le indagini di Carbone nel romanzo ”Pioggia salata”

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L’autore del libro, Massimiliano Festa, vittima di un attentato: “Volevano buttarmi sulla macchina che bruciava”

Il libro si intitola “Pioggia salata“, autopubblicato con Amazon da Massimiliano Festa, 49 anni, in gioventù già paracadutista e tiratore scelto della Folgore.
Racconta – in forma di romanzo – della sua vita come paracadutista le missioni in Kuwait e in Iraq alla fine degli anni 90, i civili ammazzati dagli americani, la storia di una figlia segreta di Vladimir Putin, l’assassinio della giornalista Ilaria Alpi e del suo collega Miran Hrovatin e quelli di due parà: Lorenzo D’Auria che lavorava anche per il Sismi, ucciso in Afghanistan nel 2007 e Marco Mandolini, assassinato nel 1995 a Livorno.
Sono solo storie?
No di certo.
Il libro cita (tra le altre cose) le ricerche svolte dal criminologo forense Federico Carbone; per quali certi ignoti misero dei proiettili fuori dalla sua abitazione tra il maggio e il giugno del 2023.
Le indagini (raccontate in un articolo de ‘il Giornale’ firmato da Gianluca Zanella) nello specifico si riferivano, anche, alle rivelazioni di un generale dell’esercito USA di stanza a Camp Darby, una donna vicina alla Cia, la quale aveva rivelato in via confidenziale che la famosa agenzia di spionaggio americana sapeva già con 24 ore di anticipo della morte di Marco Mandolini.
Nello specifico l’ufficiale americano avrebbe visto il 12 giugno dello stesso anno un’informativa sulla scrivania di un suo superiore in cui si annunciava la morte di un incursore italiano.
L’informazione era stata raccolta da Francesco Mandolini (fratello di Marco) e, appunto, dal criminologo Carbone il quale, intervistato sempre da ‘il Giornale’ aveva parlato di “un omicidio premeditato che l’intelligence Usa, in qualche modo, conoscesse già per la cooperazione con quegli stessi uomini che facevano parte di un servizio segreto in qualche modo collegato alla Nato (e anche alla Cia, se vogliamo). Del fatto che loro sapessero del disegno orchestrato. Ecco, secondo me, a cosa si riferisce la fonte. Lei vide una velina, un documento sul tavolo di un ufficiale che faceva riferimento ad un’operazione di questo tipo“.
È forse per queste informazioni citate e romanzate nel libro il pickup Mitsubishi L200 di Massimiliano Festa che è stato dato alle fiamme con l’intento di ucciderlo?
L’ex militare al ‘Fatto Quotidiano’ ha raccontato che erano in due: “Ho sentito dei rumori, ho fatto per aprire e mi hanno spinto dentro, c’è stato un parapiglia. Mi hanno preso uno per gli avambracci e l’altro per le caviglie, mi hanno portato fuori. Volevano buttarmi sulla macchina che bruciava. Ma c’è stata una fiammata, quello davanti ha mollato, forse perché si è scottato”.
E poi ancora: “Mi sono divincolato, ho scalciato e sono scappato”.
L’uomo ha riportato ustioni non gravi alla gamba sinistra, una distorsione alla caviglia, contusioni e piccole ferite.
Uno degli aggressori, racconta il militare “l’ho riconosciuto, era già venuto a giugno e mi aveva detto: ‘Lo devi proprio pubblicare il libro?’. Nessuna minaccia, ma sai…”.


La Cia e la morte di Mandolini

Per quale motivo la Cia era interessata alla morte di Mandolini?
Secondo Carbone la risposta “la troviamo nei comuni interessi che Italia e Stati Uniti hanno avuto in Somalia. Gli uomini che hanno compiuto l’omicidio erano probabilmente legati alle vicende del paese africano. Ed è forse per questo che gli americani si sono interessati alla vicenda”.
La fonte, ricordiamo, avrebbe anche rivelato particolari inquietanti sulla strage di Capaci: “In una delle nostre conversazioni mi fece capire che anche a Capaci erano coinvolti loro. Non so in quali termini precisi, ma l’ha fatto intendere. Quando parlo di loro parlo della struttura, quindi della Cia“, ha detto Carbone.
Non è la prima volta che si fa riferimento alla Cia, oppure a certi gruppi ad essa collegati che avrebbero operato sul suolo italiano: in particolare la VII Divisione del Sismi, le cosiddette Sezioni Ombra, oppure della famigerata “Sezione K”.
Le sezioni ombra, spiega il criminologo su ‘il Giornale’ erano “composte da membri della VII Divisione del Sismi, personale con un livello di addestramento tale da poter essere impiegato in missioni particolarmente complicate”. 
Questa struttura, “esiste ed è ancora operativa. Può cambiare nome, può cambiare strategia, ma il modo di operare è sempre lo stesso. E non solo in Italia. Anche i fatti attuali potrebbero trovare, in qualche modo, delle chiavi d’interpretazione diverse rispetto a quanto si tende frettolosamente a trasmettere“.
La procura, allo stato attuale, sta scavando “nei rapporti e nelle possibili frequentazioni tra Marco e gli ambienti dei servizi segreti. Ma anche nei rapporti tra Marco e coloro che erano presenti nella lista Fulci (Francesco Paolo Fulci, tra il 1991 e il 1993 segretario generale del Cesis. Nel 1993 redige una lista in cui indica 15 sottufficiali della VII Divisione del Sismi come appartenenti alla Falange armata, nda). In qualche modo, alcuni di quei nomi erano realmente in stretto contatto con Marco. Inoltre, abbiamo ripreso verbali anche di altri procedimenti, alcuni presso la procura di Roma, che riguardavano la morte di Vincenzo Li Causi. In particolare, una deposizione di un militare del Tuscania (Paolo Belligi, nda), il quale fece riferimento ad una voce di corridoio secondo la quale la morte di Li Causi sarebbe da attribuire a coloro che erano presenti nel mezzo. Tra i presenti c’era anche un membro della Settima Divisione e della lista Fulci. Un altro amico di Marco, anch’egli presente nella lista Fulci, ebbe un ruolo cruciale in alcune tappe dell’indagine iniziale. Questo amico – denunciato da Marco per questioni legate alla droga – sostenne che Marco gli avesse fatto delle avance, di fatto accreditando la pista dell’omicidio maturato in un contesto omosessuale“. 
Su questa storia stanno iniziando brandelli di verità: infatti l’apertura di un’inchiesta aperta presso la procura di Livorno lo si deve soltanto a un avvocato, Dino Latini, al criminologo Federico Carbone e al fratello di Marco, Francesco Mandolini, che non ha mai gettato la spugna e che ancora oggi si batte per la verità. 

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