Non siamo tutti uguali. È difficile mettere in relazione la vita del sig. Aliko Dangote e di una persona “normale” in qualunque angolo del mondo; probabilmente agli occhi del sig. Dangote quegli 8 miliardi di persone “normali” non appartengono neppure alla stessa specie. Anche avendo appreso adesso dell’esistenza del sig. Dangote francamente si fa fatica a dargli torto: cosa dovrebbe condividere con l’umanità il sig. Dangote, che ha un patrimonio netto di 11 miliardi di dollari ed è l’uomo più ricco dell’Africa? Appartiene alla stessa “élite” del denaro di cui fanno parte nomi più noti, dall’ormai immancabile Elon Musk (l’uomo più facoltoso al mondo, la cui ricchezza è aumentata del 31% negli ultimi 12 mesi ed è pari a 330 miliardi) a Jeff Bezos, seduto su 219.4 miliardi grazie soprattutto ad Amazon che copre oltre il 70% degli acquisti online in Germania, Francia, Regno Unito, Spagna. Per parafrasare Nietzsche, «le persone normali sono la scimmia del superuomo», in questo caso del super-ricco. E l’iniquità non è un problema distante, perché l’Italia è uno dei paesi più iniqui d’Europa, in cui
il 5% più ricco delle famiglie italiane, titolare del 47.7% della ricchezza nazionale, possiede quasi il 20% in più della ricchezza complessivamente detenuta dal 90% più povero.
NEL MONDO «Nel 2024 la ricchezza dei miliardari è cresciuta, in termini reali, di 2000 miliardi di dollari, pari a circa 5.7 miliardi di dollari al giorno, a un ritmo tre volte superiore rispetto all’anno precedente. Entro un decennio si prevede che ci saranno ben cinque trilionari. Il numero di persone che oggi vivono in povertà, con meno di 6.85 dollari al giorno, è rimasto pressoché invariato rispetto al 1990 (700 milioni di persone, ndr) e, alle tendenze attuali, ci vorrebbe più di un secolo per portare l’intera popolazione del pianeta sopra tale soglia». Lo mette nero su bianco Oxfam Italia nel suo rapporto annuale, che si intitola “Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata” e mette l’accento proprio sul tema del “merito”: «larga parte della ricchezza estrema è difficilmente ascrivibile a meriti individuali, ma riconducibile a eredità, sistemi di relazione clientelari e all’immenso potere di mercato esercitato da imprese che i super-ricchi controllano o dirigono». In un mondo in cui il 36% della ricchezza è ereditata, in cui «se uno dei 10 miliardari più ricchi al mondo vedesse evaporare il 99% della propria ricchezza, rimarrebbe comunque un miliardario» e in cui al ritmo attuale ci vorrebbe un secolo per estinguere la povertà estrema che interessa il 7.3% della popolazione mondiale, per Oxfam le disuguaglianze «non sono né casuali né ineluttabili» ma «risultato di scelte politiche» che occorre cambiare.
Partendo da una revisione del concetto di meritocrazia, sia perché «la “creazione di valore” è uno sforzo collettivo» della società sia perché non si può ridurre l’idea di “valore” al mero dato economico (quale impatto ha?) sia perché il “merito” è influenzato da fattori naturali e sociali e dipende dalla valutazione sociale, cosicché non può esistere in assenza di «uguaglianza ai nastri di partenza». Che il problema sia a monte per Oxfam è reso evidente dal fatto che nel mondo odierno la ricchezza si eredita, è figlia di «relazioni di tipo clientelare con il potere pubblico ed è frutto di condizionamento politico» (perlopiù legale tramite azioni di lobbying), è legata a posizioni monopolistiche, è «estrattiva» nel senso che «riflette e perpetua disparità riconducibili all’era coloniale» (tramite sistemi fiscali iniqui, debito dei Paesi più poveri, controllo del “Nord globale” di tutti gli organismi internazionali politici ed economici). Ecco perché oggi solo il 7% degli esseri umani vive in stati «con bassi livelli di disuguaglianza».
IN ITALIA Condizione che non caratterizza il Belpaese, dove il 10% più ricco (5.8 milioni di cittadini) possiede il 59.7% della ricchezza nazionale, mentre il 50% più povero (quasi 30 milioni) non supera il 7.4%. Si tratta di stime della Banca d’Italia relative al 2024, secondo le quali mentre dal 2010 al 2024 i più ricchi hanno guadagnato una quota della “torta” del 7.2%, i più poveri hanno visto la loro fetta ridursi di oltre un decimo (-0.9%), motivo per cui l’Italia ha un coefficiente di Gini – che misura il grado di disuguaglianza economica, da 0 “assenza di disuguaglianze” a 1 “totale iniquità” – che è passato da 0.67 a 0.71: l’1% più ricco degli italiani ha in mano quasi un quarto del patrimonio privato nazionale (stime Ubs), i miliardari si sono arricchiti in media di 166 milioni di euro al giorno mentre «il salario medio annuale in termini reali è rimasto pressoché invariato negli ultimi trent’anni». Una disuguaglianza inevitabile se lo Stato non solo non interviene, ma anzi attua o tollera pratiche regressive (che non favoriscono la distribuzione delle risorse). Oxfam esprime un giudizio severo sulle politiche fiscali italiane, parlando di «democrazia fiscale violata» che
cristallizza, con le parole degli economisti Paolo Liberati e Massimo Paradiso, una sistematica violazione della democrazia fiscale nel nostro Paese. Un Paese in cui “sempre gli stessi pagano le imposte per sostenere quel che rimane dei beni e servizi pubblici di carattere universalistico”.
UNO PER TUTTI Il Rapporto analizza le principali criticità in ambito fiscale, a partire dall’Irpef che, seppure dotata di maggiore «equità verticale» nella formulazione introdotta nel 2024, non arriva a «correggere la regressività al vertice dell’intero sistema di tassazione nazionale, che vede oggi il 7% dei contribuenti più ricchi versare, in proporzione al proprio reddito, minori imposte dirette, indirette e contributi». A livello “orizzontale” inoltre non mancano le distorsioni: a parità di reddito un lavoratore dipendente e soggetto a un carico fiscale più elevato rispetto a un lavoratore autonomo, per via «dell’iniquo regime forfetario – la flat-tax», cui ora può accedere anche chi, da libero professionista, ha un solo committente che è «contestualmente il suo datore di lavoro, fornendo un incentivo alla trasformazione di rapporti di lavoro dipendente in attività autonome con meno tutele». A questo si aggiunge il tema dell’evasione fiscale, che nel 2024 è stimata in 82.4 miliardi di euro, in calo grazie a strumenti quali la fatturazione elettronica, al punto che l’Italia potrebbe raggiungere entro il 2026 l’obiettivo fissato nel Pnrr, ma con ancora grossi margini di recupero: «oltre 2/3 del gettito atteso dagli indipendenti che pagano l’Irpef risulta evaso».
Giuseppe Del Signore
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