Lo scorso 20 gennaio la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum per l’abrogazione totale della legge n.86/2024 sull’Autonomia differenziata. Referendum per cui la fitta rete di comitati promotori aveva raccolto quasi 1.300.000 firme in soli due mesi, superando ampiamente le 500.000 richieste. Tra le motivazioni espresse in un primo comunicato della Corte si legge che “il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata”.
A fronte della decisione della Corte si pone per i comitati promotori la scelta di quale strada prendere: arrendersi o proseguire nella mobilitazione? Che la battaglia per bloccare la legge debba proseguire appare chiaro dalle diverse reazioni. Sia il Comitato promotore del referendum sull’Autonomia differenziata, che i Comitati contro ogni Autonomia differenziata per l’Unità della Repubblica e l’Uguaglianza dei diritti hanno annunciato di rispettare la decisione della Corte, ma che non hanno intenzione di disperdere l’attivismo che la campagna referendaria ha costruito contro le disuguaglianze.
Ciò che cambia sono invece le modalità e le finalità con cui farlo. Da una parte infatti emerge la tendenza a attendere gli sviluppi, pur mantenendo un controllo e una vigilanza attive. Ma aspettare la riformulazione della legge o l’azione delle opposizioni significa consegnare l’esito della battaglia a chi da decenni manovra per approvare l’Autonomia differenziata. Significa insomma consegnare al boia l’ascia. Non dimentichiamo che le basi della legge Calderoli stanno nella Riforma del titolo V impostata in un disegno di legge del governo D’Alema (1999), portata avanti nel governo Amato (2000) e approvata dal secondo governo Berlusconi (2011). Una misura approvata da tutti, disconosciuta da tutti e che tutti hanno cercato di estendere e portare fino in fondo: ci provò Renzi nel 2016 fermato dal referendum e ci prova adesso il governo Meloni già smontato da voto della Consulta e dalla mobilitazione popolare.
Perché non affidarsi alle istituzioni e ai loro organi?Tra le dichiarazioni dei comitati promotori
a seguito della decisione della Consulta si legge una denuncia del fatto che questa “si è elevata esclusivamente a legislatore supremo e inappellabile, rinunciando alla propria funzione di garanzia e contraddicendo il principio della democrazia costituzionale, che non prevede alcun atto di sovranità assoluta”. Nella realtà però non è né un atto isolato né inaudito. Già nel settembre del 2024 scrivevamo su Resistenza
che permettere lo svolgimento del referendum sarebbe stata una mossa troppo rischiosa per il sistema di potere delle Larghe intese, una legnata al pari del referendum sulla Costituzione di Renzi. Pensare che la Corte Costituzionale, come i vari organi giuridici, legislativi, di controllo dello Stato, siano super partes vuol dire non tenere conto di chi detiene il potere in questa società: la borghesia imperialista. Questa da sempre agisce tramite le sue istituzioni (l’apparato statale) per amministrare in senso favorevole ai propri interessi la vita delle masse popolari, per schiacciarle e opprimerle. L’ideale che vuole lo Stato super partes è una bugia promossa per mantenere lo status quo. Mano a mano che la crisi generale avanza e che con questa aumenta la resistenza delle masse popolari al suo regime, la borghesia è costretta però a ridurre sempre di più quegli spazi di democrazia, che almeno formalmente aveva finora garantito. A mostrare sempre di più la sua vera faccia, compreso quindi quella dei suoi organi che sempre più assumono apertamente il ruolo che hanno.
Il governo Meloni e le Larghe intese, di cui gli organi istituzionali tutelano gli interessi, non traggono alcun beneficio dal mettere nelle mani delle masse popolari la decisione sull’Autonomia differenziata, né su qualsiasi altra misura. Hanno imparato che farlo vuol dire perdere.
Continuare a giocare sul loro terreno non può portare a risultati soddisfacenti e duraturi, è per questo che nei Comitati che oggi si mobilitano contro l’Autonomia differenziata, a prevalere deve essere la determinazione di continuare a essere promotori diretti del cambiamento.
Proseguire la mobilitazione è indispensabile. L’aspetto decisivo però per rilanciare la battaglia contro l’Autonomia differenziata e portarla alla vittoria è che tutte le forme di mobilitazione che verranno decise dai vari comitati diventino armi non solo per l’abrogazione della legge, ma per la cacciata del governo Meloni nel suo complesso! L’Autonomia differenziata non è la sola misura da macelleria sociale che il governo Meloni sta promuovendo. Combattere quella ma permettere l’approvazione del Ddl sicurezza, lo smantellamento dell’apparato produttivo, gli attacchi alla sicurezza dei lavoratori ecc. non è certo una soluzione praticabile.
Per farlo i comitati, le associazioni, i sindacati e i partiti che hanno promosso il referendum devono legarsi a quelli che stanno promuovendo in tutto il paese la lotta contro il Ddl sicurezza, che stanno difendendo scuola, sanità, ambiente e posti di lavoro in ogni territorio. È dall’unione delle loro forze, energie e capacità che può venire la soluzione. Dal loro coordinamento su un obiettivo unitario può svilupparsi una mobilitazione tale da cacciare il governo dei nostalgici del fascismo. Loro rappresentano le autorità in grado di farlo.
Servono nuove istituzioni che siano espressione della mobilitazione popolare e serve far lavorare vecchie istituzioni, come i sindacati Cgil e Uil, negli interessi di questa.
A 80 anni della vittoria della Resistenza serve raccogliere quella bandiera per prendere in mano il paese e applicare finalmente la Costituzione del 1948! Comitati e enti promotori del referendum, in collegamento con i promotori delle altre centinaia di mobilitazioni che animano il paese, hanno la forza di farlo se iniziano a costituirsi consapevolmente come i nuovi centri promotori della Resistenza. Come centri promotori di un fronte di forze compatto che affossi il sistema delle Larghe Intese. Sull’esempio dell’eroismo partigiano serve oggi riprendere quella che fu l’opera del Comitato di Liberazione nazionale e della Resistenza, unica via per ricostruire la sanità, la scuola e i trasporti pubblici; per mettere mano alle divisioni nord-sud e promuovere il diritto ad un lavoro utile e dignitoso per ognuno.
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