L’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca segnerà la fine della lotta al cambiamento climatico? E che senso ha proseguirla, se nel 2024 la temperatura media globale ha già sforato l’aumento limite di 1,5 gradi? Queste sono due delle cinque domande che abbiamo rivolto a Nicola Armaroli, nella seconda puntata della rubrica “Fuoco Amico”. Potete vederla sul nostro canale YouTube. Lo scienziato, direttore di ricerca del CNR di Bologna e autore di best seller sul tema della transizione energetica, risponde con un “no” convinto alla prima e un “sì” dai toni accorati alla seconda.
Trump non riuscì a bloccare la transizione energetica in America durante il precedente mandato e, secondo Armaroli, non riuscirà a bloccarla nemmeno in questo. «Ora è il momento delle chiacchiere, e lui ne spara una al giorno. Ma la realtà è tutt’altra cosa. Può spronare quanto vuole i petrolieri a trivellare e a pompare petrolio. Il petrolio, però, devono venderlo. E nel mondo ne servirà sempre meno».
Groenlandia senza ghiacci? Una catastrofe che Trump vuole sfruttare: un cinismo da brividi
La rivendicazione sulla Groenlandia, che sarebbe ricca di minerali preziosi? «Molti studi confermerebbero che l’isola più grande al mondo nasconde, sotto chilometri di ghiacci, immense risorse minerarie. Oggi è impossibile cercarle ed estrarle. Ma i ghiacciai si stanno sciogliendo al ritmo di molti chilometri cubi all’anno. Presto, andando avanti così, potrebbe affiorare il suolo. Per il Pianeta sarebbe una catastrofe: pensare che qualcuno sia così cinico da progettare di approfittarne fa semplicemente venire i brividi».
Solo 70 nuove centrali nucleari nel mondo. Tante in Cina, dove sulle rinnovabili investono 50 volte di più
L’energia fossile sarà rimpiazzata dalle centinaia di nuove centrali nucleari oggi in costruzione, come sostiene Chicco Testa su Il Foglio? «Dove sta scritto che sono centinaia? Oggi sono meno di 70 e per l’85% con tecnologia russa o cinese – risponde lo scienziato–. Tuttavia la stessa Cina, che ne sta costruendo più di tutti, installa 50 elettroni di rinnovabili per ogni elettrone di nucleare. Vogliamo scherzare?»
La transizione verso l’energia pulita e rinnovabile, insomma, è per Armaroli un trend ormai consolidato a livello mondiale. Scienza e tecnologia, semmai, stanno ora sviluppando nuove soluzioni che la rendano più efficiente, veloce, accessibile. Due domande, infatti, riguardano la tecnologia dei “fire bricks” e quella del metano sintetico.
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Nicola Armaroli giudica l’opzione dei “fire bricks” (pietre refrattarie capaci di immagazzinare grandi quantità di energia sotto forma di calore) «credibile sotto il profilo teorico, ma di improbabile realizzazione». Potrebbe servire ai processi industriali che richiedono altissime temperature (cemento, siderurgia, chimica) ma i numeri in ballo sembrano fisicamente incompatibili con forme di stoccaggio tanto ingombranti e voluminose.
Non illudiamo i cittadini su soluzioni miracolose che funzionano in teoria, ma sono ancora molto lontane
Armaroli crede di più al metano sintetico, prodotto dalla combinazione di idrogeno verde e CO2 sequestrata. Studi avanzati ci sono, e ci sta lavorando proprio un team del CNR. Ma anche qui problemi tecnologici legati alle alte temperature che compromettono il catalizzatore non hanno ancora trovato una soluzione economicamente sostenibile su scala industriale.
«Stiamo attenti – sintetizza Armaroli – ad illudere l’opinione pubblica spacciando come cosa fatta tante soluzioni che funzionano in teoria ma sono ancora lontane da un impiego di massa». Il riferimento è ai piccoli reattori nucleari SMR, che pure sono già entrati nei nuovi piani energetici del governo pur essendo ancora sulla carta. «Per fortuna – aggiunge – il governo ha avuto il buon senso di specificare, nel decreto che riapre al nucleare, la condizione che sia realizzato con fondi privati. Staremo a vedere se l’Italia riuscirà ad attrarre 200 o 300 miliardi di investimenti. Io ho qualche dubbio».
Inseguire soluzioni miracolose ancora futuribili rischia solo di ritardare la diffusine di quelle già mature, già disponibili e già capaci di rallentare, stabilizzando le emissioni di gas climalteranti, la corsa del Global Warming. Cioè fotovoltaico, eolico, idroelettrico. Aver sfondato l’anno scorso la soglia limite di più 1,5 gradi rispetto all’era pre industriale è un drammatico richiamo all’urgenza dell’azione climatica, ma non è la certezza di una battaglia perduta.
Possiamo farcela, ma non c’è tempo da perdere: ogni mezzo grado di aumento della temperatura cambia in peggio il nostro mondo
«La temperatura media del 2024 ci deve allarmare – risponde Nicola Armaroli -. Ma in termini climatici dobbiamo considerare la media decennale; non è detto che il decennio si chiuda oltre la soglia dei più 1,5 gradi. E se anche fosse, le conseguenze per il Pianeta sarebbero ben diverse fra 1,5 e 2 o 2,5 gradi di aumento. Salendo di ogni mezzo grado, si prospetta un mondo completamente diverso. Consiglio di leggere “Sei Gradi” di Mark Lynas, un libro del 2008 che descrive con rigore scientifico le conseguenza, grado per grado della temperatura, fino a quota 6 gradi, quando scomparirebbe la vita sulla Terra».
Conclusione: «La stabilità climatica è fondamentate. Abbiamo gli strumenti per ritrovarla. Dobbiamo fare di tutto per riuscirci».
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