Violenza sulle donne, i referti medici carenti ostacolano le vie legali per le vittime

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Ventimila donne, nel 2024, hanno chiesto aiuto al pronto soccorso perché vittime di violenza. In casa, da parenti.

Abusi, pugni, schiaffi, bastonate, colpi di forbici, ustioni, coltellate, tentativi di soffocamento. Molte, con il “Codice Rosa”, quello dedicato a donne, bambini o fragili maltrattati, hanno seguito un percorso definito e separato, molte altre hanno atteso con il resto dei pazienti. Una novità importante: dal 1 febbraio il Veneto ha abolito il ticket per le vittime di violenza. Al pronto soccorso ma anche per le visite successive. Tutte e ventimila le donne soccorse nel 2024 hanno ricevuto le cure di emergenza, dalle suture alla diagnosi con radiografie o risonanze, oltre un terzo di queste è stata ricoverata. E dopo sono riuscite a dimostrare, arrivati alle vie legali, che cosa avevano subito nei minimi dettagli? Nel 50-70% dei casi tutto quello che è accaduto finisce nel nulla per mancanza di documentazione del primo soccorso. Come è stato denunciato dagli specialisti al convegno “Il sapere della medicina legale che unisce” patrocinato dalla Società italiana di Medicina legale e delle Assicurazioni. E, sia chiaro, non per mancata attenzione dei medici del pronto soccorso che, come sappiamo, sono già oberati di lavoro, pressati e troppo spesso aggrediti. Un’analisi compiuta al Policlinico di Milano descrive una situazione sovrapponibile a quella di molti altri ospedali. Su 991 cartelle di vittime di violenze esaminate, solo il 2,8% era corredata da fotografie e il 4,1% presentava una descrizione esaustiva delle condizioni fisiche e psichiche. Una valutazione, cioè, del medico legale chiamato per una consulenza.

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LOTTA CONTRO IL TEMPO

«Nella maggior parte dei casi la donna arriva al pronto soccorso accompagnata da chi l’ha picchiata. Le viene imposto di non raccontare la verità. Il medico di emergenza la soccorre, deve rendersi conto se è in pericolo di vita ma non ha il tempo di parlare a lungo con lei, capire la dinamica e cercare quei segni che possono portare a una denuncia», spiega Paola Frati, ordinaria di Medicina legale alla Sapienza e coordinatore della sezione Medicina legale dell’Ateneo romano. La violenza, ricordano gli specialisti, ha effetti a breve e a lungo termine. Le conseguenze possono determinare isolamento, problemi sul lavoro, difficoltà nell’educare i figli. Anche da qui la necessità di avere una refertazione minuziosa. Per proteggere la vita dopo il trauma o i traumi della vittima. «La medicina legale deve stare nelle sedi di primo soccorso – aggiunge la professoressa Frati – dobbiamo poter operare. Importante è rassicurare la vittima, farle capire che parlare e raccontare non sarà per lei un pericolo. Che nulla verrà deciso senza la sua volontà e i figli, come lei, saranno protetti». Proprio per migliorare l’identificazione dei segni della violenza domestica, la Medicina legale delle Università di Modena e Parma, insieme all’ospedale di Modena e all’Associazione italiana donne medico, sta collaborando con altri Paesi europei (Germania, Grecia, Austria e Danimarca) in un nuovo progetto. Obiettivo: formare gli specialisti di diverse discipline mediche per riconoscere anche i segni più nascosti di violenza. In modo che la conoscenza di base si allarghi e, negli ospedali come negli ambulatori, vengano organizzati seminari divulgativi. «È nostra intenzione diffondere una cultura che permetta di rilevare questi segni e sostenere adeguatamente le vittime – fa sapere Rossana Cecchi, ordinaria di Medicina legale all’Università di Modena – Un nostro studio che coordina il lavoro di 27 istituti di Medicina legale ci ha fornito una importante mole di dati. Grazie a queste informazioni, che arrivano dalle donne purtroppo decedute, noi oggi possiamo dare maggiori indicazioni alle vittime vive. Possiamo realizzare una casistica del movente e di cosa ha portato all’uccisione. La maggior parte delle vittime è colpita al volto, sul seno e sul pube. Lo strangolamento è frequente. Annotare tutto questo come avere foto o informazioni dettagliate dal pronto soccorso permette al medico legale di dare voce alle donne morte. Queste, così, parlano alle donne vive e le mettono in guardia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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