Il governo italiano era a conoscenza del dramma della Terra dei Fuochi ma ha preferito coprire le informazioni sotto il “segreto di Stato”. Lo mettono nero su bianco i giudici della Cedu (presidente la montenegrina Ivana Jelìc) nella loro sentenza che ha condannato l’Italia ad adottare entro due anni “una strategia globale che riunisse le misure esistenti o previste per affrontare il problema della Terra dei Fuochi”.
Nel ricorso, presentato da 41 cittadini residenti nelle province di Caserta e Napoli e 5 associazioni che “hanno dichiarato di aver subito direttamente o indirettamente le conseguenze dello smaltimento illecito dei rifiuti”, si evidenzia come il problema fosse noto alle autorità “sin dal 1988”. La Corte inquadra il territorio ricompreso nella ‘Terra dei Fuochi’: “un’area di 90 comuni in Campania, con una popolazione di circa 2,9 milioni di abitanti”.
Dai documenti in possesso della Cedu si evidenzia come “vi erano numerosi siti di smaltimento illegale nelle province di Caserta e Napoli, in particolare nelle campagne intorno ad Aversa e lungo la costa Domizio-Flegrea. Lo smaltimento illecito dei rifiuti era controllato da gruppi criminali organizzati. Ingenti quantità di rifiuti erano state trasportate da tutta Italia. Uno dei metodi di smaltimento consisteva nel depositare e interrare i rifiuti in discariche illegali, spesso cave, corsi d’acqua o grandi fosse scavate nei terreni agricoli e poi ricoperte, con la conseguente prosecuzione dell’uso agricolo del suolo”.
I giudici osservano che “quando i rifiuti non venivano sotterrati, venivano talvolta mescolati con altre sostanze per essere utilizzati, ad esempio, come materiale da costruzione o come compost, con effetti negativi sulle falde acquifere”. Riguardo allo smaltimento degli autoveicoli, inoltre, “un rapporto ha documentato a Marcianise e Castel Volturno “vere e proprie montagne di pneumatici d’auto che andavano in fumo”. Le campagne a nord di Napoli, invece, erano diventate “un ricettacolo di rifiuti di ogni tipo”.
“Come la peste del 1600”
Nella nota della Cedu viene posto l’accento su un dossier che ha definito la situazione nella Terra dei Fuochi definendola “un “disastro ambientale … paragonabile solo alla diffusione della peste nel XVII secolo”.
“La contaminazione da diossina – scrivono i giudici – aveva provocato l’inquinamento di un’area considerevole. In alcune zone, come nei dintorni di Villa Literno, è stata osservata una concentrazione eccezionale di metalli pesanti, con un fenomeno di “avvelenamento persistente” del suolo”. I giudici, inoltre, riferiscono di studi clinici che hanno evidenziato “un forte aumento dei tassi di cancro nell’area” confermando “condizioni sanitarie fuori dalla norma italiana nella regione”. Le commissioni parlamentari, invece, hanno evidenziato “le problematiche giuridiche nella gestione dell’inquinamento, tra cui la deterrenza “praticamente inesistente”, la mancanza della “necessaria fermezza” nella risposta dello Stato, la quasi impossibilità di ottenere condanne per crimini ambientali e, tra le altre cose, i tempi di prescrizione troppo brevi. Sono state critiche anche nei confronti dei piani di bonifica e dei lunghi ritardi nell’adozione di misure concrete”.
I ritardi
Il Governo ha dichiarato di aver intrapreso numerose azioni per indagare sugli effetti dell’inquinamento sulla salute, come il potenziamento dello screening oncologico. Tuttavia, la maggior parte di queste misure è stata adottata “solo dopo il 2013. “Considerando i ritardi che hanno caratterizzato la risposta delle autorità – si legge ancora nella nota della Cedu – la Corte ha ritenuto che non fosse stata dimostrata la necessaria diligenza nell’indagine sugli impatti sanitari dell’inquinamento nella Terra dei Fuochi”.
La Corte ha inoltre aggiunto che “le autorità italiane sembravano essere intervenute con eccessiva lentezza per affrontare le carenze sistematiche che affliggevano il sistema di gestione dei rifiuti in Campania”.
La strage coperta dal segreto di Stato
Considerata la gravità, la complessità e l’ampiezza del problema, “sarebbe stata necessaria una strategia di comunicazione chiara e accessibile per informare proattivamente la popolazione sui rischi sanitari potenziali o effettivi e sulle azioni intraprese per gestire questi rischi. Tuttavia, tale strategia non è stata attuata. Anzi, per lunghi periodi, alcune informazioni erano coperte dal segreto di Stato”, si legge ancora nella nota della Cedu. Il riferimento è alle parole del pentito Carmine Schiavone davanti alla Commissione ecomafie che parlò del business dei rifiuti. Per Schiavone si poteva immaginare che “nel giro di 20 anni morissero tutti” ma i verbali di quella audizione furono desecretati solo nel 2013.
Nel complesso, la Corte ha rilevato che le autorità italiane non avevano affrontato il problema della Terra dei Fuochi con la diligenza richiesta dalla gravità della situazione. “Lo Stato italiano non aveva fatto tutto il necessario per proteggere la vita dei ricorrenti”, conclude.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link