La Terra dei Fuochi, un problema ignorato dai politici e ora al centro della sentenza della Corte di Strasburgo | Roberto Saviano

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Roberto Saviano

I rifiuti tossici bruciati e smaltiti per anni nell’area a Nord di Napoli. L’Italia condannata a Strasburgo, cosa cambierà dopo la sentenza

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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso una sentenza storica. Temo però che non ci sarà una reale conseguenza alla condanna dell’Italia per aver messo a rischio la vita degli abitanti della Terra dei Fuochi. 

È dal 1988 che si è consapevoli di costanti sversamenti e intombamenti di rifiuti ordinari e tossici nelle campagne casertane e napoletane, che hanno ucciso prima le colture di pomodori, di melanzane e carciofi, poi hanno avvelenato pesche, mandorle, albicocche e mele annurche; una volta compromesse le falde acquifere e i fiumi, hanno fatto ammalare le greggi e gli armenti. Infine hanno iniziato a cadere gli esseri umani. Eppure la politica locale e nazionale ha considerato il problema un’esagerazione, una problematica legata al disordine della gestione rifiuti, invece che un sistema criminale complesso, da centinaia di milioni di euro, in cui impresa, camorra e politica si alimentavano a vicenda.




















































L’espressione Terra dei Fuochi la usai come titolo di un capitolo di Gomorra: creò un’immediata suggestione. L’avevo mutuata dal Rapporto Ecomafie di Legambiente del 2003. Quasi nessuno ricorda perché è chiamata così. L’immagine fu proprio quella di Magellano, che quando navigò lo stretto sudamericano tra l’Atlantico e il Pacifico vide numerosi falò accesi sulle coste frastagliate. Quei fuochi indussero Magellano a battezzare l’arcipelago sudamericano «Terra del Fuoco».

Attraversando le terre campane dall’asse mediano, la superstrada dei comuni dell’entroterra a Nord di Napoli, per decenni l’orizzonte era attraversato (e lo è ancora) da fumi neri, i fuochi che venivano accesi per bruciare rifiuti di ogni genere, con l’obiettivo di fargli perdere volume e occupare quanto meno suolo possibile, lasciando spazio ad altra monnezza. I fuochi bruciavano rifiuti speciali — copertoni, vernici, olii esausti, tessuti, medicinali — mentre i barili di rifiuti tossici che viaggiavano sui camion venivano intombati così com’erano, spesso insieme al pianale del mezzo in cui erano stipati.

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Denunciare è stato difficilissimo. L’ispettore della Criminalpol Roberto Mancini, che si ammalerà e morirà di cancro a causa delle investigazioni condotte su quelle aree, denunciò inascoltato per anni quello che stava accadendo. Nel 2012 i documenti prodotti dall’Istituto nazionale per i tumori Pascale di Napoli dimostrano che sul territorio provinciale, nei vent’anni precedenti, ci sono stati incrementi percentuali del tasso di mortalità per tumori del 47% fra gli uomini e del 40% tra le donne, nel Casertano rispettivamente del 28,4% e del 32,7%, a fronte di tassi tendenzialmente stabili o addirittura in diminuzione nel resto d’Italia. Ma nonostante questi dati allarmanti, lo stesso direttore del Pascale, Tonino Pedicini, due anni dopo denunciava un atteggiamento negazionista della comunità scientifica mirato solo al quieto vivere. Nel 2015, nella zona di Calvi Risorta, nel Casertano, il Corpo Forestale dello Stato individua la più grande area di sversamento di rifiuti tossici d’Europa. Secondo uno studio del 2016 dell’Istituto Superiore di Sanità, nella Terra dei fuochi c’è un’incidenza dei tumori superiore dell’11% rispetto alla media nazionale.
Per anni la politica di ogni colore ha mentito o ignorato. Nessuno è riuscito a — o ha voluto — bonificare e recuperare davvero queste terre, perché i risultati sarebbero stati capitalizzabili politicamente solo dopo molti anni e quindi incompatibili con i tempi della politica. I vantaggi sarebbero stati nulli, perché visibili solo molto tempo dopo, e nessuna politica locale può avere la forza per affrontare apertamente il dramma dello sversamento e dell’avvelenamento.

Di fatto, negare è sempre stato più conveniente di ammettere esplicitamente e iniziare un percorso di risanamento. Nel 2023, nonostante anni di studi degli istituti preposti, di denunce delle associazioni sul territorio, di continue morti per cancro nell’area, il presidente della Regione Vincenzo De Luca arrivò a dire che solo l’1% del territorio non era coltivabile.

Eppure, tutta Italia ha una diretta responsabilità in questa vicenda: le aziende di ogni regione, inconsapevoli o nella maggioranza dei casi complici, hanno contribuito a inquinare le campagne di Napoli e Caserta con i loro scarti, approfittando dei prezzi imbattibili per lo smaltimento di rifiuti speciali offerti dai clan. In breve, se esiste la Terra dei Fuochi è perché aziende, Comuni, cantieri hanno potuto risparmiare cifre importantissime nella gestione dei propri rifiuti tossici o speciali approfittando della Campania, trasformata per anni nella discarica d’Italia.
Vi ricordate quando Napoli si riempiva di rifiuti? Ciò accadeva perché le discariche campane erano completamente satolle e in molti casi diventavano impraticabili perché raccoglievano i rifiuti provenienti da tutta la penisola. Non dimenticherò mai quando in un’inchiesta degli anni ’90 sulle ecomafie trovai le terre di spazzamento milanesi stipate nelle discariche campane.

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Ecco perché la sentenza della Corte di Strasburgo è storica: riconoscendo un rischio di morte in questa terra «sufficientemente grave, reale e accertabile» e che l’Italia non ha affrontato «una situazione così grave con la diligenza e la tempestività necessarie» il verdetto arriva in soccorso di chi non è stato ascoltato, di chi non è stato creduto, dei familiari di chi è morto senza alcuna giustizia.

Ora il nostro Paese ha (chi sa se davvero qualcosa si muoverà) due anni per elaborare una strategia articolata sulla Terra dei Fuochi, per mettere in piedi un meccanismo di monitoraggio indipendente e istituire una piattaforma di informazione pubblica.
Camorra imprenditoriale e imprenditoria collusa sono due lati di un triangolo che raggiunge la forma perfetta con l’aggiunta di un terzo elemento: la politica corrotta. Il centrodestra nei decenni di emergenza ha costruito consenso e ha foraggiato i satrapi locali grazie all’emergenza rifiuti. E quanto scrivo è dimostrato dalla parabola dell’ex viceministro all’Economia Nicola Cosentino, condannato proprio nell’ambito del processo per le infiltrazioni camorristiche nella raccolta rifiuti dei comuni del Casertano.

Nicola Cosentino sta pagando in silenzio responsabilità politiche locali e nazionali che non sono solo sue. Sono persuaso che l’ex viceministro stia vivendo male la solitudine politica in cui l’hanno lasciato coloro che il suo silenzio sta proteggendo. Se dovesse leggere in carcere queste righe, lo invito come ho fatto già altre volte a collaborare con la giustizia, lui più di altri può svelare le responsabilità di politici e di imprese della cui fortuna conosce ogni origine. Il suo silenzio sta proteggendo una parte importante della politica (non solo della sua parte) che è cresciuta e ha fatto affari proprio sul business dei rifiuti e sulla tragedia della Terra dei Fuochi. Conosco il mio Paese e so che ogni silenzio è ben pagato. Dietro il successo di molte aziende, di molte carriere politiche c’è sempre un’omertà comprata, ma confido nella possibilità di Cosentino di riscattarsi e denunciare tutto quello che sa. Lo deve alle centinaia di persone che continuano ad ammalarsi e morire di cancro.

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1 febbraio 2025 ( modifica il 1 febbraio 2025 | 08:38)

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