a Mazara il gasdotto Transmed è un fantasma

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L’auto sobbalza mentre Enzo Sciabica arriva alla palude di Capo Feto dopo avere percorso le strade di Mazara del Vallo. Il settantottenne naturalista, presidente dell’associazione Pro Capo Feto, non sembra badarci. L’architettura arabo-normanna del centro storico della città più africana della Sicilia è lontana, così come il quartiere della kasbah, abitato prevalentemente dalla comunità tunisina.

Qui il panorama si fa frastagliato, con il lungomare che cede il posto a una zona umida ricca di biodiversità. “Ho visitato per la prima volta Capo Feto il 10 marzo 1956, mio padre cacciatore mi ci portò quando avevo dieci anni”, racconta Sciabica mentre schiva una buca. Memoria storica del posto, l’uomo volta le spalle alla centrale metanifera di Snam, che sorge proprio al centro di Capo Feto. Da qui passa più di un terzo del gas consumato in Italia, secondo i dati del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica.

Eppure, la più importante infrastruttura energetica italiana agisce nell’incertezza ambientale. Non ci sono studi pubblici sui possibili impatti e quelli commissionati da chi gestisce l’opera o sono sperimentali e datati o sono attribuiti a un’Università che però ne nega la paternità.

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A seguito di un accordo tra Eni e la società algerina di idrocarburi Sonatrach, tra il 1978 e il 1983 è stato costruito il Transmed, una coda del gasdotto italo-algerino Enrico Mattei che dalla stazione di prelievo algerina Hassi R’Mel arriva a Capo Bon, in Tunisia. Dal terminale tunisino cinque condotte sottomarine di 155 chilometri l’una approdano a Mazara del Vallo.

Il gasdotto è di proprietà della joint venture tra Eni e Sonatrach, la Transmediterranean pipeline company ltd (Tmpc), rappresentata legalmente da Mariconsult Spa, a sua volta costituita da Sonatrach e la Seacorridor, composta da Eni e Snam. L’opera non è mai stata sottoposta alla procedura di valutazione di impatto ambientale: alla fine degli anni Settanta le leggi ambientali non erano così avanzate e successivamente è sempre stata apposta la dicitura di “opera strategica”, esonerando così il gasdotto da qualsiasi studio.

La stazione metanifera di Snam sorge tra le pozze d’acqua e il verde di 157 ettari nel tratto costiero della Sicilia occidentale. Chiamata Capo Feto per l’odore di uova marce che sprigiona l’accumulo della pianta posidonia che qui si deposita per un gioco di correnti marine, l’area è costituita da una depressione separata dal mare da un cordone sabbioso che offre riparo agli uccelli che attraversano il canale di Sicilia per raggiungere l’Africa.

Dal padre cacciatore, Sciabica ha ereditato la passione per gli animali che però lui non caccia ma studia. Il naturalista tiene sotto osservazione la flora e fauna del luogo e in particolare la secca del metanodotto. Secondo l’associazione Pro Capo Feto, la posa del gasdotto avrebbe alterato il biotipo della zona allontanando le numerose specie di cui l’habitat è ricco.

Enzo Sciabica, naturalista e presidente dell’associazione Pro Capo Feto © Carlotta Indiano

Intanto il Transmed ha assunto un valore ancora più strategico perché oltre ai flussi di gas potrebbe rappresentare anche la spina dorsale del futuro South Corridor, l’infrastruttura individuata per il trasporto dell’idrogeno in Europa dal Nord Africa.

Nel 2014 la Transmediterranean pipeline ha chiesto il rinnovo di concessione demaniale per l’utilizzo del gasdotto fino al 2039. La conferenza dei servizi avrebbe dovuto rappresentare il momento cruciale per contrattare con le aziende coinvolte un’analisi sugli impatti dell’infrastruttura e un eventuale ripristino delle condizioni originarie del tratto.

In vista dell’incontro anche il geologo mazarese Roberto Gallo aveva presentato uno studio, protocollato dal Comune di Mazara del Vallo a luglio 2014, sul rapporto tra il gasdotto e l’erosione della costa. Ma alla conferenza risultano allora assenti il ministero dell’Ambiente, la Regione Sicilia, la provincia di Trapani e il Comune di Mazara del Vallo.

Tutto ciò che la cittadinanza ottiene è che oltre alla concessione venga assegnata alla Tmpc la facoltà di contribuire con interventi finalizzati alla mitigazione o eliminazione dei danni “qualora si accertino il rapporto causale tra l’opera e i fenomeni riscontrati per tre aspetti determinanti: l’erosione sul litorale di Tonnarella con conseguenti danni alle infrastrutture insistenti; alterazione morfologiche indesiderate dei fondali interessati dalle condotte e mutamenti patologici degli ecosistemi incompatibili con lo status di aree protette”.

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Per l’avvocato ambientale Maurizio Musco non si tratta di vere prescrizioni ma di un “provvedimento sorprendentemente anomalo, una formula ambigua”. E oggi, a più di dieci anni dal rinnovo della concessione del Transmed, nessuna di quelle tre indicazioni ambientali appare rispettata.

Non lo è “l’erosione sul litorale di Tonnarella”, che invece in questo lasso di tempo è proseguita. Basta andarci per riscontrare una spiaggia che si fa sempre più stretta, fino ad arrivare al punto di congiunzione con Capo Feto dove le onde si infrangono sulla strada, divorando la sabbia. Con il vento di scirocco che soffia da Sud-Est e si scontra con l’infrastruttura rigida perpendicolare del condotto. Sull’erosione della costa si esprime il professor Giovanni Randazzo dell’Università di Messina, coinvolto dal geologo Roberto Gallo nella stesura di uno studio sulle cause dell’erosione della costa, pubblicato nel 2022.

Sentito da Altreconomia, Randazzo precisa che “il killer della spiaggia è il lungomare” e che il sistema di concause non garantisce un’attribuzione di responsabilità unicamente al gasdotto.

L’unico studio che potrebbe provare almeno l’esclusione del coinvolgimento del gasdotto nel processo di erosione costiero non è pubblico. Durante l’assemblea degli azionisti del maggio 2024, a seguito della domande poste dall’associazione A Sud, Eni ha dichiarato che Mariconsult Spa ha “commissionato all’Università di Padova, dipartimento di ingegneria idraulica uno studio specialistico che ha escluso qualsiasi relazione di rapporto causale tra le condotte del gasdotto e l’erosione del litorale di Mazara”.

Alla nostra richiesta di poter visionare lo studio l’ateneo ci ha risposto di non esserne a conoscenza. Il report sembrerebbe essere stato commissionato privatamente a un professore dell’Università, così come confermato dall’esperto di idraulica marittima Piero Ruol, che ha collaborato al progetto. “Non c’è uno studio fatto dall’Università, è uno studio Mariconsult che l’ha affidato a dei consulenti”, ha affermato.

Alla domanda di Altreconomia Eni ha fatto un mezzo passo indietro, spiegando che lo studio risale al 2019 e che è stato commissionato “alla società HS Marine Srl, specializzata in servizi di ingegneria portuale, costiera e di geologia ambientale; HS Marine si è avvalsa delle competenze di esperti in ingegneria idraulica, costruzioni marittime e coastal management and protection, nonché del coordinamento tecnico di un docente dell’Università di Padova”.

Neppure il ripristino delle eventuali alterazioni morfologiche dei fondali, cioè la seconda indicazione ambientale inserita nel rinnovo del Transmed, risulta realizzato. I fondali antistanti la spiaggia di Tonnarella ospitano una lussureggiante prateria di posidonia oceanica, una pianta acquatica che rappresenta un habitat ricco di biodiversità e ha anche un ruolo fondamentale nella conservazione dell’arenile.

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Tale osservazione si collega alla terza indicazione data in Conferenza dei servizi, cioè gli eventuali “mutamenti patologici degli ecosistemi” vicino a Capo Feto. L’unico studio sulla prateria di posidonia in quei luoghi risale al lontano 1997.

I risultati sono stati presentati a Roma nel giugno 2014, in coincidenza con i tempi della Conferenza dei servizi. Nelle slide presentate dal professor Fabio Badalamenti, co-autore del report, compaiono i loghi di Eni e Snam. “Quello che noi abbiamo fatto ai tempi è stato realizzare una mappatura e constatare il danno del primo metanodotto -spiega Badalamenti a novembre 2024, dieci anni più tardi-. Quando abbiamo scoperto che la prateria si stava rigenerando da sola abbiamo suggerito di effettuare un monitoraggio di medio raggio per quattro anni”.

Il monitoraggio attesta che la perdita di posidonia c’è stata (una “regressione” di 80 ettari almeno al secondo scavo del metanodotto) ma anche che la pianta sembra rigenerarsi da sola, un fenomeno che è stato verificato dal 1993 al 1997. Lo studio viene pubblicato solo sette anni dopo, nel 2004. Qui si legge che “a seguito delle osservazioni e dell’esperienza sul ripopolamento naturale di posidonia a Capo Feto, Saipem ha deciso di avviare una collaborazione con lo Iamc-Cnr, finalizzata alla progettazione e alla sperimentazione di metodologie per il trapianto di rizomi di posidonia mediante l’utilizzo di materassi di pietrame”.

Una sperimentazione che resta tale e che però oggi, a distanza di così tanti anni, andrebbe quantomeno verificata e aggiornata. Dal canto suo Eni ha spiegato ad Altreconomia che “lo studio del Cnr indica che l’ipotesi di ripristino artificiale delle praterie di posidonia ‘risultava rischiosa e non particolarmente utile al fine di riequilibrare l’assetto ambientale dell’area’”.

In questo panorama complesso gli studi condotti dai privati cittadini indicano cause e soluzioni differenti. Ma senza valutazioni di impatto ambientale e ricerche pubbliche risulta difficile stabilire la conta dei danni, insieme alle eventuali compensazioni per il gasdotto Transmed nei confronti del territorio.

Sollecitata su questo punto, Eni ricorda che all’articolo 6 della concessione del 2016 viene indicato che “è onere delle amministrazioni beneficiarie del risarcimento o delle amministrazioni preposte alla tutela dei luoghi presentare la documentazione probatoria del rapporto causa-effetto fra la costruzione e l’esercizio dell’opera in esame e il mutamento nella geomorfologia costiera, nonché i danni a seguito di esso prodottisi”. Insomma: tocca allo Stato e agli enti pubblici dimostrare che il Transmed abbia un impatto, poi la compagnia provvederà a eventuali risarcimenti.

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“La questione è semplice: questo è il gasdotto più importante d’Italia ma non contribuisce per niente allo sviluppo della città”, dice l’avvocato Fabrizio Hopps, un altro cittadino di Mazara del Vallo che da più di dieci anni porta avanti una battaglia per quantificare una compensazione delle aziende che posseggono e gestiscono il Transmed.

Nel 2022 Hopps è stato designato come consulente a titolo gratuito dal Comune e ha realizzato uno studio nella cui prefazione scrive che “non è stata possibile alcuna interlocuzione operativa con i vertici delle molteplici società satelliti ad Eni”. A quell’indagine ad oggi non è stato dato alcun seguito.

“Se consideriamo che il Transmed esiste dal 1980, il suo enorme flusso di gas e il fatto che non ha mai dato alcun tipo di corrispettivo economico al territorio, si potrebbe stimare una compensazione di 20 milioni di euro -afferma Hopps-. Soldi che potrebbero essere gestiti da una fondazione per la riqualificazione e il benessere di Mazara del Vallo, che ne avrebbe davvero bisogno”.

La riconversione ambientale, sociale ed economica della città trapanese dovrebbe dunque essere supportata dalle aziende fossili. Ma le storie di territori industrializzati come Gela o Taranto insegnano che ciò continua a non avvenire. Hopps però, un sognatore mezzo siciliano e mezzo inglese, ci crede lo stesso. “Qui Eni potrebbe creare un precedente virtuoso, attraverso una redistribuzione degli enormi utili conseguiti. Ma serve una visione”.

Questo articolo è stato realizzato con il supporto dell’Earth Journalism Network

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