la morte 9 anni fa, la vicenda, i depistaggi, il processo

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Sono trascorsi più di nove anni dalla morte di Giulio Regeni. E ancora i genitori del ricercatore friulano, Claudio Regeni e Paola Deffendi, ospiti questa sera da Fabio Fazio sul Nove, chiedono quella verità e giustizia che non hanno ottenuto. Nonostante una commissione parlamentare d’inchiesta, un processo cominciato tra mille difficoltà e tuttora in corso al tribunale di Roma, e la promessa di un impegno sul caso fatta da tutti i governi italiani che in questi anni si sono avvicendati. 

I depistaggi

Erano le 19.41 del 25 gennaio 2016 quando Regeni, dottorando italiano dell’Università di Cambridge, originario di Fiumicello in provincia di Udine, inviò il suo ultimo messaggio dal Cairo, dove si era recato per studiare il funzionamento dei sindacati locali. Il suo cadavere, con evidenti segni di tortura, fu ritrovato il 3 febbraio successivo, lungo l’autostrada che collega Il Cairo ad Alessandria. Fin da subito, apparve chiaro che l’Egitto – e in particolare i servizi segreti egiziani – avessero avuto un ruolo nella morte del ricercatore ventottenne, nonostante le smentite del regime di Al Sisi. Ed è questa la tesi sostenuta dalla procura di Roma, dove un anno fa è cominciato il processo (in contumacia) a carico di quattro agenti della National Security, accusati di averlo rapito e torturato fino alla morte. 

Nel 2016 in realtà partono due inchieste parallele: una della procura del Cairo, l’altra dei pm della Capitale. Dall’Egitto però fin da subito arrivano i primi depistaggi. Ce ne saranno ben quattro, secondo la procura di Roma. Dall’incidente all’omicidio passionale, fino allo spaccio di droga: questi alcuni dei moventi con cui il Cairo prova a spiegare la morte del ricercatore torturato, sviando l’attenzione da pezzi dei propri servizi. Fino ad arrivare all’uccisione di cinque presunti sospettati dell’omicidio, il 24 marzo 2016. A casa di uno dei cinque, viene ritrovato il passaporto di Giulio, ma le indagini successive dimostreranno che a portare lì il documento era stato un agente della National security, i servizi segreti civili egiziani.

La svolta

Dopo anni di reticenze da parte del Cairo, nel 2018 arriva la svolta. La procura di Roma iscrive nel registro degli indagati il nome di cinque militari egiziani ritenuti responsabili del sequestro di Regeni.

Spetta però ai canali diplomatici chiedere alla procura del Cairo di perseguire in patria gli assassini di Giulio. E di nuovo le indagini procedono a singhiozzi. Con l’Egitto che si rifiuta di fornire gli indirizzi degli imputati. E la famiglia Regeni che accusa il Cairo di ostruzionismo nella ricerca della verità. 

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Durante gli accertamenti, agli investigatori italiani  viene concesso di interrogare alcuni testimoni solo per pochi minuti. Si scopre anche che le riprese video delle telecamere installate nella stazione della metro dove Giulio è scomparso sono state cancellate e quindi non sono più reperibili. Solo mesi dopo l’inizio delle indagini i pm egiziani ammetteranno per la prima volta che il ricercatore era stato effettivamente controllato e indagato dalla polizia.

La convinzione dei pm italiani intanto si rafforza: il ricercatore fu torturato e ucciso perché ritenuto una spia. Gli inquirenti accerteranno poi che a venderlo ai servizi segreti civili sarebbe stato il capo degli ambulanti, Muhammad Abdallah, con cui il ricercatore era venuto in contatto per i suoi studi. Alla fine, un anno fa, il processo a Roma parte dopo diversi rinvii e sospensioni per l’assenza degli imputati. Si procede in contumacia, grazie a una sentenza della Corte costituzionale che dà il via libera nonostante la mancata notifica agli accusati: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. I quattro sono imputati per il reato di sequestro di persona pluriaggravato. Al solo Magdi Ibrahim Abdelal Sharif è contestato anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato. «Sul suo corpo vidi la brutalità delle torture», ha detto nell’udienza di pochi giorni fa la madre del ricercatore. Ora, a nove anni dalla scomparsa di Giulio Regeni, la speranza dei genitori è quella di ottenere una volta per tutte la verità. 

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