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A Gennaio l’Iraq ha approvato 3 leggi controverse.
Il 21 Gennaio il Parlamento iracheno ha approvato diverse leggi, tra cui emendamenti inerenti lo status personale e la legge generale di amnistia. Partiamo dalla prima. La legge sullo status personale emendata trasferisce il potere dalle istituzioni statali alle autorità religiose, concedendo ai tribunali islamici una maggiore autorità su questioni quali il matrimonio, il divorzio e l’eredità. Un emendamento che preoccupa molto perché mette a rischio la legge irachena sullo status personale (n. 188 del 1959), che unificava il diritto di famiglia e che fissava a 18 anni l’età minima per il matrimonio, sia per le donne che per gli uomini. Va comunque detto che anche all’interno di questa legge erano permesse alcune eccezioni legali che permettevano il matrimonio di ragazze di 15 anni di età.
Attraverso questi nuovi emendamenti però il quadro si aggrava in quanto si rischia di abbassare ulteriormente la soglia di età per consentire il matrimonio. La giurisprudenza islamica tradizionale infatti stabilisce che una ragazza “è matura per sposarsi” al raggiungimento della pubertà; questa legge, dunque, potrebbe legalizzare i matrimoni precoci. I tribunali che seguono la scuola di diritto Jaafari, ad esempio, potrebbero addirittura fissare a 9 anni l’età minima legale per contrarre matrimonio per le ragazze e a 15 per i ragazzi.
In quella stessa giornata il Parlamento ha anche approvato un emendamento alla Legge di Amnistia Generale (n. 27 del 2016) che permetterebbe il rilascio di migliaia di sunniti; tra loro potrebbero esserci anche alcuni combattenti terroristi dei Daesh, che riuscirebbero così a sfuggire alla giustizia.
La Camera ha inoltre approvato una legge in materia di terreni agricoli per le aree coperte dall’articolo 140 della Costituzione irachena: i territori confiscati sotto il regime Ba’ath ai loro proprietari originari, curdi e turkmeni, potrebbero essere loro restituiti.
La legge di Amnistia Generale, e il dissenso della comunità Yazida
Quanto approvato il 21 Gennaio concernente la legge di amnistia potrebbe favorire la scarcerazione di alcuni membri del gruppo terroristico Daesh, colpevoli di aver commesso crimini contro la comunità yazida.
Facciamo un passo indietro: è il 3 Agosto 2014 quando i combattenti (i terroristi) dell’Isis occupano il Sinjar, regione nel Nord dell’Iraq a meno di 15 chilometri dal confine con la Siria dove risiedono perlopiù yazidi, un gruppo etnico e religioso minoritario. Da quel momento inizia il genocidio degli yazidi, dove la violenza contro le donne viene usata come arma di occupazione. Un’occupazione che durerà fino al Dicembre del 2017 e che porterà alla devastazione di vite umane con gli uomini costretti alla conversione e le donne deportate, violentate, ridotte in schiavitù o vendute.
La voce di Nadia Murad (Nobel per la Pace 2018) è una viva testimonianza delle atroci violenze che hanno dovuto subire le donne e i prigionieri yazidi catturati dagli uomini dell’ISIS. Nadia Murad, come moltissime altre prigioniere, è stata violentata e torturata fino al giorno, nel Novembre 2014, in cui è riuscita a scappare.
Sebbene le violenze e soprusi subiti dalla comunità yazida siano stati riconosciuti dalle Nazioni Unite come genocidio, con l’emendamento approvato a Gennaio gli uomini colpevoli di essersi tacciati di questi orribili crimini potrebbero essere liberati. Una mossa legislativa e politica voluta per “proteggere e tutelare” i sunniti iracheni, e fortemente contestata dalla comunità yazida. Nadia’s Initiative, organizzazione non governativa fondata da Nadia Murad, ha lanciato un appello a nome della comunità yazida:
“A nome della comunità yazida e delle vittime del genocidio perpetrato contro il nostro popolo nel 2014 dall’organizzazione terroristica ISIS, dalla resistenza yazida che ha combattuto contro questa organizzazione sul monte Sinjar, dai partiti politici yazidi, dalle organizzazioni della società civile e da tutti i segmenti della comunità, esprimiamo il nostro forte rifiuto e la nostra condanna del Secondo Emendamento della Legge di Amnistia Generale n. (27) del 2016. Questo emendamento, approvato dal Parlamento iracheno il 21 gennaio 2025, include disposizioni che consentono agli autori dei crimini più efferati commessi dall’ISIS contro l’umanità, compreso il genocidio contro il nostro popolo yazida a Sinjar e in altre aree, di sfuggire alla giustizia.
[…]
Inoltre, l’approvazione di questa legge rappresenta una grave minaccia per il tessuto sociale iracheno, per le relazioni tra le diverse comunità e minoranze e per gli sforzi per la riconciliazione nazionale. La vera riconciliazione richiede fondamenti di giustizia e responsabilità per affrontare le atrocità del passato. Come si può costruire un’autentica riconciliazione quando ai criminali viene concessa l’amnistia e i diritti delle vittime e la sofferenza delle famiglie che hanno perso i propri cari vengono ignorati?
Pertanto, chiediamo al Presidente della Repubblica di astenersi dal ratificare questa legge. Esortiamo inoltre il Tribunale federale a esercitare il suo ruolo di controllo sulla costituzionalità delle leggi, a rispondere ai ricorsi presentati da un gruppo di parlamentari e a rivedere la legge per escludere tutte le persone coinvolte in reati terroristici. Sottolineiamo la necessità di ritenere responsabili tutti coloro che hanno contribuito, partecipato o sostenuto questi crimini in qualsiasi forma, in linea con gli impegni internazionali dell’Iraq per combattere il terrorismo e prevenire l’impunità”.
Le spose bambine, in Iraq un fenomeno frequente
Per quanto l’emendamento approvato il 21 Gennaio sullo status personale abbia scatenato reazioni da parte di molte donne e delle organizzazioni umanitarie, per onestà di cronaca va comunque detto che: sebbene l’Iraq abbia bandito il matrimonio sotto i 18 anni sin dagli anni ’50, un’indagine dell’Unicef ha rilevato che il 28% delle ragazze in Iraq si è sposata prima di raggiungere il compimento dei 18 anni.
Il fenomeno delle spose bambine in Iraq è dunque alquanto frequente. A confermarlo, oltre l’Unicef, anche un report di Human Rights Watch che ha denunciato come ogni anno in Iraq i leader religiosi celebrino migliaia di matrimoni al di fuori dei tribunali, senza dunque registrarli. Un escamotage che spesso le famiglie usano per aggirare i requisiti di matrimonio previsti dalla Legge sullo status personale, permettendo così matrimoni che davanti alla legge non sarebbero validi, come ad esempio quelli poligamici o i matrimoni forzati e precoci.
Nonostante si ricorra ai matrimoni non registrati per varie motivazioni, stando ai dati raccolti da HRW è emerso che nella maggior parte dei matrimoni non registrati le spose avevano meno di 18 anni, erano quindi minorenni.
A rendere il quadro ancora più drammatico è il fatto che in Iraq sono diffuse altre leggi tribali che consentono di denigrare le donne, talvolta usandole come merce di scambio, usanze che, per quanto siano criminalizzate nella Legge sullo status personale, raramente vengono denunciate da coloro che le subiscono. Tra queste “usanze tribali” figurano la fasliya e la nahwas. La fasliya (arbitrato in arabo) indica lo scambio di una donna o di un bambino per risolvere controversie tra le comunità. La nahwas invece viene utilizzata per impedire ad una donna di sposare un altro uomo, viene quindi posto un veto (di solito dallo zio) per proibirle di sposare un uomo diverso da suo figlio (il cugino).
Tutto questo all’interno di un quadro in cui l’Iraq aderisce, dal 1971, al Patto internazionale sui diritti civili e politici (garante del diritto al libero e pieno consenso al matrimonio) e, dal 1994, alla Convenzione sui diritti del fanciullo. In relazione a quanto esposto fino ad ora il 10 Ottobre 2024 è intervenuto anche il Parlamento Europeo, tramite una risoluzione avente come oggetto: “Iraq, la situazione dei diritti delle donne e la recente proposta di modifica della legge sullo status personale”.
Votazione: le controversie e ricatti
“L’articolo 134 del regolamento interno del Consiglio dei rappresentanti iracheno del 2022 stabilisce che le leggi devono essere discusse articolo per articolo, ciò significa che ogni pacchetto di legge deve essere votato singolarmente, concedendo ai parlamentari il tempo necessario per discutere gli articoli della legge e votarli” riporta un articolo di VOA. L’aver votato tutti questi tre pacchetti assieme può quindi risultare una pratica anomala e contestabile, per questo dopo la sessione di votazione alcuni legislatori hanno protestato.
Una votazione, questa, che ha il sapore del ricatto. VOA informa che: “I parlamentari curdi a Baghdad hanno dichiarato che il voto sulle tre leggi – lo status personale, l’amnistia generale e l’abrogazione delle decisioni del partito Ba’ath sulla terra curda a Kirkuk – è avvenuto secondo un accordo politico che ha costretto i curdi a votare a favore per le altre due leggi in cambio dell’indipendenza curda e dei diritti del popolo curdo”. In pratica se i curdi non avessero votato in un’unica soluzione avrebbero dovuto rinunciare alla restituzione delle terre confiscate durante il regime di Saddam Hussein.
Sebbene contrari ai primi due emendamenti (status personale e amnistia), i parlamentari curdi hanno comunque votato a favore.
Le aree contese, in particolare Kirkuk ricca di petrolio, sono da tempo un punto critico tra il governo regionale del Kurdistan (KRG) e il governo federale. Sotto il regime Ba’ath negli anni ’70, le terre curde e turkmene furono confiscate e date agli arabi reinsediati. Quando gli Stati Uniti rovesciarono il regime di Saddam Hussein nel 2003, si avviò una politica di de-arabizzazione, e furono molti i curdi che ritornarono nelle loro terre.
L’articolo 140 prevede per le terre contese un processo di normalizzazione, un censimento della popolazione e un referendum che consente ai residenti di scegliere tra l’adesione alla regione del Kurdistan o la permanenza sotto l’amministrazione di Baghdad
La scadenza per l’attuazione dell’articolo era stata originariamente fissata per il Dicembre 2007, ma non è stata rispettata. Nel 2019 la Corte suprema federale irachena ha stabilito che l’articolo 140 rimane in vigore fino a quando i suoi requisiti non saranno soddisfatti e i suoi obiettivi raggiunti.
La votazione sulla restituzione delle terre è avvenuta, dopo vari rimandi e discussioni, il 21 Gennaio, caratterizzata da un ricatto che ha imposto ai curdi il vincolo di far approvare gli altri due emendamenti.
A posteriori, viene perciò da chiedersi se questo compromesso che i curdi hanno accettato più che una parziale “vittoria” non sia, in realtà, una resa.
Photo credit: Levi Meir Clancy via Unsplash, (Sinjar, Iraq)
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