I video e le testimonianze delle vittime delle torture di Almasri, mostrano gli orrendi crimini di cui è accusato l’uomo che è stato liberato e riaccompagnato a casa dalle autorità italiane.
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Najeem Osama Almasri è ufficialmente il capo della polizia giudiziaria libica, ma le sue orribili azioni sono note grazie ai migranti che sono passati dalle prigioni su cui aveva il controllo, e hanno subito torture e ricatti. Arrestato a Torino il 19 gennaio scorso, a seguito di un mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penale internazionale de L’Aja, Almasri è accusato di crimini contro l’umanità, è considerato un trafficante di esseri umani. Dopo due giorni e’ stato liberato ed il governo lo ha riaccompagnato a casa in Libia con un volo di Stato, dove è stato accolto da una folla festante. Abbiamo incontrato i testimoni delle violenze di Almasri, migranti sfuggiti miracolosamente solo grazie ad una fuga collettiva, dalla prigione di Mitiga, comandata da Almasri. Arrivati in Europa, attraverso il collettivo Refugees in Libya hanno iniziato a raccogliere le testimonianze di quanto subito. Quello che era un trafficante è diventato un uomo di Stato in Libia, messo a capo della polizia giudiziaria, e come lui molti altri, che rappresentano oggi un pezzo delle istituzioni.
Il racconto delle torture subite
Lam Magock è una delle vittime di Almasri. Vive oggi in Italia e sta seguendo un percorso di integrazione grazie a Baobab Experience. Dopo tre mesi in Algeria, Lam è arrivato in Libia dove è stato catturato e portato nella prigione di Mitiga che è guidata, insieme a quella di Jadeda, da Najeem Almasri.
“Sono stato torturato sulle gambe – racconta a Fanpage.it – mi hanno legato le mani e i piedi, e mi hanno messo su una sedia, lì mi hanno torturato con dei cavi elettrici“. Lam porta ancora sul corpo i segni evidenti delle torture, sono dei veri e propri buchi sulle caviglie, sulle mani e sulle braccia. “Io ricordo bene Almasri, era il boss, il capo di Mitiga – prosegue Lam – lui arrivava con una grossa pistola ed un grosso bastone, e ci picchiava. Poi prendeva alcuni dei prigionieri, li portava in isolamento, in una stanza a parte, e lì avvenivano le torture. Ricordo che c’era una stanza dove la gente veniva uccisa. Quando finivano chiamavano noi, altri migranti detenuti, e dovevamo pulire tutto, il sangue, le feci, e dovevamo prendere il cadavere e metterlo nel sacco. Io ho visto tutto questo in prima persona“.
Le immagini raccolte da Refugees in Libya sono impressionanti. Uomini e donne legate, picchiate violentemente con bastoni di plastica, torturati con il teaser o con i cavi elettrici, ma anche con il fuoco e la pece. Ma perché vengono realizzati dei video delle torture dei che subiscono i migranti? A spiegarcelo e Don Mattia Ferrari, di Mediterranea Saving Humans. “I migranti quando partono dalle coste libiche vengono catturati dalla cosiddetta Guardia Costiera Libica e vengono portati in queste prigioni. Lì vengono torturati e i video vengono mandati ai familiari per chiedere il riscatto per ottenerne la liberazione. Molte famiglie non hanno la possibilità economica e chiedono aiuto a tutti, spesso quindi questi video vengono inviati per chiedere aiuto, e arrivano anche ad associazioni come Refugees in Libya che li diffondono per denunciare cosa avviene in questi lager“.
Si tratta dunque di trafficanti di esseri umani, che agiscono in due fasi. O prima della partenza via mare per l’Europa, catturando i migranti appena arrivano nei dintorni di Tripoli e conducendoli nei lager, dove avvengono le torture e viene chiesto il riscatto. Oppure dopo la cattura in mare, quando vengono portati nelle prigioni come quella di Mitiga. “Almasri non faceva le torture da solo, ma dava gli ordini – racconta a Fanpage.it Mohammed Daoud, altra vittima del trafficante libico – una delle torture che facevano più spesso è quella con il fuoco. È molto dura, ti brucia la pelle e lascia sfregi indelebili. Un altro tipo di tortura è quella del pestaggio con le mani e i piedi legati, in questo modo tu non puoi muoverti e sei completamente nelle loro mani“.
Uno dei video delle torture subite dai migranti nelle prigioni libiche
“Anche il Papa ha visto queste immagini”
Di Almasri così come di altri trafficanti libici si sarebbe saputo poco senza il lavoro che negli ultimi due anni ha fatto Refugees in Libya. Ed è grazie a quel lavoro che la Corte penale internazionale ha avuto le prove per incriminare l’attuale capo della polizia giudiziaria libica. “Queste immagini le ha viste anche Papa Francesco – dice Don Mattia Ferrari – lui ha incontrato alcune delle vittime di tortura nelle prigioni libiche, e ha accarezzato con le sue mani le cicatrici che portano“. Mediterranea Saving Humans sta supportando le vittime di Almasri nel denunciare pubblicamente le sue responsabilità. “Tutti i campi sono sotto al suo controllo, non solo Mitiga, ma Jadeda, Kufra, tutti – spiega David Yambio, portavoce di Refugees in Libya – nulla si può fare in Libia senza il consenso di Almasri, anche il governo non può operare senza l’ok delle sue milizie e di altri come lui, è un sistema quello di Almasri“.
David porta anche lui sul corpo i segni delle torture. come gli altri è scappato da Mitiga in una fuga collettiva e sono stati inseguiti dai droni e dalle milizie che sparavano all’impazzata. Si rifugiarono sotto la sede dell’UNHCR a Tripoli, chiedendo di essere evacuati dalla Libia. Dopo quasi due mesi di accampamento sotto la sede dell’agenzia delle Nazioni Unite, le milizie libiche repressero nel sangue quella protesta, sparando sulla folla. Molti furono ricatturati, alcuni morirono, altri riuscirono a scappare e rocambolescamente ad arrivare in Italia. “Io rivedo Almasri tutti i giorni, nei miei sogni, nei miei incubi, lo rivedo nelle cicatrici che ho sui miei piedi, sulle mie gambe, sulle mani, sulla mia schiena” spiega David. “Si tratta di un criminale e deve essere assicurato alla giustizia internazionale“.
La tortura con la pece ed il fuoco, che ustiona per sempre la pelle, è uno dei metodi usati nel carcere di Mitiga comandato da Almasri
Da trafficanti a uomini di Stato
Giorgia Meloni voleva dare la caccia ai trafficanti di esseri umani in tutto il globo terracqueo, ma quando uno dei principali trafficanti libici era proprio in Italia e messo agli arresti, è stato liberato e a riportarlo a casa è stato un volo di Stato. Almasri è oggi capo della polizia giudiziaria, ma una trasformazione simile fu fatta anche da Abdurahman Al Milad, detto “Bija”, uno dei più pericolosi trafficanti di esseri umani, che fu nominato capo della guardia costiera libica. Bija è stato ucciso in circostanze misteriose nell’agosto scorso. Trafila simile è quella fatta da Mohammed Al Khoja, anche lui considerato dalle agenzie internazionali un trafficante di essere umani, che attualmente occupa il ruolo di capo del Dipartimento per il contrasto all’immigrazione clandestina dello Stato Libico.
“Negli ultimi anni il potere della mafia libica si è fatto molto più grande – spiega Don Mattia Ferrari – se pensiamo che molti esponenti di quel sistema criminale sono diventati oggi delle figure pubbliche dell’apparato di governo, capiamo come questo sia un campanello d’allarme che ci dice quanto siano potenti“. Prima di andare via, Mohammed Daoud spiega: “Loro sanno benissimo chi è Almasri, lo devono mettere direttamente in prigione, per le torture che ha fatto a me e ad altre migliaia di migranti“.
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