L’uso della botte grande o della barrique nelle fasi di fermentazione o affinamento dei vini, per un’azienda vitivinicola, è determinante per definire lo stile e le caratteristiche di un prodotto. Nella storia della vitivinicoltura italiana, dal Piemonte al Veneto fino alla Sicilia, si è spesso assistito a forti scelte di campo tra i sostenitori dell’una o dell’altra, all’interno di grandi denominazioni. Ma quale contenitore è più adatto al vino? La domanda se la pone provocatoriamente il professor Vincenzo Gerbi, docente di Enologia all’Università di Torino, nell’ambito del Corso di Alta formazione Il Vino del Futuro: nuove competenze per nuovi scenari, organizzato sotto la direzione scientifica del professor Attilio Scienza da Gambero Rosso Academy e disponibile on demand sul sito del Gambero Rosso.
L’uovo in cemento
Legno (botti, barrique, tonneaux), cemento, plastica rinforzata con fibra di vetro, acciaio inox: il professor Gerbi ripercorre, dalle prime anfore dell’antichità, l’evoluzione dei contenitori usati, sottolineando pregi e difetti di ogni singolo materiale, in relazione alle escursioni termiche e alla conducibilità, alla permeabilità all’ossigeno, alla tenuta nel tempo. Sebbene il cemento, come spiega il docente, sia stato considerato obsoleto col passare degli anni e alla luce dell’evoluzione delle tecnologie nel settore alimentare, da qualche anno «un nuovo recipiente è diventato di moda ed è l’uovo di cemento, rivestito con resine epossidiche alimentari, che è perfettamente lavabile». La sua forma consente la distribuzione delle fecce fini in una superficie molto ampia e il recipiente è termicamente stabile: «Elemento fondamentale per l’affinamento del vino», nota Gerbi.
Evoluzione e modernità
Se si parla di fermentazione alcolica e macerazione, i contenitori in acciaio sono particolarmente indicati e comodi. «Quelli più bassi e larghi – spiega Gerbi – favoriscono il contatto con le bucce rispetto a quelli più alti e snelli. I fermentini orizzontali in acciaio, ad esempio, sono indicati per i vini rossi e meno per i bianchi». E la tecnologia moderna ha portato le imprese ad adottare anche nuovi vinificatori in cemento simili per forma ai tini tronco-conici di un tempo, così come a utilizzare vinificatori in legno-acciaio, che mettono assieme l’esigenza della lavabilità conferita dall’acciaio con le capacità micro-ossigenanti dei legni: «Recipienti belli da vedere, sicuramente funzionali – dichiara Gerbi – ma non facili da gestire per il rapporto tra legno e acciaio, che hanno come è noto coefficienti di dilatazione decisamente differenti». Modernità e tradizione si integrano anche nei casi relativamente più recenti come l’uso del condizionamento termico tramite la circolazione di tubi in acciaio inossidabile all’interno di tini in legno. Anche qui i limiti sono quelli legati alla pulizia e manutenzione.
I vantaggi del legno
La diffusione delle anfore nel settore vitivinicolo è una delle caratteristiche dei tempi attuali, ma se si confronta l’anfora col legno bisogna tenere presente che la grande differenza, come rileva il professor Gerbi, non risiede nella capacità di micro-ossigenare il vino ma piuttosto «nella capacità di stabilizzare il colore», che avviene anche nell’anfora ma che nel legno, grazie all’acetaldeide, è favorita dal legame più forte che si crea tra i tannini e gli antociani: «In un legno imbibito di vino, infatti, c’è un’interazione dei tannini del vino anche coi tannini del legno, i quali sono trasportatori di ossigeno e, quindi, accelerano il fenomeno in maniera rilevante. Quindi, da questo punto di vista – osserva l’accademico – il legno non è completamente imitabile, ma solo parzialmente».
Le “barricate contro le barrique” a Barolo
Botti grandi e barrique si differenziano anche per la tecnica di lavorazione che, nel caso delle barrique, prevede esclusivamente una tecnica di lavorazione a spacco, mentre nel caso di legni più lunghi e spessi si lavora anche con le seghe meccaniche. I vantaggi del legno si legano anche all’elemento della aromaticità del vino, ottenuta grazie ai vari livelli di tostatura, alle modalità con cui si ottengono i vari gradi di intensità, che il professor Gerbi illustra durante il Corso di Alta formazione della Gambero Academy. I diversi utilizzi del legno hanno creato e creano tuttora delle fazioni vinicole opposte. «I sostenitori delle cosiddette “barricate contro le barrique” a Barolo, sono di recente memoria – ricorda Gerbi – con la sfida tra chi sostiene che non bisogna falsare le caratteristiche del vino e agevolare la stabilizzazione che il legno consente, utilizzando la botte grande, e invece chi sostiene il contributo facilitante della barrique con la sua leggera sfumatura vanigliata e con una velocità di stabilizzazione del colore proporzionale alla differenza di spessore delle doghe». Dove sta la ragione?
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