Univocità del titolo esecutivo giudiziale e interpretazione extratestuale

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Con sentenza del 17 gennaio 2025, la Corte di cassazione si è pronunciata in merito all’interpretazione del titolo esecutivo giudiziale, definendo la facoltà di integrazione dello stesso sulla base di elementi extratestuali ritualmente acquisiti nel processo in cui si è formato.

Il caso di specie prende le mosse da un giudizio di accertamento di violazioni in materia di concorrenza, nell’ambito del quale il Tribunale condannava la parte resistente al risarcimento del danno e determinava la penaledi € 1.000,00“per ogni violazione della presente sentenza o ritardo della sua attuazione. 

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In forza di tale titolo esecutivo giudiziale la parte vittoriosa avviava l’esecuzione, con notifica di atto di precetto.

Parte soccombente proponeva opposizione a precetto, ritenendo non dovuta la penale e contestando il titolo esecutivo sul punto in quanto nell’indicare il “giorno di” ritardo non conteneva l’indicazione “pro die” e l’iter motivazionale della decisione nulla precisava in argomento.

Il giudice adito, in parziale accoglimento dell’opposizione, dichiarava inefficace il precetto con riferimento alla richiesta di penale in quanto il perimetro temporale giornaliero della penale non si rinveniva né nel dispositivo e neppure nella motivazione del provvedimento giudiziale. La sentenza veniva impugnata e la Corte d’appello – in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza di primo grado – rigettava l’opposizione al precetto proposta. Avverso la sentenza d’appello veniva proposto ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte chiamata a pronunciarsi in merito all’interpretazione del titolo esecutivo giudiziale, in prima istanza richiama il principio affermato dalle Sezioni Unite con sent. n. 11066/2012 secondo cui “Il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474, secondo comma, n. 1, cod. proc. civ., non si identifica, né si esaurisce, nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo consentita l’interpretazione extratestuale del provvedimento, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato”.

Nel definire poi il perimetro entro il quale può essere eseguita l’operazione ermeneutica aggiunge che “è consentita l’interpretazione extratestuale del provvedimento sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui si è formato, purché le relative questioni siano state trattate nel corso dello stesso e possano intendersi come ivi univocamente definite, essendo mancata, piuttosto, la concreta estrinsecazione della soluzione come operata nel dispositivo o perfino nel tenore stesso del titolo”.

In altre parole si ritiene che l’eterointegrazione del titolo esecutivo giudiziale è ammissibile, soltanto nel caso in cui si risolva in un’attività integrativa univoca, che non involga attività cognitive suppletive o integrative, rimaste estranee al giudizio che ha preceduto la formazione del titolo.

Non è quindi consentita un’integrazione, tanto meno extratestuale, del titolo esecutivo quando è univoca e certa la struttura del suo comando e quando gli ulteriori elementi potevano essere sottoposti nel giudizio in cui quel titolo è stato reso, al giudice della relativa cognizione e, se del caso, con l’idoneo gravame avverso il medesimo. In più l’interpretazione di un titolo esecutivo di formazione giudiziale, onde determinarne l’esatta portata precettiva, rappresenta compito istituzionalmente devoluto al giudice dell’esecuzione.

La Corte di cassazione con la sentenza in analisi ribadisce quindi in primo luogo che in tema di esecuzione forzata, è ammissibile l’eterointegrazione del titolo esecutivo giudiziale, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui si è formato.

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Definita quindi l’ammissibilità dell’operazione ermeneutica, ne delinea poi i confini sotto un duplice profilo: sia in termini oggettivi, chiarendo che è ammissibile tale facoltà ove si risolva in un’attività integrativa univoca, che non involga attività cognitive suppletive o integrative, rimaste estranee al giudizio che ha preceduto la formazione del titolo; sia in termini soggettivi, posto che tale compito spetta esclusivamente al giudice dell’esecuzione oppure al giudice adito con opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. e si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità qualora esente da vizi motivazionali.

In definitiva in tema di esecuzione forzata, l’eterointegrazione del titolo esecutivo giudiziale, deve ritenersi ammissibile se eseguita sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui si è formato, e ove si risolva in un’attività integrativa univoca, che non involga attività cognitive suppletive o integrative, rimaste estranee al giudizio che ha preceduto la formazione del titolo.



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