AGI – Non è un Consiglio europeo e nemmeno un vertice informale. È un ritiro, un ‘brainstorming’, quello dei ventisette capi di Stato o di Governo dell’Unione europea che si riuniranno oggi al Palais d’Egmont, nel cuore di Bruxelles (doveva essere a Le Chateau de Limont ma non è stato possibile per motivi di sicurezza). I 27 devono sostanzialmente rispondere a tre questioni: definire le capacità di difesa; come spendere di più e meglio e come gestire le partnership esistenti. E a questo punto devono rispondere anche alle minacce di Donald Trump di imporre dazi contro il blocco europeo.
Ovviamente ciascuno dei leader del Continente si presenterà con le proprie di risposte, spesso in contrasto con quelle dei colleghi. Il successo sarebbe uscire a fine giornata – quando il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente di turno, il premier polacco Donald Tusk si presenteranno davanti alla stampa – con un piano che metta insieme le risposte condivise per il futuro della difesa europea.
On Monday, EU leaders will meet to discuss European defence during an informal retreat at the Palais d’Egmont in Brussels.
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— EU Council (@EUCouncil) January 31, 2025
Un vertice inedito
I Ventisette avranno due ospiti: il segretario generale della Nato, Mark Rutte, a pranzo e il premier britannico, Keir Starmer, a cena. “Ci sono tre primati in questo vertice: è il primo interamente dedicato alla difesa, è il primo dal re-insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca ed è il primo a cui partecipa un premier britannico dalla Brexit”, ha spiegato un diplomatico europeo.
“L’Europa deve assumersi una maggiore responsabilità per la propria difesa. Deve diventare più resiliente, più efficiente, più autonoma e un attore più affidabile in materia di sicurezza e difesa. Così facendo, diventerà anche un partner transatlantico più forte, anche nel contesto della Nato, nel pieno rispetto della politica di sicurezza e difesa di alcuni Stati membri e tenendo conto degli interessi di sicurezza e difesa di tutti gli Stati membri”, ha spiegato Costa nella sua lettera d’invito. “Negli ultimi anni, gli Stati membri hanno già aumentato la loro spesa nazionale per la difesa. Sappiamo tuttavia che sono necessari ulteriori investimenti sostanziali”, ha sottolineato.
Sulla necessità di irrobustire la difesa e diventare più autonomi sono tutti d’accordo. Il punto è come farlo; quando farlo e soprattutto con quali soldi farlo. “Siamo tutti d’accordo anche sul fatto che non possiamo attendere il nuovo Quadro finanziario pluriennale perché vuol dire ricevere i primi fondi nel 2028-2029. Non possiamo aspettare perché Putin non aspetta“, ha spiegato un diplomatico europeo.
Chiarito l’elemento di comunanza, rimangono da affrontare i diversi punti di attrito, a partire dalla definizione delle capacità militari. Per alcuni è un compito che va affidato alla Nato, perché “alla fine la difesa europea rimane sotto la Nato“. Per altri – visto anche che la Nato non rappresenta tutti all’interno dell’Ue (Irlanda, Malta, Cipro e Austria non sono membri dell’Alleanza) – l’Unione deve poter definire le proprie capacità. E ancora: chi si occupera’ di difesa? “Vogliamo bene alla Commissione europea, ma sappiamo che questo non è il suo compito“, ha ironizzato un diplomatico.
La questione dei fondi
Infine, il principale elemento di discussione: i fondi. I paesi cosiddetti ‘frugali’ non vogliono sentire parlare di nuovi strumenti, fondi comuni, eurobond, Mes, nuova revisione del Patto di stabilità o altro. “Basta leggere il rapporto Draghi: se tutti spendessero il 2% del Pil per la difesa, come concordato anni fa alla Nato, avremmo ogni anno 60 miliardi di euro in più da spendere. È quanto serve per la difesa dell’Ucraina”, ha spiegato un rappresentante dei frugali, “non ha senso parlare di revisione del Patto di stabilità perché il 2% è stato concordato anni fa e tutti lo sapevano”.
Francia e Polonia, tra gli altri, vogliono tenere il dibattito aperto, ma invitano a non fissarsi su un unico elemento (quello dei fondi comuni) perché rischierebbe di farlo deragliare. È punto di scontro anche dove spendere i fondi per la difesa. La Francia, ormai da anni, ha fatto del ‘Made in Europe’ un cavallo di battaglia, meglio ancora se “Made in France”. Per i francesi, indirizzare in fondi dell’Edip (il Programma europeo per l’industria della difesa) fuori dall’Europa non ha alcun senso. E non sono gli unici a pensarla in questo modo. “Nei trattati non c’è scritto che bisogna rafforzare la dipendenza dell’Unione europea da altri Paesi“, ha commentato un ambasciatore europeo. Altri invece chiedono di usare la leva degli acquisti di armi per migliorare i rapporti transatlantici abbastanza burrascosi da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca.
In un’intervista a Politico.eu il vice premier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha invitato proprio a comprare più prodotti americani per evitare una guerra commerciale. Quando i capi di Stato o di Governo affronteranno la questione America, verrà fuori inevitabilmente il caso Groenlandia, con la premier danese, Mette Frederiksen, che chiederà al tavolo il massimo sostegno ai suoi colleghi. Un sostegno che finora è stato ampiamente assicurato. Tuttavia sull’ipotesi avanzata dalla Francia di inviare truppe europee sui ghiacci groenlandesi nessuno si sbilancia.
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