Ivrea si illumina di blu, il mondo è in fiamme – Foto 1 di 46

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In occasione della Giornata Nazionale delle Vittime Civili delle Guerre, il Castello e piazza Ottinetti si sono illuminati di blu per dire “Stop alle bombe sui civili”. Una bella iniziativa, se non fosse che nessuno ha pensato di coordinarla con il presidio per la pace che da 154 settimane si tiene in città. Insomma, un’altra occasione persa per dare forza a un messaggio che, a Ivrea come nel resto del mondo, meriterebbe più ascolto e meno ipocrisia.

Detto questo, anche questa settimana, anche sabato scorso, nonostante il freddo e la pioggia, cittadini, attivisti e rappresentanti delle associazioni locali non hanno smesso di denunciare la brutalità delle guerre in corso e l’immobilismo della politica internazionale. Sotto gli ombrelli fradici, le parole di Pierangelo Monti hanno posto l’attenzione su uno dei drammi più strazianti del nostro tempo: la devastazione della Striscia di Gaza.

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“Abbiamo scelto di mettere sulla locandina di questo 154° presidio l’immagine dell’esodo dei palestinesi verso le macerie delle loro case, per ricordare che questa guerra non è finita”, ha esordito Monti. La fragile tregua accordata per Gaza non è un cessate il fuoco definitivo e, mentre nel mondo si parla di pace, in Cisgiordania le violenze continuano indisturbate, con la complicità dell’indifferenza internazionale. Intanto, altre guerre proseguono lontano dai riflettori, dal Congo al Sudan, dal Kurdistan all’Ucraina, ormai giunta al terzo anno di conflitto senza una prospettiva reale di soluzione diplomatica.

Il presidio ha anche fatto memoria della Shoah, ricordando le vittime dell’Olocausto con parole che non hanno risuonato solo come un omaggio al passato, ma come un monito per il presente. “Ricordare non basta: bisogna agire per impedire che accada di nuovo”, ha ribadito Monti, citando Etty Hillesum, la scrittrice ebrea morta ad Auschwitz: “Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile”.

Eppure, proprio nel cuore di Gaza, la storia sembra ripetersi. Le testimonianze delle persone tornate nelle zone devastate sono disarmanti: mancano case, strade, acqua, elettricità, cibo e medicine. In molti tornano solo per seppellire i propri cari. “Hai ancora una casa?” è la domanda che echeggia tra i sopravvissuti.

A questo si aggiunge la decisione del governo israeliano di vietare l’attività dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che fornisce aiuti ai profughi palestinesi. Israele ostacola persino l’ingresso degli operatori umanitari nella Striscia, paralizzando la già fragile rete di assistenza. E intanto, Donald Trump si lancia in dichiarazioni deliranti, convinto di poter risolvere il problema con la sua solita arroganza, ipotizzando lo spostamento della popolazione di Gaza in altri paesi.

Mentre Gaza brucia, altre guerre vengono dimenticate. Nel Kurdistan, i bombardamenti della Turchia contro il Rojava continuano senza sosta, mettendo a rischio una regione che si regge su un modello di convivenza etnica, parità di genere ed ecologismo sociale. “Donna, vita, libertà”, gridano i curdi resistendo all’attacco di Ankara. Intanto, la Rete Kurdistan Italia denuncia il ruolo dell’Italia negli accordi militari con la Turchia, che non fa che alimentare il massacro.

In Congo, la crisi umanitaria ha assunto proporzioni apocalittiche: gli scontri tra i ribelli filo-ruandesi dell’M23 e l’esercito congolese hanno trasformato intere città in campi di battaglia. A Goma, l’acqua e la luce sono ormai un lontano ricordo, mentre il commercio illegale di minerali strategici come il coltan e il cobalto prosegue nell’indifferenza globale.

Intanto, in Ucraina, il conflitto sembra entrato in una fase stagnante, con una popolazione stremata e demoralizzata. “Non si tratta più di mancanza di armi, ma di uomini disposti a combattere”, ha sottolineato Monti, citando un rapporto secondo cui più di 100.000 soldati ucraini sono stati incriminati per diserzione, mentre il numero reale potrebbe essere ben più alto.

Uno dei momenti più importanti del presidio è stato il dibattito sulla lettera da inviare al sindaco Matteo Chiantore e ai gruppi consigliari del Comune di Ivrea, per esprimere indignazione sulla proroga dell’invio di armi italiane all’Ucraina fino al 31 dicembre 2025. Cadigia Perini ha letto il testo interrogandosi sulle scelte di politica italiana e sull’allineamento del Partito Democratico alle posizioni della maggioranza di governo.

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Il presidio ha anche acceso i riflettori sulla repressione israeliana in Cisgiordania, denunciata dall’ex eurodeputata Luisa Morgantini, recentemente arrestata con altri attivisti mentre documentava gli abusi nei territori occupati. “Siamo chiusi in celle, ogni villaggio isolato. I palestinesi passano ore ai checkpoint, spesso non riescono a tornare a casa”, ha raccontato Morgantini in una lettera inviata dal campo profughi di Jenin.

A chi chiede cosa propongano i pacifisti, la risposta arriva dalle parole di Norberto Patrignani, che ha citato un editoriale del Manifesto sulla necessità di un nuovo ordine globale basato sul diritto costituzionale internazionale. “Se la politica continua a scegliere la guerra, è nostro dovere ripensare il mondo partendo dai diritti delle persone e dalla diplomazia”, ha detto.

Infine, durante il convegno “Quale Unione Europea con il piano Draghi?” tenutosi due giorni fa a Ivrea, è emersa con chiarezza la pericolosità della corsa al riarmo europeo, che prevede di portare la spesa militare dal 2% al 5% del PIL, sottraendo risorse vitali alla sanità e all’ambiente.

Come sempre, il presidio ha chiuso con una riflessione amara: il mondo sembra sordo al grido di pace. Eppure, settimana dopo settimana, sotto il municipio di Ivrea, c’è chi continua a non arrendersi.





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