Crolli a Genova, Miselli: “Monitoraggio e incentivi ai privati per risanare la città. Demolizioni? È una possibilità”

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Genova. Una grande campagna di monitoraggio sulle opere edilizie, incentivi ai privati per intervenire sulle situazioni critiche, realizzare opere di rigenerazione urbana laddove possibile. E, in qualche limitato caso, prendere in considerazione l’ipotesi di demolire. È la ricetta suggerita da Riccardo Miselli, presidente dell’Ordine degli architetti di Genova, per evitare che Genova cada a pezzi un po’ alla volta, come sembra presagire il crollo del muraglione del Lagaccio avvenuto martedì mattina, per puro caso senza provocare feriti né vittime. L’ultimo di una lunga serie di episodi sempre più frequenti e destinati probabilmente a ripetersi, a giudicare dagli allarmi che arrivano da quello stesso quartiere.

Architetto, gran parte della città è destinata a fare quella fine?
La nostra è una città fragile, queste cose sono l’innegabile segno di come il territorio stia rispondendo non a una recente superficialità, ma a una superficialità storica nella sua gestione. Sono segni della cultura di un passato non tanto distante, in cui c’era meno coscienza di ciò che poteva avvenire. Oggi il dato è frequente, il cambiamento climatico è un dato oggettivo, il modo in cui l’acqua incide sui terreni è diverso dal passato e le sollecitazioni sono più forti.

È colpa di chi ha costruito il secolo scorso?
Sono segni di un incuria storica, in cui c’era minore sensibilità alle modalità con cui costruire in territori fragili come il nostro. In gran parte si tratta di muri privati, quindi il cittadino medio o comunque meno sensibile – magari perché non ci abita più – non si rende conto che bisogna essere più responsabili di fronte a proprietà che versano in quelle condizioni. Peraltro, in questo caso, si sono messi i vetrini su muri già segnati, quando di fatto il cedimento e la perdita di resistenza della struttura erano già avvenuti.

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Ecco, ha toccato il nodo centrale. Quel muro crollato in via dei Cinque Santi era condominiale e le crepe erano evidenti da anni. Ma non tutti i privati hanno la volontà o i mezzi per intervenire. Come se ne esce?
Bisogna agire su più livelli. Sicuramente la prevenzione: in caso di interventi nuovi, si deve fare in modo di intervenire con modalità compatibili alle trasformazioni che il nostro paesaggio urbano sta vivendo e vivrà in maniera sempre più incisiva. Su ciò che è già stato fatto, sono importanti la conoscenza e il monitoraggio. Nella stragrande maggioranza dei casi queste situazioni sono parzialmente note o attenzionate, ma essendo proprietà private è impossibile intervenire con mano pubblica. Ma può essere fatto sicuramente un censimento al fine di allertare, allarmare, intervenire.

Deve farlo il Comune?
Non sarebbe compito del pubblico ed è utopico pensare che sia la soluzione del problema. Ma che sia uno strumento per andare incontro ai prossimi possibili rischi, questo sì. Gli stessi cittadini dovrebbero farsi responsabili coi canali delle piccole proprietà immobiliari. Gli indirizzi del piano del verde, del Puc e delle opere pubbliche vanno nella direzione giusta, ma in casa delle persone non si può pretendere di entrarci.

Non sarebbe meglio pensare a grandi piani di rigenerazione urbana che coinvolgano anche i privati usando fondi pubblici?
È una concreta possibilità. La rigenerazione prevede una sinergia pubblico-privato. E, trattandosi di un intervento di mano pubblica, le tecniche sono adeguate ai nuovi standard ecologici. Ovviamente qui abbiamo una forte frammentarietà delle proprietà. Non sempre ci sono condizioni di reale possibilità di intervenire con piani di rigenerazione ad ampia scala. Di fatto, poi, queste cose avvengono sempre in situazioni complesse, con poco spazio. Pensiamo proprio al Lagaccio: non è possibile farlo in un posto del genere, anche se l’ex caserma Gavoglio è stata una grande operazione di rigenerazione in cui sono state impiegate tecniche naturalistiche adeguate, strumenti di ingegneria naturalistica più costosi ma in ottica di equilibrio ambientale.

Iniziare a demolire è un tabù?
Potrebbe non essere escluso, anche perché stiamo vivendo un momento di transizione: la città non è più strutturata come una volta e anche il tema delle case green apre a ripensamenti sul piano della qualità del costruito. Va fatta però una riflessione, perché spesso la semplice demolizione si porta dietro dei costi e un’impronta ecologica importanti, ad esempio per lo di smaltimento dei materiali. Sicuramente in alcuni punti, data la topografia della nostra città, è uno strumento molto interessante da utilizzare.

Ad esempio dove?
Non parliamo di Carignano o della Foce, ma di zone a forte rischio idrogeologico, in cui l’accessibilità è critica. Pensiamo alle tristi vicende lungo il Fereggiano o altri quartieri simili. In quelle situazioni è un tema praticabile. L’importante, tuttavia, è capire quale sarebbe il vantaggio. Posso pensare di demolire un edificio, ma poi il suo sedime cosa diventa? Se diventa un piazzale, siamo nuovamente da capo. È più sensato pensare a una serie di interventi capillari e diffusi, ove possibile, in modo che l’accumulo di problematiche idriche venga visto e risolto nell’insieme.

Genova è un caso particolare, ma ci sono città da cui prendere esempio?
Demolizione, ricostruzione e spostamento degli abitanti è una pratica che esiste all’estero fin dagli anni Novanta. In Francia sono stati demoliti interi isolati. Ma tutto ciò prevedeva un processo di accompagnamento al trasferimento delle persone con regimi proprietari meno frammentari e schizofrenici dei nostri. Solo in Italia abbiamo una cultura del mattone così viscerale: questo fa sì che molti interventi, ad esempio i diradamenti in centro storico, siano di difficile realizzazione. A Genova è stato possibile farlo con le Dighe di Begato, ma in generale è più ragionevole agire in altro modo.

Cioè?
Anche in virtù delle indicazioni dell’Unione Europea, intervenire sul costruito in maniera consapevole, magare legare all’intervento del privato la necessità di agire sugli spazi aperti, stabilire criteri di premialità: se recuperi casa tua, il tuo edificio, e magari usi tecnologie più costose, hai un risparmio sugli oneri urbanistici o incentivi fiscali. È con queste forme di agevolazione che il privato va stimolato a risolvere i problemi.

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