Companion, l’amore (tossico) ai tempi dell’AI

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Companion. Copyright: © 2025 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved.
Photo Credit: Courtesy Warner Bros. Pictures

Rapporti disfunzionali e hi-tech nell’opera prima di Drew Hancock, realizzata con l’autore di Barbarian. Un thriller ispirato, ma non del tutto all’altezza della sua sfida.

L’exploit della, almeno temporanea, quadrilogia di Terrifier di Damien Leone sigla una fervente rinascita dell’horror low budget. Era infatti dai tempi delle brillanti operazioni targate Blumhouse (dettate non solo dall’ormai antologica saga di Paranormal Activity, ma anche da notevoli prove registiche come quella di Mike Flanagan in Oculus) che non si assisteva a uno sperimentalismo così fulgido. 

Sull’esempio dei grandi maestri del passato (come accadde per Sam Raimi ne La Casa), c’è in effetti una sentita volontà ‘pioneristica’ di contenere validi spunti di scrittura nei perimetri di risorse modeste e limitate; una tendenza ricorrente nella storia dell’horror, ma di cui a fatica vi si scorgevano dei nuovi fenomeni di costume (si escludono chiaramente voci più ‘autoriali’ alla Robert Eggers, Ali Aster o Jordan Peele). 

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Il revival dell’horror low budget 

I recenti successi della trilogia di X firmata da Ti West e dell’anzidetto Terrifier di Leone sono senz’altro il contrassegno di una nuova stagione filmica, foriera di un rinnovamento delle cifre caratteristiche del genere (in questi ultimi due esempi, in particolare, vi è una nuova suggestiva esplorazione dello slasher, di cui Scream di Wes Craven sembrava porsi come umile canto del cigno). 

Nel solco di questa inattesa rifioritura dell’art house, hanno fatto capolino degli esordi non poco ragguardevoli; tra questi c’è quello di Zach Cregger nel claustrofobico Barbarian (2022) con protagonista maschile Bill Skarsgård, odierno ‘principe delle tenebre’ della filmografia orrorifica, per parafrasare la sua recente prova in Nosferatu

Il film ha fruttato alla Fox un’entrata di oltre quaranta milioni di dollari, solo negli Stati Uniti, al netto di un investimento di poco più di quattro milioni, passando così agli onori della cronaca come caso commerciale. 

A distanza di tre anni da quell’impresa Cregger torna ora in veste da produttore, sotto l’egida Warner, nell’ambizione di replicare quella virtuosa parabola; titolo del nuovo progetto è Companion

AI e macchine ribelli 

Debutto registico del giovane Drew Hancock, noto più come discreto sceneggiatore, il film è configurabile come thriller piuttosto che come horror in senso lato. Vanta inoltre una base produttiva ben diversa da quella di gran lunga più irrisoria nella quale si era districato Cregger (il budget gravita infatti attorno ai dieci milioni). 

Le premesse suggeriscono da subito un setting accattivante: in un futuro distopico, falsamente mascherato da realtà avveniristica, gli umani possono acquistare degli automi da compagnia, selezionandone a loro piacere caratteristiche anatomiche e intellettive. ‘Fuckbot’ è il disfemismo con cui li nomina uno dei personaggi maschili. Tutto sembra addurre un’intrigante riflessione sulle ambivalenze dell’innovazione robotica, figlie del patrimonio letterario di Isaac Asimov. 

Pare a sua volta ben coniugarsi l’intreccio cesellato dallo stesso regista, vagamente debitore del registro postmoderno alla Brian De Palma: un’innocua réunion tra coppie di amici e amiche, sullo sfondo di una sofistica tenuta lacuale, si rivela teatro di imprevisti e accadimenti adrenalinici; evento detonante è in particolare la morte di un rozzo faccendiere russo. Di lì la trama si sbriglia in uno scontro aperto e vertiginosa tra la coppia protagonista, l’affabile Josch (almeno in apparenza) e l’androide Iris, impersonata dalla granitica Sophie Thatcher (forse unico effettivo elemento di sorpresa del lungometraggio, sebbene ancora poco accreditabile come ‘rivelazione’). 

I personaggi si presentano come un’allegoria irriverente di quello che oggi, al netto soprattutto della sensibilizzazione pop sul tema, classificheremmo come una relazione tossica, prigioniera di un legame maledetto e fallacie (in questo caso orchestrato da un inerte algoritmo che innesta negli automi ricordi artificiali). 

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Copyright: © 2025 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved. Photo Credit: Cara Howe

L’intuizione non basta 

Tastare con disinvoltura più generi, interrogarsi sulle storture dell’AI e al contempo dileggiare le fragilità del ‘maschio alfa’ (con trovate spesso intelligenti, va detto): basta un ricettario così composito per gridare al ‘caso cinematografico’? 

Siamo nei fatti ben distanti dallo scenario promettente che accolse Barbarian, giacché la principale criticità del film sembra (quasi per ironia) ricondurci al tema a cui è connaturato: a tratti scialba e prevedibile, la scrittura presenta degli automatismi narrativi dozzinali, non troppo dissimili dalle prestazioni tipiche dell’intelligenza artificiale. 

Non vi è sfortunatamente alcun contrappeso nella regia di Hancock, altresì anonima e ‘di maniera’, dall’estetica talvolta più accostabile all’on demand che alla sala. Resta tuttavia il rammarico (o la curiosità) nell’immaginare un’intuizione a suo modo brillante in mani più esperte e riconoscibili: un taglio ricercato e caratterizzante alla Ti West, ad esempio, avrebbe senz’altro esaltato i molteplici punti di forza del soggetto. 

Da segnalare, per un vezzo meramente cinefilo, la curiosa presenza di Sophie Thatcher nell’ultimo MaXXXine di West (era lei la make-up artist che infarciva il viso di Mia Goth di alginato). 

La ‘final cyborg’

Merito principale di saghe come X, o come quella di Art The Clown del citato Damien Leone, sta nell’aver vivificato uno dei leitmotiv più dimenticati dell’horror contemporaneo; quello cioè della ‘final girl’, che incardina il climax sulla crescita dell’eroina protagonista in relazione alla minaccia con cui si misura (Goth è oggi il volto quintessenziale, ma non vanno certo declassate le performance di Lauren LaVera negli ultimi Terrifier, straordinaria nei suoi imprevedibili panni di cavaliera alata). 

Combinare questo tema a un’atmosfera sci-fi suggestiva, imparentata ad Ex Machina e alle opere che riflettono sui paradossi insiti all’AI (cosa definisce l’umano? etc), non era certo una scommessa scontata; una sfida meritevole di un linguaggio più incisivo

Il film, scritto e diretto da Drew Hancock, sarà al cinema a partire dal 30 gennaio 2025 distribuito da Warner Bros. Pictures.

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Companion vede tra i protagonisti Sophie Thatcher, Jack Quaid, Lukas Gage, Megan Suri, Harvey Guillén e Rupert Friend. Il film è prodotto dai filmmakers già autori di Barbarian, Raphael Margules, J.D. Lifshitz, Zach Cregger e Roy Lee. I produttori esecutivi sono, Tracy Rosenblum e Jamie Buckner.

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