Primavera serba, 50mila studenti sfidano il regime di Vucic

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Sonja Ponjavić, una studentessa della Facoltà di Giurisprudenza di Belgrado, è stata gravemente ferita quando il conducente di una Ford Fiesta l’ha investita sul marciapiede. La ragazza è stata trascinata sul tetto dell’auto prima di essere scaraventata sull’asfalto, mentre il conducente fuggiva. Sonja, vent’anni, è una delle migliaia di studenti che negli ultimi due mesi sono scesi in strada ogni giorno per bloccare il traffico a Belgrado e in altre città serbe per 15 minuti.

Una forma di protesta e un omaggio alle vittime della tragedia avvenuta il primo novembre dell’anno scorso, quando il crollo di una tettoia appena ristrutturata della stazione ferroviaria di Novi Sad ha causato la morte di 15 persone, tra cui due bambine.

Sonja è ora in condizioni stabili, anche se ha riportato gravi lesioni alla testa. Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha espresso i suoi auguri per una pronta guarigione, nonostante in diversi discorsi pubblici, da quando sono iniziate le proteste e i blocchi degli studenti, avesse sottolineato che chi investe gli studenti con la propria auto – un evento che si verifica sempre più spesso – è in qualche modo giustificato, perché gli automobilisti hanno il diritto di passare e raggiungere le proprie destinazioni.

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Vučić ha inoltre affermato che gli studenti che dal 22 novembre hanno occupato oltre 60 facoltà e bloccano ogni giorno le strade delle varie città, chiedendo la giustizia per quello che è accaduto a Novi Sad, mirano in realtà «a distruggere il Paese».

Le proteste degli studenti serbi sono cominciate quando davanti alla Facoltà di Arti drammatiche di Belgrado un gruppo di persone ha aggredito alcuni ragazzi. Alcuni sono stati picchiati da parte degli attivisti del Partito Progressista Serbo (Sns), vicino a Vučić. Una delle studentesse è stata gravemente ferita quando è stata colpita alla testa con una mazza da baseball, episodio che ha fortemente colpito il premier serbo, Miloš Vučević che si è dimesso il giorno dopo.

Con lui si è dimesso anche il sindaco di Novi Sad, Milan Đurić. Ma, a più di due mesi dal tragico incidente a Novi Sad, non sono ancora stati individuati tutti i responsabili. Due dei ministri si sono dimessi, uno di loro, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Goran Vesić è stato anche arrestato, ma rilasciato pochi giorni dopo. Questi sviluppi hanno ulteriormente alimentato lo scetticismo dell’opinione pubblica sulla genuinità delle indagini.

Il presidente serbo appare quasi quotidianamente sui canali televisivi affiliati al regime, con più di 340 apparizioni in un solo anno; affronta ogni questione, assumendosi autorità su temi ben al di là delle sue competenze presidenziali. «In un Paese democratico, dopo il tragico evento in cui sono state perse 15 vite e altre due persone ferite gravemente, sarebbe il Procuratore generale a dire come pensa di condurre le indagini», dice Miodrag Jovanović, professore presso la Facoltà di Giurisprudenza a Belgrado e uno dei promotori dell’iniziativa “ProGlas” (Proclamazione), con la quale i cittadini critici nei confronti del potere si sono mobilitati per partecipare alle elezioni parlamentari del 17 dicembre dell’anno scorso. Invece, lo stesso giorno dopo la tragedia è stato lo stesso Vučić a dire che tutti i responsabili saranno puniti. «Quello che finora non è successo.

Se il Procuratore cominciasse a fare il suo lavoro, quello che chiedono gli studenti, porterebbe la sua fine, in quanto sia lui che i suoi ministri dovrebbero essere processati», dice Goran Ješić, il leader del movimento di opposizione Solidarnost (Solidarietà).

Queste proteste sono diverse da quelle degli anni passati. Sono guidate dagli studenti e riguardano il loro futuro. Sono decentralizzate, non hanno leader e ogni giorno nelle facoltà si tengono riunioni plenarie dove si decidono le prossime mosse. «Non vogliamo dialogare con il presidente o con i suoi ministri, ma chiediamo risposte dalle istituzioni», ribadisce Milica Ivković, studentessa della Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado, aggiungendo che a loro non importa ciò che dice il capo dello Stato, che viola costantemente la Costituzione.

«Non faremo un passo indietro rispetto alle nostre richieste. Insistiamo affinché le istituzioni competenti facciano il loro lavoro», conferma Barbara Alija, compagna di studi di Ivković, aggiungendo che questa è la loro lotta e il loro Paese, dove «vogliano rimanere e vivere».

Il maresciallo Tito disse una volta che «gli studenti hanno sempre ragione», e questo accadeva nel 1968, durante una delle più grandi manifestazioni studentesche, sia in Jugoslavia che in tutta Europa. «Anche se Vučić potrebbe desiderare di emulare il maresciallo Tito, il presidente serbo ha perso il contatto con la realtà. Per la prima volta nei suoi 12 anni di potere, si trova in una situazione in cui la controparte rifiuta di impegnarsi in un dialogo diretto con lui. Questo lo fa impazzire, e nessuno può prevedere come andrà a finire», osserva la professoressa di storia Dubravka Stojanović che insegna alla facoltà di Filosofia di Belgrado.

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Aggiunge che ciò che sta accadendo in Serbia rappresenta un punto di svolta, in cui una nuova generazione si sta facendo sentire con forza e determinazione. Dopo il tragico incidente in cui Sonja Ponjavić è stata investita, gli studenti di tutte le facoltà, insieme ad altri cittadini, si sono diretti verso la sede della Rts (Radio Televisione della Serbia), ed erano 50 mila a marciare, per esprimere il loro dissenso contro la censura e la mancanza di copertura degli eventi in Serbia da parte dei media del servizio pubblico.

Zoran Kesić, il famoso giornalista e conduttore serbo era insieme agli studenti, come durante le proteste del 2000 quando lui stesso era un universitario in rivolta contro un governo autoritario e quando i cittadini serbi hanno combattuto il regime di Slobodan Milošević. «Questi giovani lottano per una società migliore, per una società in cui i politici devono capire che il potere è cambiabile», dice Kesić. Fiducioso che lo spirito della libertà questa volta è più forte della paura



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