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tra corruzione, massoneria segreta e caccia al voto

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 Si è aperta con un’intensa requisitoria della pubblica accusa la fase finale del processo Artemisia, nato dall’operazione dei Carabinieri di Trapani del 2019. Un’indagine complessa, che ha portato alla sbarra numerosi politici, imprenditori, amministratori pubblici e forze dell’ordine, con un quadro inquietante di favori, corruzione e una presunta loggia massonica segreta.

La prima parte della requisitoria: un sistema di potere consolidato

La sostituta procuratrice Sara Morri, che ha condotto il dibattimento insieme alla collega Francesca Urbani, ha parlato per quasi sei ore davanti al collegio giudicante presieduto dal giudice Messina, con a latere Bandiera e Cantone. L’accusa presenterà una memoria scritta di quasi mille pagine, accompagnata dalle richieste finali, che si prevede saranno pesanti.

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Il fulcro dell’inchiesta riguarda un sistema di potere consolidato nel trapanese, con al centro Giovanni Lo Sciuto, ex deputato regionale di Ncd, e un cerchio magico di collaboratori e complici: tra questi l’ex sindaco di Castelvetrano Felice Errante, i poliziotti Salvatore Passanante, Salvatore Virgilio e Salvatore Giacobbe, il direttore dei servizi medico-legali dell’Inps Rosario Orlando e il potente uomo della formazione professionale in Sicilia, Paolo Genco, noto come “il tonno”.

“Uno per tutti e tutti per uno”: il patto dei “moschettieri del malaffare”

Secondo la requisitoria, i rapporti tra gli imputati erano talmente radicati da somigliare a una fratellanza massonica:

“Appena uno aveva un problema, gli altri si adoperavano per risolverlo senza remore. Tutti a disposizione dell’altro”, ha dichiarato la pm Morri, descrivendo un sistema affaristico e clientelare che garantiva appalti, favori e nomine in enti pubblici in cambio di sostegno elettorale.

Tra le accuse contestate c’è anche l’appartenenza a una loggia massonica segreta, tema che verrà approfondito nella prossima udienza.

Il profilo di Giovanni Lo Sciuto: “spiccata attitudine al crimine”

Dalle parole del pm Morri emerge il profilo di Giovanni Lo Sciuto, politico castelvetranese capace di orientare il consenso con la corruzione. Medico e politico navigato, ha costruito la sua carriera partendo da consigliere e assessore comunale, fino ad arrivare all’Assemblea Regionale Siciliana (2012-2017), dove è stato persino membro della Commissione Antimafia.

Nonostante i suoi presunti rapporti con ambienti mafiosi – da giovane fu immortalato in una foto con Matteo Messina Denaro – riuscì a ottenere posizioni chiave per controllare risorse pubbliche e nomine strategiche.

L’asse con Paolo Genco: fondi pubblici e pressioni politiche

Uno dei principali alleati di Lo Sciuto era Paolo Genco, ex presidente dell’Anfe (Associazione Nazionale Famiglie Emigrate), descritto come l’uomo giusto per gestire i fondi della formazione professionale in Sicilia. Secondo l’accusa, il legame tra i due era chiaro:

  • Lo Sciuto garantiva fondi e appoggi istituzionali, aprendo le porte della politica regionale e ministeriale;
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  • Genco ricambiava con finanziamenti per le campagne elettorali e assunzioni mirate.

Quando qualcuno si metteva di traverso, partivano campagne di pressione e minacce:

  • Bruno Marziano, all’epoca assessore regionale alla Formazione, fu bersaglio di un’offensiva politica e mediatica orchestrata dal gruppo di Lo Sciuto e Genco per ottenere più fondi per l’Anfe.
  • Loana Giacalone, dirigente di un istituto scolastico a Castellammare del Golfo, subì pressioni e minacce per aver negato l’uso delle aule a un corso dell’Anfe.

Nomine pilotate e affari con la massoneria

L’inchiesta rivela anche nomine strategiche pilotate, come quella del commercialista Gaspare Magro nel collegio dei revisori dei conti dell’Asp di Trapani. Magro, finanziatore della campagna elettorale di Lo Sciuto e membro della massoneria, si mise “in sonno” – ovvero sospese la sua attività massonica – per evitare problemi giudiziari, avvisando però Lo Sciuto, che lo rassicurò:

“Hai fatto bene, visti i sospetti che la magistratura alimenta”.

Un saluto tra i due, con il termine “Fratello” (con la F maiuscola), ha fatto emergere ulteriori dubbi sugli intrecci tra politica, affari e logge massoniche.

“Un territorio governato con la corruzione”

Secondo l’accusa, la rete di Lo Sciuto e dei suoi sodali controllava il territorio con metodi clientelari e favori personali, in un’area già segnata dalla storica presenza di Matteo Messina Denaro. Non esisteva spazio per la meritocrazia:

    Finanziamo agevolati

    Contributi per le imprese

     

  • L’unico criterio di accesso alle risorse pubbliche era la fedeltà politica.
  • Le assunzioni e i finanziamenti venivano elargiti in cambio di voti e sostegno elettorale.

Il processo Artemisia sta quindi delineando uno scenario di profonda corruzione che ha condizionato la pubblica amministrazione nella provincia di Trapani per anni. Le prossime udienze saranno decisive per conoscere le richieste di condanna della Procura, che si preannunciano molto pesanti.





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