di Giulia Cannada Bartoli
La manifestazione itinerante “Gli Incontri Internazionali a Piede Franco” si è svolta dal 22 al 25 gennaio scorso tra Campi Flegrei e Vesuvio. Si tratta di un format che da qualche anno ha luogo in diversi paesi del mondo promosso dall’associazione “Le Francs De Pied” di Montecarlo. L’associazione, che si occupa di vitigni antichi, quest’anno ha scelto l’Italia per il tour alla scoperta di viti e vini a piede franco. Grazie al gemellaggio con il Comitato Italiano per la Tutela del Piede Franco, nato nell’aprile 2024. L’associazione italiana ha come obiettivo la tutela delle viti franche di piede, ovvero senza portainnesto, scampate all’invasione della fillossera.
La Fillossera
La fillossera, afide di origine nordamericana, arrivò per caso (trasporto via mare) nella seconda metà dell’800 in Europa, dove devastò il 90% dei vigneti, causando cambiamenti sostanziali sia, nella viticoltura, con la diffusione di viti innestate su radici americane, resistenti all’insetto, sia nello stile di produzione, dovuto alla nuova tipologia degli impianti e all’affermarsi dei vitigni cd. internazionali. La fillossera, tuttavia non riesce a penetrare nei terreni sabbiosi. In Europa e nel mondo sono tante le aree dove la viticoltura a piede franco è ancora diffusa, con piante secolari o d’impianto relativamente recente: Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Svizzera, Turchia, Germania, Argentina, Cile e, persino, India.
Facciamo un po’ di chiarezza. Poiché il tema del Piede Franco è controverso, prima di procedere, ho ritenuto opportuno confrontarmi con enologi e produttori sia, campani sia, italiani e stranieri.
A metà del XIX secolo, in Francia, per far fronte all’infezione di oidio che minacciava i raccolti, furono importate delle vigne statunitensi dimostratesi resistenti al parassita. Con le piante sbarcò anche la fillossera, (Daktulosphaira vitifoliae) che in Europa trovò terreno fertile perché le sue vigne non erano geneticamente resistenti. In Italia le prime avvisaglie dell’epidemia furono segnalate verso la fine del 1870 vicino a Lecco. In pochi anni migliaia di vigne secolari erano morte.
La soluzione, non facile, né immediata, fu quella di innestare la vite europea con quella americana che risultava resistente all’attacco della fillossera, almeno nella parte radicale.
Esistono tuttavia, viti che non sono mai state innestate su radici americane in diverse parti del mondo. Vigne in zone specifiche che, per la loro natura isolata o perché su terreno sabbioso o per il clima d’altura, sono riuscite a superare indenni l’attacco dell’afide, appunto le viti a piede franco.
La Fillossera oggi non è del tutto sconfitta, sopravvive ancora in Italia e nel vigneto europeo. In Campania il piede franco esiste e resiste, per la maggior parte, solo nei Campi Flegrei e in poche altre micro aree.
Altro discorso è quello dei vigneti storici che esistono in tutta la regione e che i produttori difendono e tutelano.
Le differenze tra viti a piede franco e viti innestate. Di fatto, la diversità risiede sia, nella vita della pianta (più breve in quelle con portainnesto americano), sia, nelle specifiche più eterogenee che può conferire una vite a piede franco. La vite a piede franco è un unico corpo: apparato radicale, ceppo e apparato fogliare sono un unicum che riesce rapidamente a interagire. Per la vite ottenuta con portainnesto di vite americana e apparato fogliare di vite europea, è chiaro che si tratta di qualcosa inventato dall’uomo, che restituisce, sì una pianta più forte e resistente agli attacchi della fillossera, ma, allo stesso tempo, la parte aerea e quella radicale “comunicano” attraverso un “intermediario” che influenza o determina l’assorbimento delle sostanze nutritive della pianta dal terreno e che è trasmesso al frutto, andando ad arricchire il vino.
E’ stato osservato che nelle viti a piede franco si tende a un’effettiva coincidenza tra maturazione dell’acino e quella del raspo. Il raspo nella vite innestata, mantiene dei tannini verdi quando il resto del grappolo è maturo. Questa è la ragione per cui, nell’età post – fillossera, la diraspatura è diventata una pratica abituale. Dal punto di vista sensoriale, i tannini delle piante innestate risulterebbero più duri rispetto a quelle delle piante originarie.
Si potrebbe affermare, in conclusione, che i vini prodotti da uve di viti a piede franco e/o pre fillossera, siano più eleganti, con sentori di mineralità più marcata, profumi più complessi, tannini più fini etc,? La risposta è soggettiva e non scientificamente dimostrata.
Non esiste assolutamente alcuna evidenza scientifica che i vini da vite a piede franco siano migliori di quelli da radice innestata. Esiste solo una convinzione comune di alcuni produttori e degustatori, senza alcuna dimostrazione scientifica.
Per definizione le viti pre fillosseriche (ante 1850) sono anche a piede franco.
Ci potrebbe essere una differenza tra vini da viti giovani e quelli da piante storiche. C’è una tendenza a ritenere che le vecchie vigne diano vini migliori perché le rese sono più basse, ma d’altro lato, ci sono anche evidenze di alcuni straordinari vini da viti di pochi anni.
A parte le presunte differenze qualitative del vino, tutte da dimostrare, è stato invece dimostrato come la dichiarazione in etichetta (Vite centenaria, pre fillossera, a piede franco) ne accresca il valore di circa il 40%. Siamo quindi di fronte a un’operazione sicuramente culturale, ma, anche, con una forte valenza commerciale e di marketing.
La tutela delle vecchie vigne ha un fondamento condiviso ma non ancora scientificamente dimostrato. La gestione di vigne vecchie richiede un approccio quasi olistico, che consideri sia, la loro eredità storica, sia, la necessità di una viticoltura sostenibile e consapevole. Per le vecchie viti la potatura dev’essere cauta e l’irrigazione mirata. Il vigneto va monitorato continuamente e allevare la biodiversità colturale dev’essere la regola. L’età e i caratteri di queste viti (studi empirici) influiscono sul profilo aromatico e sulla struttura, rendendoli perfetti testimoni del proprio terroir. Le piante, tra i 50 e gli 80 anni, costituiscono non solo un patrimonio in termini storici e qualitativi, ma anche dal punto di vista economico. Queste viti sono praticamente le sole in grado di “fotografare” il territorio, le pratiche colturali e la sapienza agronomica. Le vecchie vigne hanno un problema: hanno bisogno di cura. Il che significa uno sforzo umano importante in un momento in cui la manodopera specializzata della filiera viticola scarseggia. Le vigne più vecchie hanno radici più profonde, accedono quindi più facilmente ai nutrienti della terra e sono perciò più resistenti al cambiamento climatico e alle patologie della vite.
E’ di ieri 29 gennaio, la notizia che l’Old Vine Registry, l’archivio delle viti storiche supera 4.000 segnalazioni da ben 39 Paesi. Il fine, sostenuto dalla risoluzione Oiv a promuovere e catalogare le vecchie viti, è di raggiungere entro il 2027,10.000 iscritti. L’Old Vine Registry è il primo archivio digitale aperto che registra e racconta i vigneti più vecchi al mondo, prima e dopo l’invasione della fillossera. L’Oiv ha ultimamente pubblicato una risoluzione secondo la quale una vite è vecchia quando ha un’età di 35 anni o più.
In Italia sono censiti circa 600.000 ettari di vigneto e soltanto l’1% è a piede franco. Tutti gli addetti al settore sanno che, per l’iscrizione alla Doc, bisogna superare la superficie di 1.000 mq, ovvero 0,1 ettari. Al di sotto di questa soglia, l’iscrizione è facoltativa. Bene, in Italia, oltre ai piccoli vignaioli (es. Fivi) che sono comunque censiti, c’è un immenso patrimonio di micro viticoltori che non arrivano a 1 ettaro, che producono probabilmente per consumo familiare, o, in aree dove la viticoltura è “eroica” e che potrebbero “nascondere” patrimoni viticoli difficili da individuare e preservare in termini di biodiversità ampelografica. Le rilevazioni del Masaf dei vigneti eroici (tutelati da un Decreto del 2020) e storici trascurano questo fondamentale patrimonio. Sarebbe invece interessante, ai fini della mappatura di viti storiche e/o a piede franco, che il censimento fosse esteso anche alle superfici inferiori agli 0,1 ettari.
Il dibattito è aperto e le vinificazioni al momento sembrano non essere sufficienti a dimostrare scientificamente che la qualità del vino da vecchie viti o viti a piede franco sia superiore.
Il 23 gennaio si è svolto un workshop di scambio scientifico tra diverse culture viticole: Italia, Francia, Spagna, Grecia, Turchia, Argentina. Produttori, enologi e studiosi provenienti da questi paesi si sono incontrati alla Casina Vanvitelliana, presso il Parco Borbonico del Fusaro, nel cuore dei Campi Flegrei.
Linee guida verso il riconoscimento del piede franco: esperienze a confronto, l’argomento dell’incontro, organizzato dal Comitato Italiano Piede Franco su input del Comitato Le Franc de Pied con sede a Montecarlo.
Gli interventi
Silvano Ceolin, Presidente Comitato Italiano Piede Franco: “Credo sia arrivato il momento di far sapere all’Italia che esistiamo, che siamo qui per dare voce e visibilità alle viti a piede franco che da 200 anni voce non avevano. Il nostro intento è di raccogliere, censire e proteggere ogni vitigno o singola vite a piede franco. Siamo gli ultimi difensori degli ultimi esemplari della Vitis vinifera Europea, vite che ha nel suo Dna 8.000 anni di storia. Le nostre radici storico, culturali e religiose sono le stesse che hanno le viti a piede a franco, ben radicate nel terreno. In Italia ci sono 600.000 ettari di viti e neanche l’1% è a piede franco. Siamo il primo paese al mondo per vitigni autoctoni, 1.200 circa. Plinio il Vecchio, di cui festeggiamo la nascita 2.000 anni fa, con la sua opera Naturalis Historiae, ha fotografato esattamente le origini della nostra viticoltura. Si parla tanto di tutela della biodiversità e di salvaguardia di specie animali in estinzione e poi non si fa nulla per tutelare il nostro secolare patrimonio viticolo. Abbiamo perso moltissimi vitigni autoctoni antichi. È nostro obbligo collaborare con ogni ente, associazione, ricercatore, giornalista, enologo o, chiunque abbia competenze del piede franco, per preservare il nostro patrimonio nazionale”.
Cosimo Orlacchio, responsabile Campania del Comitato ha introdotto la viticoltura della Campania e i motivi per i quali la fillossera non si è estesa nei territori vulcanici, preservando le viti che, dal Vesuvio ai Campi Flegrei, passando per la costiera e per l’entroterra irpino, ancora rappresentano uno straordinario patrimonio viticolo ultra centenario. Un’intensa concentrazione di queste viti insiste nei Campi Flegrei, un apparato vulcanico complesso composto da sistemi piroclastici monogenici. Circa l’80% della costa campana è sabbiosa. Questa è la ragione per cui in Campania ci sono ampie zone non toccate dalla fillossera. I vitigni: Campi Flegrei, Falanghina e Piedirosso; Ischia, Forastera, Biancolella e Piedirosso; Costiera Amalfitana e Sorrentina, Tintore, Ginestra, Biancolella; Vesuvio Coda di Volpe, Caprettone, Falanghina, Piedirosso; Irpinia Aglianico, Fiano e Greco; Sannio Aglianico e Falanghina del Sannio; Cilento Biancolella, Aglianico; Caserta, Aglianico, Piedirosso, Primitivo, Falanghina e Asprinio di Aversa. L’allevamento dell’asprinio è una coltivazione speciale, maritata a pioppi.
Loïc Pasquet, patron di Liber Pater a Bordeaux, il vino più costoso al mondo, e presidente dell’Associazione Francs de Pied.
Il “caso” Loïc Pasquet: nel cuore di Bordeaux, poco distante da Château d’Yquem, c’è la piccola vigna di Pasquet. Viti antiche pre fillossera e solo franche di piede per proteggere le caratteristiche originarie delle uve. “L’unico vino che può realmente essere identificato come Bordeaux oggi è Liber Pater”. Un attacco, il suo, contro la “zuppa industrale” dei vini di Bordeaux attuali che l’ha portato in tribunale, sanzionato con multe e interdetto all’uso della denominazione a causa del suo impegno a favore delle viti a piede franco. Liber Pater va, infatti, sotto la denominazione Vin De France, praticamente l’entry level del sistema francese di classificazione. Appena 500 bottiglie l’anno (e non tutti gli anni) da uve quasi scomparse: Petite Vidure (antico nome del Cabernet Sauvignon), Mancin, Castets e Saint-Macaire, tutte varietà tipiche del Bordeaux prima dell’invasione della fillossera. “Il legame profondo tra terreno e la vite dona al vino eleganza e caratteristiche uniche.”
Visto il numero limitato di bottiglie e, la storicità delle uve, Liber Pater oltre a essere il vino più costoso al mondo, è diventato, per chi lo apprezza, status symbol di lusso sfrenato. Pasquet è stato bravo a creare un valore metaforico e intangibile che supera le caratteristiche del vino. Egli non punta ad ottenere alti punteggi dalle guide, centra bensì, il suo lavoro su una visione diversa: “Voglio fare un vino che abbia il gusto e la voce del terroir”. Pasquet in un’intervista a Wine Searcher: “Se provi un Bordeaux del 1860 (prima che la fillossera costringesse i vignaioli a usare un piede, cioè un apparato radicale americano) e uno del 1960 puoi sentire la differenza. L’innesto cambia la composizione chimica del vino”. Secondo Pasquet la vite innestata porta a una diluizione della qualità del vino, mentre, lavorando con viti a piede franco, la connessione tra pianta e suolo è totale. Riguardo al diffondersi della fillossera, Pasquet afferma di lavorare solo su suoli sabbiosi e con pietrisco resistenti all’afide. Il successo di Liber Pater ha sviluppato emulazione e altri produttori in Europa lo stanno seguendo.
L’approccio “anti-scientifico” di Pasquet potrebbe essere accettabile finché si limita ai suoi vigneti ma, se diventa una campagna contro ogni innovazione, potrebbe essere pericoloso. Il fiero vignaiolo non sembra però, preoccuparsi: ho vinto la causa in appello e ciò costituisce un precedente legale per impiantare viti a piede franco a Bordeaux. Anzi, nel 2020, in epoca Covid, con alcuni viticoltori, ho creato l’Association des Francs de Pied per dimostrare la migliore adattabilità al cambiamento climatico, la maggiore inclinazione all’invecchiamento e per registrare la coltivazione a piede franco come Patrimonio dell’Umanità. L’associazione ha un Comitato Scientifico e un team legale che sta studiando le procedure per l’iscrizione a Patrimonio Unesco, che richiederanno un certo numero di anni, e il progetto di studiare un marchio internazionale Le Franc de Pied”.
Il Comitato scientifico di Le Franc de Pied:
Alain Deloire, ex-professore di viticoltura a Montpellier; Jacky Rigaux, esperto dei
“climats” di Borgogna; Gabriel Lepousez, neurobiologo al Institut Pasteur, specializzato in percezione sensoriale e plasticità cerebrale; Olivier Yobrégat, agronomo, Institut Français De La Vigne et Du Vin (IFV), responsabile del materiale vegetale; José Vouillamoz, biologo, esperto di genetica dei vitigni, coautore del libro di riferimento “Wine Grapes”.
Molto interessante l’intervento di Giovanna Sangiuolo, Giurista agroalimentare e vitivinicola, dottoranda di ricerca in Sistemi alimentari sostenibili, partecipa ai tavoli istituzionali dello sviluppo territoriale con focus agroalimentare e turistico. Da 30 anni assiste Enti pubblici e Imprese nella progettazione e organizzazione di distretti, poli e reti alimentari. Donna del Vino della Campania, produce uve da vino su terreni di famiglia in Irpinia e Toscana. Giovanna Sangiuolo ha ricondotto la platea alla realtà pratica con cui è necessario confrontarsi per andare verso un corretto riconoscimento del piede franco.
“E’ necessario parlare di regole. I produttori hanno espresso la volontà di presentarsi sui mercati interni e internazionali, con il marchio “viticoltori a piede franco”. Dal momento che siamo all’interno dell’Unione Europea, è essenziale adeguarsi alla normativa di riferimento. Per la tutela legale del Piede Franco bisogna partire dal concetto d’identità, intesa come qualità agroalimentare. Secondo gli ultimi documenti rilasciati dall’Unione Europea nel dicembre 2024, la nostra etichettatura alimentare è molto confusa e poco chiara per il consumatore finale. La Corte dei Conti Europea ha chiesto alla Commissione Europea competente di modificare il sistema di etichettatura alimentare per renderlo comprensibile, poiché troppo pieno di contenuti. Tutto quello che è indicato in etichetta, deve essere giustificato: per il Piede Franco la giustificazione sta nel concetto d’identità come qualità. Per il vino e, per gli alimenti in generale, bisogna parlare di qualità al plurale: distinguiamo la qualità dei prodotti agricoli (la normativa base, dai prodotti agricoli di qualità (quid pluris es dop, igp etc). I prodotti agroalimentari a denominazione sono circa 3500 in Europa. La certificazione non va confusa con l’etichettatura. Crediamo di poter produrre un primo elaborato entro la fine di maggio 2025.”
Mariano Murru, Presidente Assoenologi Sardegna, Delegato per l’Italia all’Union International des Enologues, Membro dell’Accademia della Vite e del Vino ma, soprattutto, viticoltore su oltre 7 ettari di viti a Piede Franco con le varietà Carignano, Monica, Carenisca, Moscato e Nuragus. “La Sardegna ha origini antichissime ed è considerata quasi un continente a sé per differenti climi, territori, lingue e vitigni. Abbiamo 27.000 ettari vitati di cui circa 400 a piede franco. La diffusione maggiore è nell’isola di S. Antioco, la fascia costiera sul golfo di Palmas, il nord dell’isola nell’area di Badesi e in tanti altri territori. Stiamo lavorando con le istituzioni regionali su un progetto di censimento regionale delle viti a piede franco e per accrescere le possibilità di accesso ai fondi pubblici da parte dei piccoli produttori. In collaborazione con i Comuni stiamo, inoltre, lavorando per costruire le strade rurali per facilitare la visita dei vigneti a piede franco”.
Per la Campania, l’associato Gaetano Bove di Tenuta San Francesco, custode di vecchie vigne pre fillossera e a piede franco nella valle di Tramonti, in Costa d’Amalfi ha raccontato e mostrato le sue vigne antiche, di piedirosso e tintore, viti maritate di larghezza fuori da ogni canone. “E’ dal 2019 che sono in contatto con gli studiosi del piede franco. Tramonti è una piccola enclave di pre fillossera. La costa d’Amalfi è caratterizzata da vere e proprie falesie dolomitiche. Inoltre, data la vicinanza con Pompei, si può dire che Tramonti sia allo stesso tempo un territorio di matrice dolomitica e vulcanica. I vigneti sono molto alti, siamo l’opposto della viticoltura intensiva. Da queste piante nasce il Tintore Pre fillossera E’ Iss.
José Vouillamoz, membro del Comitato Scientifico di Le Franc de Pied, è una delle massime autorità mondiali in materia di origine e parentela dei vitigni attraverso il profilo del Dna, genetista viticolo svizzero di fama internazionale, formatosi presso l’Università della California a Davis, è coautore con i Master of Wine Jancis Robinson e Julia Harding del pluripremiato libro Wine Grapes (Allen Lane, 2012), il riferimento definitivo su tutti i vitigni coltivati nel mondo. E’ membro dell’Académie Internationale du Vin, dell’Académie du Vin de Bordeaux e del Circle of Wine Writers. “Voglio parlare della presenza dei vitigni a piede franco in Europa e del marchio europeo Franc de Pied cui stiamo lavorando. Ho realizzato una mappa dei vigneti europei distinguendo aree con alcuni vigneti a piede franco e aree al 99% a piede franco come Cipro, Santorini, Armenia, Sulcis, Colares (Lisbona), Canarie, etc. sono zone molto interessanti, vere e proprie reliquie che risalgono al periodo pre fillossera. Sul mio sito ho creato una cartina non esaustiva dei vini prodotti a piede franco nel mondo con quasi 1.000 vini diversi. Se ci sono mancanze o imprecisioni, accolgo molto volentieri le vostre segnalazioni. Abbiamo creato due marchi Franc de Pied: uno per Vigneti a piede franco con varietà autoctone, l’altro con vitigni internazionali (es. Cile). Non è sufficiente un’autocertificazione, è necessaria una prova scientifica attraverso il Dna. Se analizziamo il Dna della sezione fogliare e, quello della sezione radicale di una vite a piede franco, e risulta uguale, si può certificare il Piede Franco.
I requisiti per ottenere il marchio Franc de Pied: l’80% del vigneto deve essere non innestato; l’analisi del Dna fatta in Svizzera deve certificare il piede franco; ubicazione di parcelle, ceppi, superfici, ettari etc. Abbiamo già validato il marchio a livello europeo, tra qualche mese potremmo rilasciarlo a chi adempie queste regole. E’ importante che lavoriamo tutti insieme sotto un unico marchio internazionale Franc de Pied”.
Dalla Valle d’Aosta Nicolas Bovard, 28 anni, gestisce una piccola azienda agricola ai piedi del Monte Bianco che produce uva e piante officinali. Dal 2021 presidente della Cave Mont Blanc, cooperativa vitivinicola valdostana 70 famiglie che produce il Blanc de Morgex et La Salle. Il vino, eccezionale prodotto dai vigneti più alti d’Europa, tutti impiantati a Prié Blanc, vitigno autoctono a piede franco preservato grazie alle straordinarie altezze e a una viticoltura estrema.
Siamo in Trentino. Cristina Fugatti, titolare con i fratelli Giuseppe e Roberta della società agricola Roeno e Von Blumen. Padre enologo, Cristina ha conseguito la laurea in viticoltura ed enologia presso l’istituto agrario di San Michele. Legata al territorio e a ogni vino che lo rappresenta, ha raccontato dell’Enantio, a piede franco e pre fillossera. Plinio il vecchio, nel Naturalis Historiae parlava dell’Enantium. Le viti crescono a ridosso del fiume Adige sulle sabbie grigie ricche di silicio che l’hanno preservato dall’epidemia con piante decennali da cui nasce un rosso, riserva. La Doc Terradeiforti (terra di confine tra impero austro-ungarico e il regno d’Italia) nasce per valorizzare i vitigni Enantio e Casetta. L’istituto agrario di San Michele ha certificato che si tratta di vigneto a doppia pergola trentina risalente al 1800.
Dalla Turchia, Asli Baslam, ha raccontato dell’azienda Kavaklidere Wines, fondata nel 1929. Si tratta del primo produttore di vino privato del Paese, a conduzione familiare. Nata nel 1994, da una famiglia di produttori di vino, Asli rappresenta la quarta generazione dell’azienda, membro del consiglio di amministrazione, ha studiato in una scuola francese in Turchia e frequentato alla Sorbona di Parigi conseguendo un master in gestione del vino. Oggi gestisce anche le cantine di Kavaklidere a Bordeaux, dove la famiglia ha investito nel 2016. “Lavoriamo in due regioni una vicino Ankara (Elazığ) e in Cappadocia. I vitigni sono rispettivamente Emir e Öküzgözü (occhio di bue, per la grandezza degli acini). Sono entrambe aree caratterizzate da grandi escursioni termiche giorno/notte, siamo a 900/1100 mt. per questa ragione ci siamo salvati dalla fillossera. Il 99% è vite non innestata. Per proteggere le piante dal freddo le ricopriamo con la terra. Riproduciamo in serra le nostre viti a piedi franco”.
Viviana Malafarina da 14 anni è alla guida dell’azienda Basilisco del gruppo Tenute Capaldo/Feudi di San Gregorio, si occupa della gestione e della produzione dei vini della cantina lucana. I sistemi di coltivazione irpini e quelli della Basilicata: “sono due vini totalmente a piede franco e produzione limitata. Serpico per Feudi e Storico per Basilisco. Lo starseto in Irpinia rende 25 q.li per ettaro. I sostegni per la vite sono pali a 4 metri sotto terra. L’aglianico, su suoli vulcanici e in altura, nelle due regioni, rispettivamente a 365 mt e 500/600 mt s.l.m., esprime una beva più piacevole, grazie alle acidità. Il Vulture, 1.328 mt, è un vulcano spento con due laghi in sommità. Noi siamo a 600 mt., la vigna, due ettari, è molto vecchia e franca di piede, il sistema di allevamento è il capanno. E’ un vigneto molto dispendioso e difficile da gestire, una follia dal punto di vista imprenditoriale. L’unica ragione è preservare un museo a cielo aperto della viticoltura del Mediterraneo. Usciamo sul mercato a circa 10 anni dalla vendemmia”.
Dalla Grecia, Elsa Picard, direttore di produzione della cantina La Tour Melas, enologo di Tolosa, ma trasferita in Grecia da 15 anni, dove lavora su vigneti a piede franco. “I vigneti sono in parte a nord di Atene e in parte nel Peloponneso dove sono concentrate le viti a piede franco. Il vitigno è l’Agiorgitiko (San Giorgio) piantato c.a. nel 1870. La Fillossera in Grecia è arrivata nel 1898. Il territorio è limoso/sabbioso. Le nostre vigne non sono state attaccate dalla fillossera. Coltiviamo 1,5 ha. Le bottiglie sono vinificate da uniche parcelle, in questo modo riusciamo a renderci conto delle differenze del vino da viti a piede franco o da viti innestate”.
Spyros Zoumboulis, consulente enologo ad Atene e con lui, suo padre, appassionato vignaiolo e enologo che ha iniziato 45 anni fa, a lui si deve la scoperta e la tutela delle viti a piede franco in Grecia. Panos, “Sono onorato e emozionato di essere nel territorio che ha accolto i Greci che hanno fondato la prima colonia in Italia sulle coste di Cuma. Nel 1980 per primo ho coltivato l’Assyrtiko a Santorini, prima di quella data nessuno in Grecia parlava di Piede Franco. Nel 2004 ho iniziato a impiantare in Argentina nella regione di Mendoza 18 ettari di vigneto franco di piede di Malbèc. Enologo consulente, Panos Zoumboulis è proprietario, con Loïc Pasquet, di Tetradrachmo, vigneto storico sull’isola di Naxos. La mission di Tetradrachmo è divenire il fiore all’occhiello della viticoltura greca. Il team collabora inoltre con 20 aziende vinicole in Grecia, Cipro e Argentina, molte delle quali lavorano su vigneti a piede franco.
Al termine dei lavori il gruppo è stato accolto da Cantina La Sibilla con l’abituale calore della famiglia Di Meo, viticoltori da cinque generazioni. Brunch rurale con la zuppa di Cicerchia Flegrea, legume antico di cui la famiglia è custode di semi. Ancora la “pizza di farinella”, un piatto di recupero composto da pasta, uova e farina di mais. Il tutto abbinato con i vini dei soci produttori che hanno goduto del momento di scambio e degustazione di calici provenienti da ogni parte d’Europa e del mondo. Nel pomeriggio la visita ai vigneti e alla domus romana dove la Sibilla conserva i vini per l’invecchiamento.
Gli incontri sono stati coordinati da Adele Munaretto, Vice Presidente del Comitato Italiano Piede Franco.
Fonti e crediti:
– Info: www.francsdepied.mc
www.comitatoitalianopiedefranco.it
[email protected]
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