La sfida del futuro è saper governare l’Intelligenza artificiale

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Identità, etica, competenze. E una visione chiara di quale direzione Aldai, l’associazione lombarda dei dirigenti industriali, deve imboccare. Il presidente Giovanni Pagnacco, giurista d’impresa per il colosso Maire Technimont, ha la responsabilità dei 14mila manager lombardi iscritti all’associazione e non si tira indietro.

“Punto sulla valorizzazione della figura del dirigente industriale anche – perché no? – dal punto di vista sindacale”. Anche il dirigente, d’altronde, è un lavoratore dipendente. E ha le sue esigenze di equilibrio tra la vita professionale e la famiglia. “Accompagniamo la vita dei dirigenti, in tutti gli aspetti della loro vita professionale e non solo, con convenzioni e vantaggi legati anche ai loro ambiti familiari e personali.

Il mantra di Pagnacco è la partecipazione attiva degli iscritti. “Per poter dare più di quel che si riceve”, la sua filosofia. Tanto che sul fronte sociale, “abbiamo una forte attività di volontariato da parte degli associati, che vanno a spiegare agli studenti, nelle scuole, il momento e le prospettive di crescita professionale”. E non vogliono limitarsi a questo. Perché il dirigente d’impresa ha tanto da offrire, sul fronte delle competenze, e “vuole diventare un attore reale nei cambiamenti necessari”. E le sfide, per il sistema industriale, sono tante. Dalla transizione energetica alla digitalizzazione, dalla responsabilità sociale al fattore educativo, fino allo sviluppo dei talenti.

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Cosa vuol dire partecipazione attiva, per diventare attori nei cambiamenti?

“Che gli associati non solo fruiscono dei tanti servizi offerti, ma partecipano, si mettono in gioco, mettono a disposizione le proprie competenze. L’Italia è seduta su una miniera d’oro, il talento dei dirigenti d’impresa, e la sfrutta troppo poco. Dobbiamo tornare a collaborare con le Istituzioni per tornare ad avere un ruolo di primo piano nei tavoli decisionali. C’è tanto potenziale inespresso. Noi abbiamo fame di partecipazione attiva, vogliamo tornare a essere opinion leader”.

Apriamo il capitolo educazione: meglio specializzarsi fin da subito o ampliare il più possibile a scuola il proprio bagaglio di competenze per poi scegliere?

“Capisco il dilemma, lo vivo sulla mia pelle avendo un figlio di 24 anni – sorride –. Ma secondo me ci troviamo di fronte a un malinteso: l’iperspecializzazione è un falso mito, poteva andar bene quando eravamo troppi in questo Paese. Ma con “l’inverno demografico“ alle porte, saremo molti meno. E non c’è alcun obbligo di esprimere subito, nel percorso formativo, la carriera. A questo Paese non serviranno solo i super talenti, i “numeri 1“. Ma anche i numeri 2,3,4 nelle aziende, per farle funzionare e per creare maggiore ricchezza per tutti. Non si può condannare a una vita di mediocrità un ragazzo solo perché non ha il massimo dei voti alle medie o alle superiori. Serve una presa di coscienza per cambiare. Non solo puntare su ragazzi che hanno 4 lauree o parlano 8 lingue, ma anche i ragazzi con le “soft skills“ giuste, utili alle aziende. Invece, quanti talenti sprechiamo…”.

Saranno sostituiti dall’Intelligenza artificiale?

“No, sono certo di no. Anzitutto, meglio non confondere l’assuefazione ai digital device e la videodipendenza con competenze vere, reali nell’AI. Semplicemente, come tanti altri strumenti, l’AI va governata e non subita. Comporta oneri e onori. Noi ci stiamo lavorando, anche qui con un gruppo di studio. Perché vogliamo sederci al tavolo dove si decidono le regole. Resto convinto che alla fine l’IA non sostituirà le persone, sopstituirà solo quelle che non la sanno usare”.

Acquisiremo talenti dall’estero?

“Anche qui, serve una presa di coscienza. Non si possono sprecare i nostri talenti e al contempo non volerne da fuori Italia. Bisogna dare una possibilità a tutte le persone che dimostrano di meritarla, senza esclusioni a priori”.

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A quali Paesi guarderebbe?

“Paesi dove tanti parlano la nostra lingua, dove l’Italia viene vista come punto di arrivo. L’Albania per esempio, ma non solo. È un’opportunità di crescita per tutti, venire a contatto con nuove realtà. Per condividere valori positivi universali”.

E il rientro dei cervelli?

“Io ne so qualcosa: ho lavorato a lungo all’estero, poi sono tornato perché innamorato dell’Italia. Ma conosco altri talenti che non sono tornati. Ed è un peccato. Perché non è solo questione di benefici fiscali, un vantaggio importante ma limitativo. Formare talenti che poi sono costretti ad andarsene è una politica suicida”.

Parliamo di territori e di gap tra centro e periferie, a partire da web e digitalizzazione, in una Lombardia iperconnessa nelle grandi città e isolata nei paesi, soprattutto montani.

“La ricetta è investire, per migliorare le zone più depresse. In un rapporto di bilateralità, perché l’esclusione – come nel caso dei migranti – è sempre un boomerang. E la divisione crea scompensi, sfiducia nell’intero sistema che così si indebolisce. Le infrastrutture digitali sono le moderne autostrade, la connessione è l’acqua corrente della modernità: bisogna ridurre la frammentazione dei territori, rafforzare l’intero sistema”.

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“Vengo da una famiglia di donne, vedo colleghe che lavorano in aziende considerate “maschili“, legate a ingegneria. Il problema, più che il numero, è nello stipendio. È un’aberrazione umana opagarle meno a parità di competenze. Ed è una vergogna che, pur nei tanti passi avanti fatti dalla società, ancora non abbiano raggiunto una reale parità di diritti e opportunità”.



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