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Il senso dell’evocazione delle elezioni
Finché ci sarete voi, ci sarò anche io. L’arringa di Giorgia Meloni in difesa di se stessa finisce così, con l’appello agli italiani e la promessa che non mollerà «di un millimetro», fino a quando la maggioranza sarà con lei. Se nel collegamento video con l’evento di Nicola Porro la premier si è definita «non preoccupata e non demoralizzata», è perché i numeri le dicono che l’iscrizione nel registro degli indagati per aver rimpatriato il torturatore e pluri-assassino libico Osama Almasri si sta rivelando, dal punto di vista politico, un regalo insperato.
Da due giorni a Palazzo Chigi si naviga nell’infosfera, si conteggiano i «mi piace» su X, Instagram e Facebook, si monitorano i sondaggi. E il responso dei social media manager di rito meloniano è che il video in cui «Giorgia» brandisce l’avviso, firmato con «distinti ossequi» dal procuratore Francesco Lo Voi, «sta letteralmente spaccando». C’è chi parla di «un’onda social impressionante», con i 4/5 degli internauti favorevoli a fustigare le toghe.
Meloni era arrabbiata, certo. E lo è ancora, perché dopo tutta la fatica che ha rivendicato di aver fatto per «costruire la credibilità dell’Italia» all’estero, certo non ha gradito leggere sulle prime pagine dei quotidiani internazionali che «la premier italiana è indagata».
Furibonda dunque, ma anche determinata a cavalcare mediaticamente un atto che ritiene un assist. È scesa in trincea e all’orizzonte non c’è una tregua. La guerra con le toghe per la riforma della giustizia è destinata a continuare e a scandire la «fase due» della legislatura. Meloni risponderà colpo su colpo e, se serve, partirà all’attacco. Un assaggio è lo scontro tra il sottosegretario Alfredo Mantovano e Lo Voi per avergli negato l’uso dei voli di Stato. Se il procuratore ha fatto ricorso al Quirinale e al Consiglio di Stato, a Palazzo Chigi si spera che la Corte dei Conti apra un fascicolo sui costi di quei trasferimenti aerei per la finanza pubblica.
La leader della destra ha studiato, per così dire, alla scuola di Silvio Berlusconi, ne ha assorbito il linguaggio e le parole d’ordine e ha messo nel mirino le toghe che ossessionavano il Cavaliere. Le curve del consenso dicono che la strategia sta pagando, sia per il gradimento della leader, sia per il suo litigioso governo, che grazie all’azione di un magistrato si è ricompattato. Quasi una manna dal cielo in un momento di grande visibilità internazionale, ma di spine sul piano interno: i pochi soldi nelle casse dello Stato per realizzare le promesse elettorali del 2022, il fallimento dei centri migranti in Albania, il premierato arenato, l’autonomia che rischia di dividere il Paese, il pasticcio su Almasri e la ministra Daniela Santanchè, rinviata a giudizio e ancora al suo posto nonostante il pressing di Chigi.
Raccontano che, nei momenti di stanchezza e sconforto, la premier accarezzi l’idea del voto anticipato.
Una suggestione, o una tentazione, che ha fatto capolino ieri in qualche passaggio da comizio. «La battaglia che stavo cercando di condurre (al passato, ndr), va oltre la destra e la sinistra, va oltre il programma di governo ed è la battaglia per un’Italia normale». E qui la premier apre le braccia a quei milioni di cittadini che non hanno votato per lei: «Penso che anche a sinistra ci sia un sacco di gente che vorrebbe un’Italia normale, in cui una persona per bene non deve avere paura dello Stato, del fisco, della giustizia, della burocrazia».
Nella «nazione normale» che lei ha in mente, il cittadino che «non ha fatto nulla di male» non deve avere paura della Guardia di Finanza, né dei magistrati e per arrivare alla meta non deve affidarsi a conoscenti o corporazioni, perché «queste degenerazioni sono il male che giustifica tutti gli altri mali». Ecco la battaglia che «vale ogni sacrificio politico» e che la premier potrebbe decidere di combattere in campagna elettorale, se mai la situazione interna precipitasse. «Ma finché la maggioranza degli italiani è con me, non intendo mollare di un millimetro».
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