Adista News – Autonomia differenziata e Costituzione

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Adista Segni Nuovi
n° 5 del 08/02/2025

Il 20 gennaio 2025 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo riguardante la Legge 86 del 2024 di attuazione dell’autonomia differenziata richiesto da un amplissimo schieramento politico e sostenuto dalla firma di circa 1.300.000 elettori. Il nuovo presidente della Corte costituzionale Giovanni Amoroso durante la conferenza stampa del 21 gennaio ha spiegato le ragioni della bocciatura del referendum contro la legge Calderoli, osservando che «l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari», compromettendo così «la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore». Inoltre, ha sottolineato che il referendum avrebbe implicato una scelta sull’autonomia differenziata in sé e, in ultima analisi, sull’articolo 116, terzo comma, della Costituzione aspetti che non possono essere oggetto di referendum abrogativo ma richiedono una revisione costituzionale.

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Non possiamo nascondere la delusione per questa decisione che – a nostro avviso – appare basata su motivazioni deboli. Sulla chiarezza del quesito si è già pronunciata la Corte di Cassazione che lo ha aggiornato, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 192 del 2024. La Consulta si preoccupa di garantire all’elettore la possibilità di una scelta consapevole ma non si rende conto del paradosso di aver tolto agli elettori ogni possibilità di scelta cancellando il referendum. Quanto poi al timore che la scelta di abrogare la legge Calderoli sarebbe stata – in ultima analisi – una scelta sulla disciplina costituzionale che regola l’autonomia differenziata, questa è un argomento extra-giuridico perché si risolve in un processo alle intenzioni. Non v’è dubbio che un pronunziamento del corpo elettorale volto a cancellare del tutto la legge Calderoli, avrebbe avuto il significato di un rigetto del percorso politico verso la creazione di status differenziati fra le Regioni e i cittadini italiani. Ma ciò non comporta un vulnus alla disciplina costituzionale introdotta dalla riforma del 2001. La Costituzione, infatti, attribuisce alle Regioni la possibilità di chiedere l’autonomia differenziata, ma la decisione se accogliere la richiesta è rimessa al Governo e al Parlamento. L’autonomia differenziata non è un diritto, è una facoltà che lo Stato può decidere di attivare o di non attivare. Dunque, decidere di eliminare la legge Calderoli, in quanto volta ad agevolare l’esercizio di quella facoltà, non significa affatto pronunciarsi sulla Costituzione, bensì assumere una decisione di principio sull’attivazione o meno della facoltà in questione, il che, peraltro, non impedisce la possibilità di utilizzare direttamente l’articolo 116, comma 3 della Costituzione, come mostra l’esperienza delle preintese stipulate dalle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna con il Governo Gentiloni il 28 febbraio 2018.

Rimane il fatto che l’esclusione del Referendum sulla legge Calderoli segna una battuta d’arresto di quel percorso di mobilitazione contro il disegno di rottura dell’unità nazionale e dei caposaldi dell’eguaglianza dei cittadini intrapreso dalla Lega e oggetto di uno scellerato patto di governo fra le forze politiche della maggioranza che comprende anche il premierato e la riforma costituzionale della giustizia. Un altro aspetto negativo è che l’esclusione del referendum sull’Autonomia differenziata indebolisce la partecipazione al voto sugli altri 5 referendum ammessi, rendendo più difficile il raggiungimento del quorum.

La decisione della Consulta indubbiamente ha fornito un assist al governo Meloni salvandolo dall’incubo di una sconfitta nelle urne che sarebbe stata disastrosa per il centrodestra. Tuttavia le campagne politiche che si sono svolte nei tre anni precedenti hanno fatto emergere una diffusa consapevolezza della posta in gioco testimoniata dal successo della raccolta delle firme per l’abrogazione della legge Calderoli. Questo risveglio politico ha portato le Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania a sollevare ricorso diretto (ex art. 127 Cost) alla Corte Costituzionale contro la legge Calderoli. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 192 del 14 novembre 2024, ha inflitto un colpo mortale alla lettura, in funzione di spacca-Italia, della improvvida riforma del Titolo V della Costituzione approvata dal centrosinistra nel 2001. L’intervento della Corte è stato di importanza fondamentale perché ha riportato la riforma del Titolo V nell’alveo dei principi costituzionali che reggono la Repubblica ponendo un macigno sulla strada di Calderoli. In sostanza la Corte ha statuito che le forme particolari di autonomia che le Regioni possono ottenere devo no essere compatibili con «i principi dell’unità della Repubblica della solidarietà fra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio».

In particolare la Corte ha statuito che non possono essere trasferite alle Regioni intere materie (come pretendono Zaia e compagni) e che le funzioni trasferibili non possono avvenire ad libitum ma devono essere giustificate dal principio di sussidiarietà. Fra le altre cose la Corte ha bocciato la procedura governativa per la determinazione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni), attribuendo la competenza al Parlamento. Questo impedisce che si possano effettuare trasferimenti di nuove funzioni alle Regioni se prima non vengano approvati i Lep con procedimento legislativo. Nella sua intervista il presidente Amoroso ha ribadito che la Consulta ha rilevato 13 punti di incostituzionalità della legge Calderoli e ha precisato che la determinazione dei Lep è pregiudiziale anche per le materie non Lep.

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Anche se non ci sarà il referendum, il percorso verso la secessione soft, delineata dall’interpretazione leghista dell’Autonomia differenziata, è sbarrato da un punto di vista giuridico.

Da un punto di vista politico, però, permane il rischio che questa maggioranza non si conformi all’interpretazione costituzionalmente vincolata imposta dalla Consulta. Non ci sarebbe da stupirsi, data la vocazione anticostituzionale del governo Meloni sotto molteplici aspetti. Il Parlamento dovrà approvare una nuova legge per rappezzare i buchi della legge Calderoli e non è detto che rimanga nel perimetro di self restrain indicato dalla sentenza n.192/24. Il confronto politico deve proseguire e dobbiamo vigilare che il progetto di divisione dell’Italia smontato dalla Corte Costituzionale non venga riesumato sotto altre forme. 

 

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