I vini dei figli sono migliori di quelli dei padri (quasi sempre)

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Dettagliato nello spettro floreale, confortevole e disteso, importante senza essere supponente, già appagante perché beneficia di una annata di grande equilibrio.
Oggi però non sono qua a parlarvi del Barolo Brunate 2020 di Giuseppe Rinaldi, che ho trovato semplicemente stupendo, ma di un aspetto che assume i tratti della vera e propria stortura ogni qualvolta sulla nostra tavola abbiamo vini di una cantina storica che ha vissuto un cambio generazionale.

Questo vino è stata solo la scintilla che ha fatto scattare un ragionamento a voce alta con i miei compagni di bevute e che vorrei condividere. Sarebbe potuto succedere con i vini di Valentini, quelli di Coche-Dury e tanti altri.

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Nonostante i capelli sbarazzini e gli occhiali da vista scuri alla Califano mi facciano sentire ancora un ragazzo, ormai ho raggiunto quel punto della vita in cui sono troppo vecchio per essere un giovane e troppo giovane per essere un vecchio, quell’età di mezzo in cui per molti miei coetanei i ricordi si fanno più ingombranti e le speranze più flebili.

È un atteggiamento che non mi appartiene, anzi continuo a fare una vita frenetica per allontanare il più possibile quel momento descritto così bene da Fabrizio De André in quel capolavoro che è Le Passanti, in cui “il rimpianto diventa abitudine”.

Sarà per questo, o magari per un fatto oggettivo, che ho sempre trovato una puttanata, nonché un falso storico, quella tiritera che si sente spesso dei figli che non fanno più vini buoni come quelli dei padri. Nella maggior parte dei casi producono cose migliori ma chissà perché si fatica a notare l’ovvio. Tutto questo non è fatto in malafede ma è un meccanismo che ha diversi protagonisti che uniti tra loro rafforzano questa credenza fino a stravolgere una verità fattuale: nella maggioranza dei casi i vini di oggi sono migliori di quelli di trent’anni fa.

Si va dal semplicistico “si stava meglio quando si stava peggio” a più complesse dinamiche emotive, fino ad arrivare al nostro sentire, che cammina lentamente mentre il mondo intorno a noi corre. Se ci pensate, noi cinquantenni siamo passati dalla televisione in bianco e nero all’intelligenza artificiale e, per quello che vedo intorno a me, il ricordo dei bei tempi andati è un qualcosa che ci fa star bene. Una coperta di Linus.

Ma torniamo al vino.
Oggi i vini sono migliori perché pulizia e igiene della cantina sono notevolmente migliorate, il boom economico degli anni passati ha portato investimenti tecnologici e magari ha contribuito a cambiare botti che stavano lì dai tempi in cui ci fu il cambio tra i sesterzi e la lira.

Per quanto nel nostro immaginario ci sia un prima e un dopo, la linea di demarcazione, salvo eventi tragici, non è mai netta: i figli quasi sempre sono nati e cresciuti in queste cantine e di anno in anno i padri hanno affidato loro compiti sempre maggiori fino ad arrivare ad una piena collaborazione.

Il passaggio del testimone avviene ufficialmente solo con la scomparsa dei genitori o in casi meno tragici quando questi decidono che è arrivato il momento di godersi la pensione, ma di fatto avviene molto prima di quanto non crediamo.
Ma andiamo avanti: per le generazioni passate, fare vino era molto più facile, non esistevano pressioni, a parlare di vino erano quattro gatti e con buona probabilità che li ascoltava ancora meno. La più alta variabilità delle annate se non delle bottiglie ci faceva saltare dalla sedia davanti ad un vino eccezionale ma occorre considerare che più la forbice qualitativa è alta, più l’alto sembra alto.

Per capirci: se ti interrogano e prendi cinque e la volta dopo ci scappa un sette e mezzo, per te sarà un grande risultato e ti sentirai come se avessi preso nove, ma sempre sette e mezzo rimane.
Logicamente sto enfatizzando, e anche anni fa si sono fatti vini magnifici che ho bevuto e bevo tuttora con grande gioia ma la qualità media dei vini di oggi è così spostata verso l’alto che da quella sedia si salta meno perché è più difficile trovare il vino in grado di fare la differenza.

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Un altro aspetto non trascurabile riguarda il fatto che un tempo i vini costavano infinitamente meno e noi “vecchi” abbiamo avuto possibilità di acquistarne in quantità facendo cantina: questo significa che abbiamo avuto occasione di berli in uno stato evolutivo migliore, vedendone amplificate le qualità delle versioni più significative.

Quanti sono i trentenni che oggi acquistano sei bottiglie del vino in oggetto per berlo fra dieci anni? E quanti sono invece quelli che magari comprano una bottiglia in quattro per assaggiarlo oggi? Decisamente più i secondi. Infatti, nonostante sia un amante dei vini maturi, sono convinto che la maggiore prontezza dei vini di oggi sia un plus in primis per chi si sta avvicina al mondo del vino, e in seconda battuta anche per noi che non rischiamo di acquistare cose che quando sarà ora di bere ci toccherà farlo con il Creatore mentre renderemo conto dei nostri peccati. La cosa potrebbe essere anche buona perché credo proprio che il buon Dio con un calice di Brunate in mano uno sconticino me lo farebbe più a cuor leggero. Potrei continuare dicendo che per via delle condizioni climatiche estreme, ormai la norma, oggi è più difficile fare vino ma direi che può bastare.

Insomma, lasciamo stare i figli, lasciamoli lavorare come gli hanno insegnato quelli prima di loro, lasciamo che mettano chi sono in ciò che gli è stato tramandato e godiamo del loro lavoro con la mente libera da vincoli. Tutto cambia, facciamolo anche noi.

“E mentre tu continui ad invecchiare / il mondo gira sempre più veloce non si può fermare / sei tu che devi accelerare amico / lui non ti può aspettare” (Ambarabacciccicoccò, Vasco Rossi).

[Cover: Rockol]








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