Perché Giorgia Meloni non è indagata a Roma per il caso del rilascio del libico Almasri. Cosa sappiamo

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Giorgia Meloni indagata a Roma. O forse no, ma solo in virtù del ruolo che esercita. Nelle scorse ore si è diffusa la notizia che la procura della capitale avrebbe iscritto nel registro degli indagati la presidente del Consiglio e tre membri del governo per il caso del rimpatrio di Osama Almasri, il comandante della prigione libica di Mittiga ricercato per torture dalla Corte penale internazionale. Con Meloni sarebbero indagati anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Ma non è così semplice, perché parliamo di membri del governo protetti da precise garanzie. Vediamo.

Le accuse

Le ipotesi di reato sono due: favoreggiamento, per aver aiutato l’indagato a sottrarsi alle indagini dell’Aia rimandandolo in Libia anziché consegnarlo alla Corte penale internazionale, e peculato per l’utilizzo improprio dell’aereo di Stato per il rimpatrio. La notizia dell’indagine arriva proprio alla vigilia dell’informativa che i ministri Nordio e Piantedosi avrebbero dovuto tenere in Senato sul caso, ora rinviata. Per il favoreggiamento la pena prevista è fino a quattro anni di reclusione, secondo l’articolo 378 del codice penale che include esplicitamente anche chi aiuta a sottrarsi alle indagini della Corte penale internazionale. Per il peculato la pena va da quattro anni a dieci anni e sei mesi.

L’avvio dell’inchiesta

L’inchiesta è partita il 23 gennaio da un esposto alla procura di Roma: in questo atto formale, un cittadino può segnalare alla magistratura fatti che potrebbero costituire reato. A presentarlo è stato Luigi Li Gotti, avvocato penalista noto per aver difeso importanti collaboratori di giustizia e con un passato da sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi. La sua segnalazione sui possibili illeciti nel rimpatrio di Almasri ha obbligato la procura, trattandosi di reati ministeriali, a trasmettere gli atti al tribunale dei ministri senza svolgere indagini.

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La precisazione della magistratura

In realtà, secondo l’Associazione nazionale magistrati, l’atto in questione non è un avviso di garanzia, ma una comunicazione “di iscrizione al registro delle notizie di reato”, obbligatoria e prevista dalla legge costituzionale del 1989 sui reati ministeriali. A differenza dell’avviso di garanzia, che segnala l’iscrizione di un soggetto nel registro degli indagati nell’ambito di un’inchiesta ordinaria, questa comunicazione non implica l’avvio di indagini da parte della procura. La norma, infatti, impone al procuratore della Repubblica, una volta ricevuta una notizia di reato riguardante membri del governo, di sospendere ogni attività investigativa e di trasmettere entro quindici giorni gli atti al tribunale dei ministri, l’organo competente a valutare il caso. La comunicazione agli interessati serve a garantire il loro diritto di presentare memorie difensive o di chiedere di essere ascoltati dal collegio giudicante.

La procedura speciale

Gli atti sono ora al vaglio del tribunale dei ministri, l’organo speciale previsto dalla Costituzione per i reati ministeriali. Questo collegio di tre giudici, sorteggiati ogni tre mesi, ha novanta giorni per decidere se archiviare il caso – con decisione non impugnabile – o chiedere al Parlamento l’autorizzazione a procedere. L’articolo 9 della legge costituzionale prevede infatti che l’autorizzazione possa essere negata se si ritiene che il ministro o la ministra indagata abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato o “per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”.

Il caso Almasri

Il comandante del carcere libico di Mittiga viene arrestato il 19 gennaio a Torino su mandato della Corte penale internazionale, che lo accusa di torture, stupri e omicidi di migranti dal 2015. Dopo aver attraversato indisturbato tre paesi europei per dodici giorni, Almasri viene fermato in Italia sulla base di un avviso di ricerca internazionale (la cosiddetta “red notice”, il massimo livello di allerta dell’Interpol per la cattura di latitanti). La Corte d’appello di Roma non convalida l’arresto perché il ministero della Giustizia non riceve la documentazione formale dall’Aia. A questo punto il governo, invece di attendere i documenti o trattenerlo, decide di espellerlo immediatamente per “motivi di sicurezza nazionale”, utilizzando un aereo di Stato per rimpatriarlo in Libia.



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