Trump e l’effetto domino globale sulle politiche per l’aborto

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Donald Trump non ha perso tempo. Appena tornato alla Casa Bianca, ha reintrodotto la Mexico City Policy, un provvedimento che vieta alle ONG straniere finanziate dagli Stati Uniti di fornire informazioni o servizi relativi all’aborto. Un colpo durissimo per i diritti riproduttivi nel mondo, che conferma come il secondo mandato dell’ex presidente sia destinato a influenzare pesantemente le politiche sanitarie internazionali.

Trump e l’effetto domino globale sulle politiche per l’aborto

I repubblicani la chiamano Protecting Life in Global Health Assistance, i democratici la definiscono la Global Gag Rule – la “museruola globale”. Lanciata per la prima volta da Ronald Reagan nel 1984, questa politica è diventata un simbolo del dibattito ideologico sull’aborto negli Stati Uniti. Ogni presidente repubblicano l’ha reintrodotta, ogni democratico l’ha revocata. Barack Obama l’aveva cancellata nel 2009, Joe Biden aveva fatto lo stesso nel 2021. Ora Trump la ripristina, con un impatto devastante sulle organizzazioni umanitarie che operano nei paesi in via di sviluppo.

Le conseguenze nei paesi più poveri

Le ONG che dipendono dai finanziamenti USA per programmi di salute riproduttiva si trovano davanti a un bivio: rinunciare ai fondi o smettere di offrire servizi legati all’aborto, comprese la semplice consulenza e l’educazione sessuale. La misura colpisce duramente soprattutto l’Africa e il Sud-Est asiatico, dove molte donne non hanno accesso alla contraccezione e si affidano a queste organizzazioni per pianificare gravidanze e ricevere cure mediche.

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Paradossalmente, gli studi dimostrano che queste restrizioni non riducono il numero di aborti, ma li rendono più pericolosi. Un’analisi condotta dal Guttmacher Institute ha evidenziato che quando la Mexico City Policy è in vigore, gli aborti clandestini aumentano del 40% nei paesi più colpiti. Senza alternative contraccettive, molte donne finiscono per rivolgersi a metodi illegali e rischiosi.

La reazione della comunità internazionale

L’Unione Europea e diversi governi progressisti hanno già annunciato contromisure. Nel 2017, dopo la prima reintroduzione della regola da parte di Trump, la coalizione She Decides guidata da Olanda, Canada e Svezia aveva raccolto fondi per compensare la perdita di finanziamenti americani. È probabile che un’azione simile venga organizzata nuovamente, ma difficilmente potrà colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti, il principale donatore mondiale per la salute globale.

Anche le Nazioni Unite hanno espresso preoccupazione. Il direttore esecutivo dell’UNFPA, l’agenzia ONU per la popolazione, ha definito la decisione un “grave passo indietro per i diritti delle donne e la salute pubblica”. Le pressioni sul Segretario Generale António Guterres affinché adotti una posizione forte sono in aumento.

La spinta ai movimenti anti-abortisti nel mondo

Oltre alle conseguenze pratiche, la decisione di Trump rischia di rafforzare i movimenti anti-abortisti in molti paesi. In America Latina, dove la depenalizzazione dell’aborto ha fatto passi avanti negli ultimi anni, i governi conservatori potrebbero sentirsi incoraggiati a introdurre nuove restrizioni. Negli ultimi mesi, in Argentina e Messico, forze politiche legate alla destra religiosa hanno già lanciato campagne per annullare le riforme progressiste.

Anche in Europa il fronte anti-aborto si riorganizza. In Italia, Polonia e Ungheria, i gruppi pro-vita vedono nella linea di Trump un modello da seguire. L’alleanza tra il conservatorismo americano e quello europeo si è già rafforzata negli ultimi anni attraverso think tank e network politici che lavorano per limitare i diritti riproduttivi.

Cosa succede ora?

L’effetto domino delle scelte di Washington è appena iniziato. L’amministrazione Trump non si fermerà alla Mexico City Policy: nelle prossime settimane potrebbero arrivare nuovi tagli ai fondi per l’UNFPA e altre misure per vincolare gli aiuti esteri al rispetto di principi conservatori.

Ma la storia dimostra che i diritti delle donne non si cancellano facilmente. Se da un lato la Casa Bianca alza il muro, dall’altro le piazze si riempiono. Negli Stati Uniti le proteste contro le restrizioni sull’aborto sono già iniziate, e anche in Europa e America Latina le organizzazioni femministe stanno preparando una mobilitazione globale.

Il messaggio è chiaro: la guerra sull’aborto non si gioca solo nei tribunali americani, ma sulle vite di milioni di donne in tutto il mondo.

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