C’è un luogo dove chiunque può votare ed essere votato, a prescindere se abbia o no la cittadinanza italiana. Quel luogo è il sindacato dei metalmeccanici della Cisl: dove, a prescindere dal passaporto che si ha in tasca, si può votare per eleggere i propri rappresentanti nei luoghi di lavoro, ed essere eletti. Ed è proprio la Fim, che su 186 mila iscritti totali ne ha 30 mila provenienti da altri paesi, con una percentuale nazionale del 17% ma con punte oscillanti dal 22 al 27% nelle regioni, e di cui molti sono dirigenti sindacali, a lanciare una campagna assai concreta sul tema delle migrazioni. Va detta innanzi tutto una cosa: e cioè che su questo tema, che è il tema dei temi dei nostri tempi, assai raramente il sindacato, intendendo tutte e tre le confederazioni maggiori, ha fin qui preso posizioni forti.
Tanto più dunque è di rilevanza, anche politica, l’iniziativa voluta dal segretario generale Ferdinando Uliano, che ha riunito il consiglio generale per un seminario aperto sull’immigrazione e la cittadinanza, dal titolo: ‘’da emergenza a opportunità’. Con l’obiettivo, ha spiegato aprendo i lavori, di “passare da un ragionamento di pancia a un ragionamento che va dalla testa e al cuore”. “A differenza della politica -osserva Uliano -la Fim da’ a tutti diritto di voto, attivo e passivo. E oggi i delegati Fim stranieri nelle fabbriche italiane sono quasi 500, circa il 10% del totale”.
Sul palco della Fim Cisl, nell’Auditorium romano di via Rieti, ci sono anche due testimoni diretti: Issa Dembele, dal Mali, e Fatima El Maliani, dal Marocco, raccontano il loro percorso di vita, diversissimo e uguale nello stesso tempo. Fatima è nata in Marocco, arrivata in Italia a due anni, torinese di Porta Palazzo, brillante plurilaureata, si è scontrata per anni con la burocrazia che le impedisce la cittadinanza malgrado i 22 anni di permanenza in Italia. Risultato: esclusa dalle borse di studio e dall’accesso alle università europee. Non si è persa d’animo: oggi gestisce una Casa d’accoglienza per bambini stranieri e il presidente Mattarella l’ha insignita del titolo di Cavaliere al Merito. E tuttavia, Fatima sottolinea la ‘’confusione identitaria’’ di chi arriva in un paese che non è il suo, la fatica di gestire il ‘’rancore’’ degli autoctoni contro l’immigrato, ma anche, in parallelo, quello dello ‘’straniero che si sente costantemente respinto”. La cittadinanza, intanto, ancora non l’ha avuta.
La storia di Issa è invece quella che quotidianamente sentiamo in tv: i ‘’viaggi della speranza’’ attraverso il Mediterraneo che troppo spesso diventano viaggi della morte. Ma è molto, molto diverso sentirla raccontare ‘’dal vivo’’, da un ragazzo che indossa la felpa verde del sindacato metalmeccanici italiano. Partito da un villaggio del Mali, Issa ha fatto tutta la trafila: ha attraversato mezza Africa a piedi o su camion scassati, ha patito la fame e la sete, ha sperimentato le prigioni della Libia, ne è fuggito, si è travestito da donna per superare i posti di blocco, è naufragato tra Marocco e Spagna perché la barca era bucata. Alla fine riesce a salpare e arriva in Italia. Prima Palermo, poi Milano, poi Como. Prima compra una bicicletta, poi una bici elettrica, poi prende la patente. Oggi lavora in una fabbrica del nord, è sposato, e, si direbbe, felice. Racconta la sua storia – ‘’la storia di tutti’’- con leggerezza e ironia; e racconta, più che le cose brutte, quelle positive: la solidarietà, le persone che lo hanno aiutato, le amicizie che ha stretto; la sua ”paura” quando dal barcone ha avvistato i delfini, creature di cui ignorava l’esistenza.
Difficile credere che Issa o Fatima possano costituire un ‘’pericolo’’ per il nostro paese, più facile pensare che li si vorrebbe come migliori amici. Pensiero condiviso dai delegati e dai dirigenti cislini che intervengono nel dibattito, e che accusano il governo attuale di praticare politiche dell’immigrazione sbagliate e assurde, favorendo la ‘’segregazione occupazionale’’, cioè nei lavori ‘’sporchi, pericolosi e dequalificanti’’, lasciando che la popolazione immigrata viva “in una perpetua e intollerabile condizione di disagio” che si ripercuote poi su tutto il paese. Una ‘’deumanizzazione’’ sostanziale, che tuttavia non si riscontra nei luoghi di lavoro, dove convivono e collaborano alla pari italiani e stranieri, di qualunque colore, come racconta un delegato della Carraro di Padova: su 500 dipendenti, il 30 per cento arriva da Senegal, Pakistan, Romania, Bangladesh e Nigeria, tutti assunti regolarmente, tutti integrati, tutti “uguali”, e tutti festeggiando assieme il Ramadan come il Natale. È fuori dalle fabbriche che il clima cambia, e regna ‘’la religione del filo spinato, l’idea folle che si possa fermare l’immigrazione coi recinti’’.
L’accoglienza, spiega il professor Maurizio Ambrosini, docente di migrazioni alla Statale di Milano, comincia da come si vede il fenomeno: “i cittadini del nord del mondo o i membri delle élite anche del sud del mondo non li chiamiamo migranti. Solo gli stranieri poveri sono gli immigrati, sono quelli che non ci piacciono”. La retorica della continua emergenza inasprisce questa visione, ma c’è una divaricazione profonda tra la rappresentazione e l’evidenza statistica: “I dati dicono che l’immigrazione è stazionaria, 5,3milioni di persone, di cui 400-600mila irregolari. Vengono qui per il lavoro e poi per i ricongiungimenti familiari, per tre quinti vengono da paesi dell’est”. Sono anche vantaggiosi per lo Stato: 2,4milioni versano tasse, essendo più giovani incidono meno su ospedali e pensioni. Ciò che entra, insomma, è più di quello che esce.”
“La mostrificazione del diverso – spiega ancora Ambrosini- lo rende cattivo, ma il tasso di criminalità degli irregolari è più alto dei regolari: quindi, perché non si regolarizza? “. E ancora: delinquono maggiormente i maschi giovani e soli, mentre il matrimonio abbassa questo tasso, ma il governo ha raddoppiato i termini per i ricongiungimenti: ‘’li vuole soli e arrabbiati’’. E ancora: “chi ha una fede religiosa delinque meno, ma il governo ostacola la costruzione di sale di preghiera”. Le soluzioni: riconvertire il migrante che chiede asilo in migrante che chiede lavoro, far arrivare chi ha già dei punti di riferimento, rendere più convenente la via legale da quella illegale. Prevedere le sponsorizzazioni di privati, coinvolgendo anche gli imprenditori.
Sauro Rossi, segretario confederale della Cisl, sottolinea che oggi c’è un approccio ‘’securitario all’immigrazione’’, mentre bisognerebbe preoccuparsi del fenomeno contrario: “da qualche anno in Italia i flussi in uscita sono diventati maggioritari”. Inoltre, qui al 2040 100milioni di persone dovranno muoversi per gli effetti climatici: “Una governance nazionale non basta, occorre una governance mondiale’’. Ovviamente, sottolinea Rossi, non si può lasciare il campo alla deregolazione: “ma quello che serve è una accoglienza diffusa. Basta con le logiche massive, basta spostare l’accoglienza in altri paesi. Come sindacato dobbiamo relazionarci su questo tema per il declino demografico e quindi la carenza di lavoratori, fenomeno che riguarda l’intera Europa’’. E dunque, processi di formazione e inserimento nei paesi di origini, interlocuzione col sindacato anche per valutare i fabbisogni, percorsi contrattuali per analizzare le necessità. “Oggi abbiamo il 10% dei lavoratori immigrati. Ma se il 35% delle famiglie povere sono migranti, e se il 31% de detenuti sono immigrati, siamo davanti a una segregazione occupazionale e nel processo tra accoglienza e integrazione qualcosa non funziona”. Anche per quanto riguarda il sindacato, dunque, occorre ‘’una azione più forte, non solo in termini di fornitura di servizi e di assistenza”, e “il tema immigrazione non può limitarsi a una enunciazione nelle tesi congressuali”, ma deve assumere tratti concreti.
Intanto, in programma c’è già un progetto per la sindacalizzazione dei migranti alla Fincantieri di Monfalcone, dove sono 2mila i lavoratori stranieri diretti e oltre 7mila nell’appalto. E poiché il cambiamento passa innanzi tutto per la conoscenza, cosi come anche nelle piccole cose, la campagna della Fim Cisl punta sulla diffusione a tappeto di un Calendario solidale 2025 in tutti i luoghi di lavoro, per sensibilizzare e informare correttamente sul fenomeno migratorio. “Un altro mondo è possibile’’, conclude Uliano. Si spera, magari.
Nunzia Penelope e Tommaso Nutarelli
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link