“A cambiare Sanremo è stato Baglioni, Conti non farà rimpiangere Amadeus”

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Marino Bartoletti ha aggiornato il suo Almanacco del Festival di Sanremo e racconta in questa intervista a Fanpage la sua fatica. Da Mina e Morandi, passando per Claudio Villa e gli anni in cui il Festival rischiava di chiudere, si arriva al ritorno di Carlo Conti: “Traghettatore? Doveva essere così anche per Amadeus”. Sul successore non si sbilancia su De Martino ma spiega: “Si fanno nomi di persone che non conoscono le pressioni del Festival e devono ancora maturare”.

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Il Festival di Sanremo è il Natale italiano e sono in pochi a conoscere questo evento, i suoi risvolti storici e i protagonisti che lo hanno animato sin dalla prima edizione come Marino Bartoletti. Il giornalista, a pochi giorni da Sanremo 2025, ha preparato una versione aggiornata del suo Almanacco del Festival, aggiungendo aneddoti personali e storici alla ricostruzione di vincitori e vinti, ma anche fatti accaduti nel mondo e in Italia negli stessi anni in cui Sanremo diventava l’evento musicale unico che è senza ombra di dubbio. Con Marino Bartoletti in questa intervista abbiamo ripercorso alcuni dei momenti cardine della storia del Festival, dagli anni Cinquanta a oggi.

Prima che essere un almanacco mi sembra una raccolta di ricordi. Come li sceglie?

Faccio fatica a rispondere. Di certo c’è il racconto del Festival che poi finisce col diventare un racconto di storia, più che di musica. Tutte le volte cerco di inserire qualcosa di alternativo, una spigolatura, qualcosa che non tutti conoscono, che approfondisca e dia il clima, anche se in maniera minore, di quello che è stato quel festival e quell’anno.

Lei le chiama le “marinate”.

Esatto, in quella rubrica, anno dopo anno, completo quello che è il racconto tecnico e storico del festival stesso. Nel 2015 racconto di quando entrai nella terribile giuria di qualità.

Che è sempre stata un po’ ago della bilancia e termometro di come si percepisca Sanremo. Quell’anno come andò?

Sicuramente da quell’anno non potei più parlare male della giuria di qualità (ride, ndr). Anche se in realtà qualche dubbio, sospetto o perplessità ho continuato ad averli, perché effettivamente la cosiddetta giuria di qualità, diventata in alcuni anni anche giuria di onore, di danni ne ha fatti.

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Beh spesso ha finito col controvertire risultati che sembravano non avere altra direzione. Inutile fare nomi e date, ma ci sono stati momenti in cui i giurati di qualità si sentivano più importanti di Gesù Cristo. Poi, per carità, come dico sempre io, la classifica finale di un festival è sempre un po’ un’entità dello spirito, perché quel che conta è ciò che ci portiamo nel cuore, la nostra playlist. Ma qualche volta la giuria ha cambiato posizioni finali che potevano essere diverse.

Marino Bartoletti con i suoi due ultimi libri dedicati a Sanremo.

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Negli ultimi anni si ripete questa spaccatura tra parere popolare e sala stampa. Ma in fondo è una componente essenziale del Festival.

Beh la giuria della sala stampa e delle radio esprime già di per sé una realtà popolare espressa. Sulla giuria di qualità, invece, continuo a sostenere che non è detto che uno bravo a fare musica sia altrettanto bravo a giudicarla. Se metti in giuria di qualità Raffaello, Michelangelo e Leonardo, non è detto incrocino i gusti popolari, perché se la cavano certamente meglio delle persone che devono giudicare.

Sul Sanremo degli inizi, lei sottolinea che quel festival aveva quasi la funzione di un talent in cui le canzoni avevano un ruolo prioritario rispetto agli interpreti, che erano più che altro esecutori. Era meglio o peggio?

Le comparazioni sono impossibili. Io direi che in realtà, più che un talent, i primi festival provavano a dare un repertorio musicale agli italiani. Sanremo è nato probabilmente per motivi commerciali ma anche, più nobilmente, perché quando l’Italia del dopoguerra si ritrova libera e felice, desiderosa di sognare e con la voglia di cantare, si accorge di non avere canzoni. Era ferma all’anteguerra, con le marce militari, perché c’era stato qualche tentativo o importazione di cose sudamericane, ma negli anni Cinquanta non è che avessimo questo florilegio di canzoni che ci facevano cantare. Per cui, anche ingenuamente, tra fiori e colombe, mamme e scarponi, in qualche anno ci si allineò decentemente con la nostra cultura musicale. A proposito di Leonardo, lui diceva che per fare un buon affresco ci vuole un buon intonaco, cosa che spesso lui dimenticava per la verità. Diciamo che il primo decennio di Sanremo è stato l’intonaco per l’affresco musicale degli anni successivi.

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Una tradizione poi troppo spesso osservata in modo cieco, tanto che Sanremo è spesso parso fuori tempo rispetto a ciò che si voleva sentire.

Vero, così come c’è da dire che ci sono anni in cui il festival ha preceduto e trainato i gusti, come successo negli ultimi anni per merito di Amadeus. In altri era semplicemente una pattuglia di retroguardia rispetto a ciò che accadeva nella musica italiana. Negli anni Settanta, per esempio, c’erano i De Gregori e i Venditti e noi, obiettivamente, non vedevamo all’Ariston qualcosa all’altezza di quello che accadeva.

In effetti quella decade dei Settanta segna quasi la morte di una manifestazione che sembrava non avere più un senso e destinata a finire.

Eh beh ci è andata vicino, a metà degli anni Settanta la Rai stessa cominciò a snobbarla, non la trasmise, non dava le premiazioni e proclamazioni. Poi avvenne un piccolo miracolo nel ’78, quando in un festival pur molto modesto, due ragazzini come Anna Oxa e Rino Gaetano arrivavano al secondo e terzo posto. Evidentemente lì si piantò un virgulto diventato un bellissimo albero, se pure con qualche fatica, negli anni successivi.

Parliamo di Mina, lei ricorda quel famoso aneddoto del colpo di tosse sul palco nell’edizione del ’61, prima di fuggire via in lacrime. Un video introvabile, si è mai chiesto come mai?

Ma no, a voler cercare spiegazioni sarebbero maliziose, direi di attenerci al fatto che al tempo le documentazioni non erano così facili da reperire. Forse è più sospetta l’esibizione di Tenco nel ’67, ma nel caso di Mina siamo autorizzati a non essere maliziosi.

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Mina a Sanremo 1961

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Eppure Mina, pur decidendo di non partecipare mai più a Sanremo, prende parte alla storia del Festival rielaborando alcune delle canzoni in gara.

Mina nel ’61 disse “mai più a Sanremo” e, come sempre, fu di parola. Poi forse si accorse che, tutto sommato, Sanremo visto dal di fuori non era così trascurabile. Da “E se domani” in poi, che a Sanremo era stata completamente ignorata, fece diventare successi anche internazionali canzoni che, cantate da lei, forse assumevano tutt’altro significato.

Un’altra figura che lei mette al centro dei primi anni del Festival è quella di Claudio Villa. Spigoloso, non proprio simpatico, ma personaggio che è stato cruciale per il Festival, forse messo in secondo piano dalla storia?

È esattamente così. Villa è stato dominatore del decennio che va dalla metà degli anni Cinquanta alla metà degli anni Sessanta. Lì era Villa che poteva permettersi di fare un po’ lo sbruffone e il bullo. Diciamo che io Claudio Villa l’ho vissuto in due modi, il primo da ragazzo, considerandolo un avversario perché i miei gusti musicali non potevano coincidere con lo stile di Claudio Villa. Poi piano piano ti rendi conto che è stato una figura artistica emblematica e da rivalutare. Devo dire che il grande sceneggiatore del destino per lui ha disegnato una partitura umana incredibile: morire durante la finale di Sanremo è cosa che se l’avesse inventata qualcuno, non ci avremmo creduto. Questo, a sua insaputa, gli ha consentito di essere ancora protagonista, tra l’altro nella sera in cui vinse Morandi (con Tozzi e Ruggeri), suo giovane rivale di una vita.

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Racconta quell’edizione epocale del ’69 in cui si produce il paradosso di Stevie Wonder eliminato dopo 3 minuti. C’era anche Wilson Pickett quell’anno, in gara con Battisti. Immagina che gli stranieri, prima o poi, possano tornare in gara come succedeva al tempo?

Credo sia difficile, sinceramente. L’ultimo esperimento lo fece Aragozzini e fu incredibile, con Ray Charles ed altri personaggi eminenti. Oggi dovremo accontentarci di stranieri di serie b, perché uno Stevie Wonder ce lo sogneremmo. Tanto vale attestarci su posizioni verosimili e prendere atto che comunque almeno dei veterani e grande italiani che hanno fatto la storia della musica, recentemente si sono messi in gioco. Vedere di nuovo Ranieri, Morandi due anni fa che va sul palco con ragazzi che potrebbero essere suoi nipoti e arriva sul podio. Poi Marcella Bella, Iva Zanicchi, personaggi che si sono messi in gioco e rappresentano un’inversione di tendenza.

E anche qualche big ci va.

Esatto, senza dubbio. Certo, non possiamo pensare che Vasco Rossi si metta in gara, o che lo faccia De Gregori, però diciamo che un po’ di puzza sotto al naso di qualcuno, piano piano sta venendo via.

Citava Gianni Morandi, che in effetti ha un rapporto con Sanremo particolare. Decide di andarci dopo aver detto no a due canzoni che vinsero (Zingara e La prima cosa bella), accettando di andarci in un momento di flessione della sua carriera.

Però vedi, lui ha sempre tratto grandi insegnamenti dai bagni di umiltà. Lui stesso ammette che snobbava Sanremo, pur essendoci per lui una ragione tecnica, ovvero che lui puntava tutto su Canzonissima che finiva tre settimane prima di Sanremo, per poi prepararsi al disco estivo per il Cantagiro. Sanremo era in mezzo ed era inutile cercare rogne. Ma sbagliò, fu mal consigliato e ci va poi nel ’72, arrivando comunque quarto, con la canzone Vado a lavorare, con qualcuno che fa ironia dicendogli che era ora. Poi ci prende gusto con Sanremo, gli anni Settanta comunque diventano anni di rilancio, fa delle cose che lo portano al grande rientro dell’87, quando comincia a spaccare il mondo in coincidenza con la sua ripresa umana e professionale. E poi chi lo ferma più, adesso fa il conduttore, il cantante in gara, ha un entusiasmo che dovrebbe essere un esempio per tutti, quello di rimettersi sempre in gioco.

Ha vinto anche il suo Festival, poi un podio due anni fa.

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Come no, curioso che ne abbia vinto solo uno, perché in effetti ci era tornato per vincere, ma non ha mai brontolato quando non è successo. Nel ’95 ci era andato per quel motivo, ma si era ritrovato Giorgia, Ivana Spagna, Andrea Bocelli, davanti a certe cose devi anche arrenderti. Nel 2022 arriva terzo in un podio entusiasmante, arriva alle spalle di Elisa che poteva essere sua figlia, Blanco e Mahmood i suoi nipoti. Dalla diceva sempre che i Festival non si giudicano dal vincitore ma dal podio e quel podio, anche per intrecci generazionali, fu incredibile.

Sanremo ha avuto i suoi alti e bassi. Dopo decenni complessi, negli ultimi anni è successo qualcosa. Molti fanno risalire questa rinascita al triennio Conti, lei cosa ne pensa?

Nel suo triennio Conti ha fatto benissimo il suo lavoro, anche se io assocerei questa rinascita a Baglioni. Il germe credo sia il suo, quando lo chiamano può permettersi di investire sui giovani perché è Baglioni e ha carta bianca. Poi è chiaro che ha molto baglionizzato il festival. È stato l’ultimo che ha preferito esibirsi molto col suo repertorio, sostituendo anche ospiti stranieri improbabili. Penso che siano stati suoi i festival che hanno gettato il seme del cambiamento poi colto a pieno da Amadeus.

Come vede l’edizione 2025?

Chiaro che Conti è la persona perfetta perché venire dopo 5 anni di Amadeus non era facile. È stata una progressione di ascolti, gradimento, buone proposte. È come andare in borsa e pretendere di comprare un’azione quando è ai massimi, non è mai un investimento facile. Conti invece ha preso questa azione alle sua massime quotazioni ed è la persona giusta per tenere la quota di volo. Lo farà con la sua fantasia, le sue spalle larghe, la capacità di reggere la tensione e anche, devo dire, continuando il lavoro di Amadeus, perché anche Conti ha investito molto suoi giovani.

Lo aiuteranno anche molto le polemiche che stanno precedendo l’inizio di questa edizione, da Fedez ad Achille Lauro, passando per Emis Killa.

È nel capitolato di Sanremo, però posso assicurare che è difficile ognuno di noi non si riconoscerà in una serie di canzoni di questa edizione. Trenta canzoni non sono poche, ma a differenza di tanti che in passato hanno annunciato di mettere al centro la musica a Sanremo senza farlo, Conti lo ha fatto e come.

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Il suo sembra un ruolo da traghettatore in queso biennio. 

Beh intanto farà questi due anni e si vedrà. Anche Amadeus doveva essere un traghettatore, ma poi ha fatto la traversata dell’oceano.

Si parla di De Martino alla successione.

Non so chi succederà a Conti, ma quando ho sentito fare certi nomi di qualcuno che evidentemente non conosce le pressioni del Festival, mi sono chiesto perché mandare al massacro persone che devono ancora maturare. Conti ha le spalle larghe per poter reggere tutto questo, perché non è una barzelletta.

Tra l’altro pare essersi radicata la tradizione di direzione artistica e conduzione che si allineano.

Assolutamente. Primo fu, subliminalmente ma anche ufficialmente, Pippo Baudo. Ha rivoluzionato il Festival e non per altro ne ha presentati tredici. Dopo si è ritenuto normale tenere insieme le due cose, a parte rare eccezioni.

Ultima domanda: nel suo anno quanto è presente il pensiero di Sanremo?

Quest’anno un po’ di più per l’aggiornamento dell’almanacco. Non dico che ci pensi sempre, però appare molto spesso nelle mie citazioni. Adesso sto facendo un nuovo lavoro e mi rendo conto che rivivere gli anni avendo come riferimento Sanremo è quasi inevitabile. Che siano buoni o cattivi, perché anche se sono cattivi vuol dire che l’Italia sta dormendo sotto il profilo musicale.





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