Addio a Marianne Faithfull, chanteuse del rock

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La voce roca e seducente della sua ’seconda vita’ figlia di mille sigarette e molto altro, la grazia dolente del personaggio interpretato in Irina Palm, il bel film di Sam Garbarski di cui è sorprendente protagonista nel 2007, fa da contraltare con i suoi esordi negli anni della Swingin London. Marianne Faithfull se ne è andata ieri a 78 anni nella sua Londra, «circondata dall’affetto dei suoi cari», come recita un comunicato del suo agente. Personalità fragile e al contempo decisa, l’artista britannica ha vissuto una carriera che si è estesa per oltre cinque decenni. Reinventadosi in continuazione, passando da icona della Swinging London assieme a Mick Jagger, con cui ebbe una tormentata relazione tra il 1966 e il 1970, e coautrice di successi dei Rolling Stones, a interprete tra le più apprezzate della musica britannica. Ma niente è stato facile per lei e la fama la sconta a caro prezzo

Scoperta nel 1964 da Andrew Loog Oldham, il manager degli Stones, viene travolta dal successo giovanissima. Una carriera che esplode grazie a As Tears Go By, scritta da Mick Jagger, Keith Richard e dallo stesso Oldham che con la sua melodia melanconica e (l’allora) voce cristallina di Marianne la porta nella top 10 inglese, seguita l’anno dopo da altri tre singoli che si affermeranno anche nella top 40 americana.

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Marianne Faithfull con Mick Jagger, 1967, foto Ap

ARTISTA ECLETTICA, alla carriera di cantante affianca anche quella di attrice in diverse produzioni teatrali, sul palco in allestimenti delle Tre sorelle di Cechvo, accanto a Glenda Jackson, e Amleto, interpretando Ofelia con Anjelica Huston come sua controfigura e recitando ogni sera la scena culminante della «pazzia», come rivelò in una biografia «completamente fatta di eroina». Sullo schermo recitò accanto a Orson Welles, Oliver Reed, Alain Delon e Anna Karina, e interpretò se stessa nel film del 1966 Una storia americana di Godard. La carriera si sovrappone a una turbolenta vita privata quando si innamora di Mick Jagger. Quattro anni in simbiosi con gli Stones, tanto da essere definita «la musa ispiratrice della band». Lunghe confidenze e parole che Jagger utilizza nei pezzi. Una volta disse a Jagger «i cavalli selvaggi non potevano trascinarmi via», che divenne il ritornello di Wild Horses, e le sue lotte contro la droga si rivelarono anche fonte di ispirazione per Dear Doctor e You Can’t Always Get What You Want. «So che mi hanno usata come musa ispiratrice per quelle dure canzoni sulla droga – ha raccontato in seguito. Sapevo che mi stavano usando, ma era per una giusta causa».

SCRISSE insieme a Jagger, Richards e Ry Cooder Sister Morphine, registrata in seguito dai Rolling Stones per il loro album Sticky Fingers, ma dovette trascinarli in tribunale per vedersi riconoscere il merito della composizione. La dipendenza da cocaina ed eroina la travolge, e quando fu trovata nuda, avvolta in una coperta di pelliccia, durante una perquisizione della polizia del 1967 nella casa di Keith Richards, insieme a Richards, Jagger e altri sei uomini, fu l’inizio della fine. «Mi distrusse. Essere un tossicodipendente maschio e comportarsi in quel modo è sempre esaltante e affascinante. Una donna in quella situazione diventa una sgualdrina e una cattiva madre». Ma «l’angelo dalle grandi tette» come venne definita in una battuta infelicemente sessista da Oldham, aveva altri assi nella manica. Dopo aver toccato il fondo, nel 1970 Faithfull perse la custodia del figlio, si separò da Jagger e divenne una senzatetto per le strade di Soho a Londra mentre cercava di smettere di prendere eroina. «Ma durante quegli anni – racconta in un’intervista rilasciata nel 2016 – ho capito che potevo farcela. Il ristorante cinese mi permetteva di lavare i miei abiti, l’uomo che aveva la bancarella delle spezie mi offriva del tè».

Sullo schermo con Godard, scrisse «Sister Morphine», la Swingin London

INIZIA la risalita che le permette – dopo dieci anni – di ritornare a fare musica. La sua voce è cambiata, non più cristallina ma dura, profonda e quasi spezzata. Ma paradossalmente questa fragilità le permette di scavare dentro ai testi, di scegliere canzoni che le calzano alla perfezione diventando un’interprete acclamata. Il primo timido passo – nel 1976 – è con un disco di ballate country Dreamin’ My Dreams. Due anni dopo con Faithless, alza l’asticella: quel viso e quella voce segnata dalla sofferenza e da anni durissimi si impossessano di brani tratti dal repertorio di Dylan, Jennings, De Shannon. Nel 1979 firma per la Island ed arriva il capolavoro, Broken English. Fumoso, irrequieto dove si abbandona a interpretazioni che non nascondono il dolore e la passione. La riscoprono le nuove generazioni e lei risponde con brani composti da lei stessa – la title track, Witche’s Song, e quando si cimenta in Working Class Hero di John Lennon, è regale.
Da quel momento – e per ben 21 album di studio totali – vedrà il suo nome affiancarsi a collaboratori del calibro di Nick Cave, Damon Albarn, Emmylou Harris, Beck e Metallica, incidendo capolavori come Strange Weather (1987) e in tempi più recenti (2011) Horses and High Heels. Tornerà anche a calcare i palcoscenici teatrali e a recitare per il grande schermo: oltre che nel già citato Irina Palm – fra gli altri in Intimacy (2001) mentre in Marie Antoinette (2006) di Sofia Coppola, sarà ancora una volta «regina» Elena.



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