Nel giustificare il Daspo nei confronti di Emis Killa il questore di Milano Bruno Megale scrive nero su bianco che, in base alla «gravità delle condotte tenute», è possibile formulare «un giudizio di pericolosità grave, attuale e concreto». Fin qui parla il procedimento amministrativo che il 23 dicembre ha colpito il rapper, all’anagrafe Emiliano Rudolf Giambelli, con il divieto di frequentare stadi e luoghi circostanti.
Ma è l’aspetto penale a far tremare Emis Killa, che a pochi giorni dall’inizio del festival di Sanremo ha annunciato che non salirà sul palco dell’Ariston. «Spero di poter affrontare in futuro un festival – ha spiegato su Instagram – in cui ad essere centrale sia la musica». Anche perché ora non sono le canzoni a far parlare dell’artista ma le accuse pesanti che gli contesta la procura di Milano. Sfiorato solo lateralmente dal blitz di fine settembre che ha decapitato le curve di Milan e Inter, ora il rapper è stato iscritto nel registro degli indagati per «associazione per delinquere» per i suoi rapporti con il tifo organizzato rossonero.
«Parte del sodalizio Curva Sud»
L’accusa dei pm Paolo Storari e Sara Ombra si spiega perché, come si legge dalle carte, il rapper è «ritenuto facente parte del sodalizio criminale Curva Sud»: non solo un settore dello stadio, quello blu nel caso del Meazza, ma anche una vera e propria organizzazione criminale. Quest’associazione, scrive chi indaga, era «finalizzata a commettere i reati di lesioni, percosse, resistenza a pubblico ufficiale, estorsione, aggressioni agli steward addetti al controllo dei titoli». E il rapper, per tutti, era «Emi». Un amico.
Nell’ordinanze di custodia cautelare di fine settembre il nome di Emis Killa compariva più volte, ma in quelle carte veniva ancora considerato penalmente estraneo. Ma mentre venivano arrestati 19 ultrà interisti e milanisti, la polizia del reparto mobile entrava nella casa di Vimercate del rapper e trovava un mini-arsenale: sette coltelli, tre tirapugni, uno sfollagente, un taser. E 40mila euro in contanti.
«Cash per i miei concerti», secondo Killa. Possibile cassaforte dei proventi di alcuni business illegali che ruotavano attorno alla Curva, secondo la procura. I pm continuano a mantenere sotto traccia i proventi delle attività di Luca Lucci, capo assoluto del tifo organizzato milanista, in carcere dall’inchiesta “Doppia curva” ma che nel frattempo ha collezionato altre tre custodie cautelai.
Il pestaggio allo steward
Ma di cosa è accusato Emis Killa? Innanzitutto di un pestaggio, prassi ordinaria per i soci della Curva Sud. Milan-Roma, quarti di finale della scorsa stagione di Europa League. Il rapper non muove un dito – anzi, osserva compiaciuto – quando ai tornelli del Meazza è stato aggredito uno steward, «colpevole» di non aver fatto entrare con un solo biglietto due ultrà rossoneri.
Gli ultrà coinvolti nell’inchiesta, di entrambe le sponde di San Siro, consideravano lo stadio cosa propria. Poi, dopo il pestaggio, Emis Killa entra come se non fosse successo niente.
I rapporti stretti con gli ultrà milanisti
Anche un altro episodio agli atti delle indagini è considerato rilevante dalla procura per ricostruire la vicinanza del rapper con Luca Lucci: lo scorso 17 agosto, infatti, prima della partita di campionato contro il Torino, Emis Killa ha offerto il suo skybox in tribuna alla «belva», mentre dalla Curva Sud si omaggiava con uno striscione («Il Joker ride sempre») il suo ritorno allo stadio dopo anni di assenza.
Ma le occasioni di incontro non finiscono certo qui. Emis Killa è a casa Lucci per un pranzo, il 26 dicembre del 2022, in compagnia di tutti i pezzi grossi della Sud: da Daniele Cataldo a Islam Hagag (alias Alex Cologno), da Luciano Romano e Fabiano Capuzzo fino allo stesso Lucci. E poi, a giugno del 2023, è ospite al ricevimento per la cresima del figlio del capo ultrà milanista. In quell’occasione il rapper conosce «zio Beppe», il padre di Rosario Calabria. Entrambi, come Lucci, hanno rapporti strettissimi con i Barbaro-Papalia che, oltre a Platì in Calabria, comandano Buccinasco, la loro base operativa nell’hinterland milanese.
Gli affari
Pestaggi, incontri, ma anche affari. Emis Killa gestisce il locale Italian Ink di Monza. Non è un mistero che questo franchising di barberie e tatooshop era usato nei fatti come una sorte di cassaforte della Sud, intestata all’80 per cento a Lucci e al 20 a Marianna Tedesco (moglie di Matteo Norrito, ultrà interista «molto vicino a Lucci» e anche lui finito dietro le sbarre, è stato anche bodyguard di Berrettini). Quando è stato inaugurato il negozio monzese, accanto al rapper c’erano Alfonso Cuturello e Antonio Favasuli. Entrambi i nomi compaiono più volte nelle carte dell’inchiesta.
Non sono due soggetti qualsiasi, ma due pregiudicati con forti legami con la mafia calabrese. In particolare, Favasuli si presentava come «nipote di Leo Morabito», uno dei cognomi più potenti di ‘ndrangheta. Ed entrambi hanno avanzato le proprie pretese sugli incassi dei business che ruotavano attorno allo stadio, poi entrambi allontanati (ma in cambio di cosa?) da Antonio Bellocco, il rampollo ucciso a inizio settembre dal capo ultrà Beretta.
Il Daspo di tre anni
Le indagini andranno avanti e faranno il suo corso, ma intanto per Emis Killa è scattato il divieto di avvicinarsi allo stadio, a qualsiasi stadio, per «garantire l’ordine, la sicurezza pubblica e la regolarità delle manifestazioni sportive». C’è la necessità «di scardinare – spiega il questore nel motivare il daspo – l’azione di controllo esercitata» dalla Curva Sud. Il rapper non potrà avvicinarsi neanche a Milanello, dove il Milan si allena, «nel raggio di 500 metri».
Non solo durante i 90 minuti della partita. Per Emis Killa, considerato «il carattere permanente delle condotte illecite», l’inibizione sarà estesa «anche alle fasi precedenti e successive gli incontri di calcio, durante le quali le attività commerciali, anche ambulanti, compiono le operazioni di allestimento e smobilitazione»: tutte quelle attività di parcheggiatori, paninari e venditori di gadgets, business su cui negli ultimi anni gli ultrà avevano messo messo le mani.
Queste circostanze, continua il questore, impongono «che il divieto dispieghi i propri effetti per l’intera giornata in cui si svolge la manifestazione sportiva». Con un avvertimento: «la violazione al divieto di cui sopra è punita con la reclusione da uno a tre anni».
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