I dazi sull’auto imposti da Trump fanno tremare l’intero settore con i costruttori europei che registrano pesanti perdite in borsa. E mentre si annunciano misure anche contro l’Ue, la transizione ecologica è sempre più a rischio.
- Trump impone dazi del 25 per cento a Messico e Canada, del 10 sulla Cina
- Forte l’impatto anche sui costruttori auto europei, molti con stabilimenti produttivi in Messico
- L’annunciata estensione dei dazi all’Unione europea e i rischi per la transizione ecologica
Che il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca non avrebbe fatto bene al mercato dell’auto, né alla sua già complessa transizione ecologica, è un tema che avevamo già condiviso qui tempo fa. I primi effetti però, negativi ovviamente, incominciano a vedersi adesso. Parliamo dell’ultima mossa di Trump che ha letteralmente scosso i mercati globali: l’imposizione di dazi del 25 per cento sulle merci provenienti da Messico e Canada, del 10 per cento sui prodotti cinesi annunciati sabato e in vigore da martedì 4 febbraio, ha provocato un terremoto nelle borse mondiali, colpendo in particolare il settore automotive. D’altro canto, come ricorderete, il 4 ottobre scorso è stata la volta degli stati membri dell’Unione europea che avevano a loro volta confermato il via libera ai dazi doganali sulle importazioni delle auto elettriche cinesi.
Prima di tornare all’attualità di questi giorni, vi ricordate l’obiettivo dichiarato dall’Unione sui dazi? Difendere l’industria automobilistica europea (nel caso di Trump ovviamente quella americana, dell’auto ma anche di molti altri beni) da pratiche ritenute sleali, ristabilendo – almeno nelle intenzioni – condizioni di equilibrio con i produttori cinesi, accusati di beneficiare di massicci sussidi pubblici. Insomma, prima il problema era la Cina, adesso Canada e Messico, a breve sarà il turno dell’Europa. Ma chi pagherà le conseguenze? Lo stiamo già vedendo. I consumatori, gli investitori. Insomma, noi. Il protezionismo, l’isolamento, le barriere – come abbiamo più volte ribadito qui – non hanno mai sortito effetti positivi. E i dazi sull’auto, elettrica e no, rischiano di trasformarsi in un clamoroso autogol, rallentando la transizione ecologica dell’auto.
Dazi auto: il crollo in borsa per i costruttori europei e le stime (negative) degli analisti
Torniamo agli effetti (catastrofici) degli annunci di Trump. Gli analisti temono che i dazi sul Messico potrebbero essere più dannosi per le case automobilistiche europee e i loro fornitori di qualsiasi altro dazio diretto sui beni dell’Ue. Infatti, come ha ricostruito nel dettaglio Reuters, la reazione dei mercati all’annuncio dei dazi non si è fatta attendere con le azioni dei principali costruttori europei in forte perdita: Stellantis -6,8 per cento, Volkswagen -5,6, Volvo -6,5 per cento. Anche i marchi premium tedeschi hanno sofferto, con Mercedes-Benz, BMW e Porsche che hanno perso tra il 3,6 e il 4,3 per cento.
E non finisce qui. Perché secondo gli analisti della banca d’investimento Stifel, l’impatto dei dazi potrebbe essere ancora maggiore proprio per alcuni costruttori europei. Per Volkswagen si stima che circa 8 miliardi di euro di ricavi saranno influenzati dai nuovi dazi voluti da Trump, mentre per Stellantis la cifra sale a 16 miliardi. In termini di reddito operativo per il 2025, questo si tradurrebbe in una riduzione del 12 per cento per Volkswagen e del 40 per cento per Stellantis. Le cose non vanno meglio in Asia, dove le azioni delle giapponesi Toyota e Nissan, come riportato dalla CNBC hanno perso oltre il 5 per cento, Honda è crollata del 7,2, Mazda di oltre il 7,5 e Kia di quasi il 6 per cento.
Le ragioni (meglio, i torti) di Trump
Il presidente americano avrebbe giustificato i dazi a Messico e Canada, includendo pure senza citarli anche quelli dell’auto, sollevando temi come “la minaccia dell’immigrazione clandestina e le droghe mortali che uccidono i nostri cittadini”. In realtà, sull’auto elettrica già durante la campagna elettorale Trump aveva espresso il suo forte scetticismo, promettendo di voler “trivellare ovunque”, alludendo a un maggiore sfruttamento dei giacimenti americani di petrolio.
Tra le intenzioni di Trump anche l’annullamento degli standard sulle emissioni e dei crediti federali a sostegno dei veicoli elettrici. Insomma, tutto previsto viene da dire: da una parte la battaglia contro le politiche ambientaliste poi il protezionismo, prima solo contro le auto elettriche cinesi, adesso contro ogni auto non venga costruita negli Stati Uniti. Eppure, fra i consiglieri di Trump ci sarebbe anche un certo Elon Musk, che però al momento sembra non pensare troppo alla sua Tesla e ai benefici dell’auto elettrica.
Perché i dazi sono una minaccia anche per la transizione ecologica dell’auto
Basta vedere le reazioni delle borse per capire che le preoccupazioni del settore automotive europeo non si limitano all’impatto dei dazi su Messico e Canada. Trump di fatto lo ha già anticipato, anche l’Unione europea potrebbe essere “molto presto” la prossima vittima di ulteriori dazi, sull’auto e su altri beni. Minacce a cui, ovviamente, l’Ue ha già annunciato di voler rispondere in modo proporzionale alle eventuali misure americane. Un dubbio, più volte condiviso qui: siamo certi che difendere i confini dell’industria automobilistica, americana, europea o cinese che sia non finisca proprio per trasformarsi in un clamoroso autogol, rallentando la transizione ecologica dell’auto, l’innovazione e innescando una spirale negativa?
Le parole di Trump al forum di Davos e la reazione preoccupata dei costruttori europei
“If you don’t make your product in America, which is your prerogative, then very simply, you will have to pay a tariff,” così aveva spiegato in video collegamento Trump durante il recente World Economic Forum di Davos, una minaccia nemmeno tanto velata a chi non produce i suoi prodotti in America. I commenti dalle case auto si stanno succedendo velocemente in queste ore. Citiamo quelle di due brand tedeschi che rischiano di essere interessati da vicino dai dazi voluti introdotti da Trump, marchi che come Volvo o Stellantis, secondo Moody’s sarebbero esposti ai maggiori rischi a causa della loro forte presenza in termini di vendite negli Stati Uniti.
L’obiettivo comune dovrebbe restare la transizione energetica dei trasporti, di cui l’auto elettrica è un tassello fondamentale. Eppure…
Marchi europei come Volkswagen, secondo il quale servono invece “mercati aperti e relazioni commerciali stabili”, e Stellantis, hanno in atto molti accordi commerciali con fabbriche messicane, con possibili maggiori aumenti di costi sulle loro produzioni. A beneficiare delle politiche di Trump contro i veicoli elettrici potrebbero essere i grandi produttori di auto americani, General Motors, Ford e gli ex marchi Chrysler ora di proprietà di Stellantis, che potrebbero inizialmente beneficiare del maggior supporto alla vendita di modelli con motori endotermici, più redditizi ma anche molto più inquinanti, con una pesante conseguenza però sul rallentamento della decarbonizzazione dei trasporti negli Stati Uniti. Insomma, il rischio di una guerra commerciale globale resta elevato, con possibili ripercussioni a catena su tutta l’industria automotive.
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