Sembra sia passata una vita da quando la direttiva Case green è stata approvata dall’Unione Europea, eppure si tratta di nemmeno un anno. La direttiva ‘Prestazione energetica nell’edilizia’ è infatti entrata in vigore a fine maggio 2024, dando due anni di tempo ai singoli governi degli stati membri per presentare i piani di ristrutturazione del proprio parco edilizio nazionale.
Ricapitolando i passi della direttiva, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente l’Europa inquina e parecchio. Nel 2015 è stata il terzo produttore mondiale di gas serra dopo Cina e Usa, mentre nel 2019 si è posizionata al quarto posto di questa poco brillante classifica, dietro Cina, Usa e India.
Riscaldare e rinfrescare gli edifici richiede il 40% di tutta l’energia consumata nell’Ue e gli immobili producono il 36% delle emissioni di gas serra legate all’energia.
Partendo da questi dati è stata quindi predisposta la proposta di direttiva con lo scopo di ridurre, attraverso il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici, le emissioni dei gas a effetto serra per raggiungere, entro il 2050, un parco immobiliare a emissioni zero.
Inizialmente molto restrittiva, la direttiva è stata ammorbidita e nel dicembre 2023 il Parlamento europeo e il Consiglio europeo hanno predisposto un nuovo testo che riconosce più flessibilità ai singoli stati pur mantenendo l’obiettivo finale della neutralità climatica entro il 2050.
Da qui la pubblicazione in gazzetta della cosiddetta direttiva Case Green e le prime scadenze in vista, perché gli stati membri dovranno trasmettere alla commissione la prima proposta di piano di ristrutturazione entro il 31 dicembre 2025 mentre il primo piano nazionale di ristrutturazione degli edifici dovrà essere trasmesso alla commissione entro il 31 dicembre 2026.
Le prospettive per l’Italia
Secondo l’osservatorio congiunturale Ance, nel 2025 ci sarà un calo del 7% dei livelli produttivi nelle costruzioni, con un -2,6% del nuovo a causa della contrazione dei permessi di costruire e un -30% di riqualificato, come effetto della rimodulazione degli incentivi fiscali. Con la legge di bilancio 2025 il governo ha infatti tagliato i bonus edilizi, portandoli al 50% per il 2025 (prima casa), al 36% nel 2026 e al 30% nel 2027.
Per quanto riguarda gli edifici non residenziali, anche in questo caso le prospettive non sono rosee, visto che l’Ance prevede un +3,2% per il nuovo ma un -2,5% per la riqualificazione.
Bene le opere pubbliche, grazie all’iniezione di fondi dal Pnrr.
Le prospettive per la riqualificazione del parco immobiliare, almeno per il 2025, non sono quindi rosee, perché fondamentalmente mancano gli incentivi economici per farlo. Il tutto si intreccia con la difficoltà degli italiani a comprare casa nelle grandi città.
Ance stima che 10 milioni di famiglie italiane con reddito inferiore a 24mila euro non possono permettersi un’abitazione. Per pagare il mutuo si arriva a spendere metà del proprio reddito e , per i meno abbienti, anche un terzo, con Milano, Roma e Firenze che guidano la classifica delle città dove acquistare casa è un salasso.
E un salasso per il governo è arrivato dal Superbonus: 100 miliardi di euro netti calcolati da Bankitalia che, secondo Enea hanno dato comunque frutto, perché nel 2023 in Italia sono stati realizzati nuovi risparmi energetici per oltre 3,6 Mtep, pari ai consumi elettrici complessivi del Lazio e della Toscana.
Il risparmio è stato generato grazie a progetti avviati dal 2021 con il supporto delle misure per ottemperare agli obblighi della Direttiva europea sull’efficienza energetica ed equivale al 92% dell’obiettivo fissato per il solo 2023 dal Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima).
Il risparmio energetico raggiunto non basta naturalmente per rispondere alla direttiva Case green, alla luce anche di un recepimento che, secondo il governo, non può essere attuato nel territorio italiano.
Il ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto aveva infatti commentato la direttiva con queste parole: “La direttiva sulle Case Green approvata in Parlamento europeo è insoddisfacente per l’Italia. Anche nel Trilogo, come fatto fino a oggi, continueremo a batterci a difesa dell’interesse nazionale”. “Non mettiamo in discussione gli obiettivi ambientali di decarbonizzazione e di riqualificazione del patrimonio edilizio, che restano fondamentali. Manca però in questo testo una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri Paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come ‘bene rifugio’ delle famiglie italiane”.
“Individuare una quota di patrimonio edilizio esentabile per motivi di fattibilità economica – prosegue Pichetto – è stato un passo doveroso e necessario, ma gli obiettivi temporali, specie per gli edifici residenziali esistenti, sono ad oggi non raggiungibili per il nostro Paese”.
“Nessuno – aveva chiarito– chiede trattamenti di favore, ma solo la presa di coscienza della realtà: con l’attuale testo si potrebbe prefigurare la sostanziale inapplicabilità della direttiva, facendo venire meno l’obiettivo ‘green’ e creando anche distorsioni sul mercato”. “Forti anche della mozione approvata dal nostro Parlamento agiremo per un risultato negoziale che riconosca le ragioni italiane”.
Al di là della visione resta comunque il nodo legato agli interventi necessari per rispondere alla direttiva e, soprattutto, al denaro per attivarli.
Tasso di ristrutturazione almeno al 3%
Per capire a che punto si è oggi con direttiva in Italia, la Fondazione nazionale dei commercialisti ha realizzato uno studio che spiega nel dettaglio la situazione attuale e che sottolinea come il piano nazione debba prevedere una rassegna del parco immobiliare, una tabella di marcia con obiettivi stabiliti a livello nazionale ed indicatori di progresso misurabili, una panoramica del fabbisogno di investimenti, le soglie per le emissioni operative di gas ad effetto serra e per il consumo annuo di energia primaria stabilite per gli edifici a emissioni zero, per gli edifici nuovi e per quelli ristrutturati.
Secondo i commercialisti, partendo dall’incipit che “tutti gli edifici nuovi dovrebbero essere a emissioni zero, e tutti gli edifici esistenti dovrebbero diventare a emissioni zero entro il 2050”, occorre prendere atto che quasi il 75% dei fabbricati esistenti è inefficiente in base alle norme edilizie vigenti e l’85-95 % di essi sarà ancora in piedi nel 2050.
Il tasso ponderato annuo di ristrutturazione energetica è persistentemente basso, intorno all’1%, determinando un tempo troppo lungo rispetto agli obiettivi della Direttiva.
Occorre pertanto promuovere e sostenere la ristrutturazione degli edifici al fine di arrivare a un tasso di ristrutturazione di almeno il 3%.
L’accesso a sovvenzioni e finanziamenti adeguati è fondamentale per conseguire, entro il 2030 e il 2050, gli obiettivi di efficienza energetica previsti, e ciò anche al fine di ridurre il numero delle persone che vivono in condizioni di povertà energetica.
Per raggiungere tale scopo i commercialisti consigliano di promuovere la concessione di prestiti ipotecari con garanzie sociali per ristrutturazioni immobiliari la cui efficienza energetica sia certificata, di favorire gli investimenti pubblici in un parco immobiliare efficiente sotto il profilo dell’energia, ad esempio con partenariati pubblico-privato o contratti di rendimento energetico, di far sì che gli stati membri forniscano garanzie agli istituti finanziari al fine di promuovere prodotti finanziari, sovvenzioni e sussidi mirati e di introdurre mutui ipotecari verdi e prestiti verdi al dettaglio.
Un costo di 180 miliardi di euro
Quanto può costare all’Italia recepire e tradurre in realtà la direttiva Case green? Circa 180 miliardi di euro. Tanto costerebbe stando a un modello elaborato ad hoc da Energy&Strategy della School of management del Politecnico di Milano.
Una cifra comparabile con quanto è stato speso nell’ultimo triennio tra superbonus, ecobonus e bonus casa, ma che per essere efficace dovrebbe essere “spalmata” su un numero davvero molto più ampio di edifici, in particolare quelli nelle peggiori condizioni appartenenti alla classe G, che sono circa 5 milioni (il 40% dell’intero parco immobiliare italiano) e andrebbero adeguati per quasi la metà
Chi fa da sé fa per tre
In un contesto dove i cittadini sono poco informati (oltre il 60% dei committenti è scarsamente informato sulla Direttiva “Case Green”, mentre oltre il 30% non ne sa nulla – indagine Cortexa), c’è chi si è mosso in autonomia.
La Commissione europea ha infatti deciso di registrare l’iniziativa HouseEurope! Power to renovation, un progetto che vuole creare incentivi che rendano la ristrutturazione e la trasformazione degli edifici esistenti la nuova norma e un percorso comune.
L’obiettivo è preservare case e comunità, garantire un’industria edile più equa e locale, risparmiare energia e risorse e preservare i nostri ricordi e le nostre storie. Perché “la demolizione degli edifici esistenti è obsoleta come lo spreco alimentare, la sperimentazione sugli animali, il fast fashion e la plastica monouso”.
Per raggiungere questi obiettivi, i promotori richiedono un diritto al riutilizzo degli edifici esistenti basato su tre pilastri fondamentali: sgravi fiscali per lavori di ristrutturazione e materiali riutilizzati, regole eque per valutare sia i potenziali che i rischi degli edifici esistenti e nuovi valori per la CO2 incorporata nelle strutture esistenti.
Il progetto ha un sito ufficiale e da febbraio 2025 è possibile aderire. Se la voce diventerà importante, l’Ue dovrà ascoltarla e, a conti fatti, si tratta dell’unica che si è fatta concretamente sentire finora, a quasi un anno dalla pubblicazione della direttiva.
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