Ricettazione per il detenuto che riceve in carcere un telefono introdotto abusivamente

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Scatta il più grave reato di “ricettazione” per il detenuto che riceva un apparecchio telefonico (o altro dispositivo idoneo alla comunicazione) da chi lo ha introdotto abusivamente nell’istituto penitenziario, senza un previo accordo con lo stesso detenuto. Una simile condotta infatti “appare integrare il reato di ricettazione, per avere il detenuto ricevuto una cosa (il dispositivo) proveniente dal delitto di cui all’articolo 391-ter, primo comma, cod. pen.”. Lo afferma la Corte di cassazione, sentenza n. 4189 depositata oggi, con la quale ha respinto il ricorso dell’imputato che chiedeva la riqualificazione del reato in quello di “Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti” e confermando la condanna del Gip a 1 anno e 8 mesi di reclusione (e mille euro di multa).

Per i giudici il ricorrente non considera che per effetto della clausola di riserva «[s]alvo che il fatto costituisca più grave reato» con cui si apre il terzo comma dell’articolo 391-ter cod. pen., il reato di ricettazione, ove ritenuto in concreto più grave, “prevale”. La II Sezione penale ricorda poi che in caso di applicazione della pena su richiesta la riqualificazione del reato, con ricorso per Cassazione, è ammessa soltanto quando essa sia stata palesemente “eccentrica”, condizione nella fattispecie non ricorrente.

La Suprema corte ricorda poi che l’articolo 391-ter cod. pen. è stato inserito nel codice penale dal cosiddetto “Decreto sicurezza bis” nel 2020 per contrastare il fenomeno, che era divenuto ormai endemico, dell’introduzione in carcere di apparecchi cellulari, essendo risultata impraticabile la cd “schermatura” delle carceri.

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L’articolo 391-ter cod. pen stabilisce che: «Fuori dei casi previsti dall’articolo 391-bis, chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o comunque consente a costui l’uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni [primo comma]. Si applica la pena della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense [secondo comma]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena prevista dal primo comma si applica anche al detenuto che indebitamente riceve o utilizza un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni [terzo comma]». Con riguardo a tale ultimo comma, l’utilizzo della congiunzione disgiuntiva «o» implica che, affinché il reato sia integrato, non è necessario che il detenuto utilizzi il dispositivo ma è sufficiente che l’agente ne sia in possesso per averlo ricevuto.

Il presupposto di entrambi i reati di cui al primo e al terzo comma dell’articolo 391-ter cod. pen., spiega la decisione, è che l’accesso a dispositivi idonei alla comunicazione sia indebito, cioè non autorizzato dall’Amministrazione penitenziaria. Mentre con riguardo all’oggetto dei due reati, la Corte di cassazione ha escluso che esso possa essere costituito da una scheda SIM (n. 42941/2024).

La Suprema corte afferma che il bene giuridico tutelato dalla disposizione incriminatrice “appare essere l’effettività della pena detentiva e della custodia cautelare in carcere, le cui finalità possono risultare frustrate dall’indebito accesso, da parte dei detenuti, a dispositivi idonei alla comunicazione dei quali gli stessi detenuti si potrebbero servire non solo per coltivare il proprio diritto all’affettività, comunicando con i propri cari, ma anche per continuare a gestire i propri affari illeciti”.

In conclusione, siccome il terzo comma dell’articolo 391-ter cod. pen. si apre con una clausola di riserva – «[s]alvo che il fatto costituisca più grave reato» -, la quale comporta la sussidiarietà del reato rispetto all’intera categoria dei reati più gravi, ai quali il legislatore ha assegnato, perciò, la prevalenza; la condotta della ricezione del dispositivo integra il reato di “ricettazione” e non di “accesso indebito a dispositivi”, in quanto il detenuto ha ricevuto un dispositivo che a sua volta era frutto del delitto previsto dal primo comma dell’articolo 391-ter, Cp.



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