che soluzioni sempre nuove si affacciano sul mercato. Ma anche che capire le novità è sempre più difficile, che il consumatore rischia di essere disorientato e che quello che oggi ci sembra essere l’ultimo ritrovato, già domani potrà essere superato. E chi deve comprare un’auto nuova, spesso nel dubbio resta fermo. Sono i numeri del mercato a dimostrarlo.





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