Lo scatto vincente di Filippo Tortu tra famiglia, Olimpiadi e il tempo che fa la differenza

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Velocista italiano specializzato nei 100 e 200 metri piani, primo italiano a scendere sotto i 10 secondi nei 100 metri con un tempo di 9″99 nel 2018, medaglia d’oro nella staffetta 4×100 ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020. L’identikit è naturalmente quello di Filippo Tortu, atleta brianzolo tra i migliori sprinter del panorama italiano.

Il classe 98, nato a Milano ma cresciuto in una piccola frazione di Carate Brianza, in questi anni ha letteralmente portato una parte di Brianza nell’olimpo dell’atletica.

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Oggi, mercoledì, 29 Gennaio, il campione a cinque cerchi, militare delle Fiamme Gialle, si è raccontato a Un Salto Da”, podcast itinerante in cui si diventa ospiti dell’ospite. Il team, composto da Federico Rana, Simone Faulisi, Lorenzo De Pecol, Filippo Roveda, Federico Angiolini e Debora Giampietro, raggiunge l’intervistato per una chiacchierata senza filtri, un racconto che parte da dentro annullando qualsiasi distanza.

Tokyo 2020: l’emozione del sogno olimpico

Torniamo subito a Tokyo quando Filippo Tortu, insieme a Marcell Jacobs, Fausto Desalu e Lorenzo Patta ha regalato all’Italia uno storico oro. “Durante le Olimpiadi vivi in una bolla, come se fosse un megafono di emozioni, si ingigantiscono sia quelle positive, sia quelle negative. Vivi in maniera più istintiva, meno ragionata”.

Un oro che come racconta Filippo a “Un Salto Da”, hanno provato a rubargli ma l’ha messo al sicuro e che non baratterebbe con nulla, forse. “Ora come ora non credo esista qualcosa per cui potrei barattarlo. In questo momento il mio mondo è l’atletica, e l’oro è il risultato massimo che puoi raggiungere. Da Tokyo però i ricordi più belli non sono legati solo alla medaglia. C’è tanto altro. Se mi chiedessi di rinunciare ai momenti di amicizia e di convivialità nella squadra, per l’oro olimpico, ti direi di no”.

Filippo Tortu “Un Salto Da”,

Una vittoria che per Filippo è arrivata dopo la delusione dei 100 metri. Il velocita brianzolo in Giappone aveva chiuso al settimo posto in semifinale non centrando la finale. “Arrivavo senza rimpianti, nei 100 avevo vissuto una grande delusione, ma bisognava andare avanti – spiega l’atleta a Federico Rana. – In quel momento la vivi come una tragedia, però ti rendi presto conto che le tragedie sono altre.”

“Ero contento del mio percorso, di quello che mi aveva portato a correre quella gara, che non era andata come volevo. Nella staffetta però non avevo bisogno di riscatto. Al traguardo scoppio a piangere, ma non per qualcosa che mi portavo dentro. Ero soltanto felice di aver corso quella gara, di aver vinto una medaglia d’oro con i miei amici. Compagni, diventati amici”.

Filippo Tortu e il rapporto con la famiglia

Il rapporto con la famiglia è fondamentale anche nello sport. Crescere in un contesto di leggerezza e tranquillità dove le aspettative non si trasformano in pressione e ansie da prestazione a tutti i costi fa la differenza.

filippo-tortu

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“In famiglia non ho mai avuto forzature nel fare atletica – spiega Filippo Tortu nel podcast -. Non mi hanno mai detto: ti portiamo in un campo di atletica, e tu ora corri e fai. Ho fatto anche altri sport, basket, nuoto, sci e calcio, ma col tempo l’atletica è diventato lo sport in cui mi sono sentito più a mio agio, in cui mi sono riconosciuto di più, e in cui ho ottenuto i risultati migliori. Quando vinci, la sensazione è bellissima e vuoi continuare quello sport.”

“Papà ha sempre separato il ruolo di allenatore da quello di genitore, sapendo come comportarsi in pista senza mai far entrare l’atletica a casa. Mi ha dato molta libertà, ma mi ha fatto capire che, per fare l’atleta, dovevo seguire certe regole.”

La vita dello sportivo tra luci e ombre

La vita di uno sportivo è fatta di vittorie, se sei bravo, ma anche di sconfitte. Perdere fa parte del gioco e accettarlo è la base per vivere in maniera sana per lavorare in modo costruttivo su quello che non va.

“All’inizio, dopo una gara negativa, tendevo a chiudermi, ma col tempo ho imparato a separare le cose. Ora lascio andare la gara storta e passo del tempo con gli amici. Rifletto su ciò che è andato male solo quando ho tempo per farlo.”

“Nella nostra testa noi atleti vogliamo essere perfetti sempre, ma non lo siamo mai. La gara perfetta non esiste, i limiti sono chiari: se hai uno svantaggio, è difficile vincere. Quello che però mi piace è che ogni volta invece si gareggia senza dare ascolto a quella parte razionale, esiste solo una parte irrazionale che ti dice che puoi battere tutti. Io visualizzo solo la vittoria. Anche se nel mio caso sono più le volte che uno perde (ride, ndr). Poi subentra la parte razionale, serve per fare un bilancio. Non credo sia arroganza, è un bisogno necessario per credere in sé stessi e nei propri mezzi”.

Il valore del tempo

Una vita dedicata a limare il tempo, a guadagnare anche solo un millesimo perché a volte la vittoria passa da lì.

“I record a me non interessano. Non mi serve paragonarmi a cosa farà un altro atleta 50 anni prima o 50 anni dopo. Mi interessa confrontarmi con il mio avversario in pista in quel momento. Una cosa che mi piace è sapere che non hai possibilità di errore. Sei sempre sotto pressione, e a me questa cosa piace. Ovviamente c’è anche l’altro lato della medaglia: mi piacerebbe avere più gare, più momenti di gara, come può essere una stagione di calcio o di basket, ma ha anche il suo fascino”.

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Una carriera vissuta al massimo perché breve, un sogno perché il tuo lavoro è quello che più ti piace.  “Noi sportivi viviamo una vita stupenda, un sogno che sappiamo che finirà. A 30-35 anni quella vita finisce e forse è proprio per questo che la sfruttiamo al massimo.”

Puoi riguardare l’intervista a Filippo Tortu su Spotify e su Youtube

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