La sequenza dei tasti venne introdotta nel 1873 per evitare la marmellata di caratteri. Ma non è la migliore soluzione per battere velocemente i testi. Perché né i computer, né i social sono riusciti a correggere l’errore?
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C’è una storia tutti i giorni sotto i nostri occhi, anche in questo preciso istante, che spiega l’irrazionalità della società umana meglio di qualunque esempio: guardate in alto a sinistra sulla vostra tastiera del computer, del laptop, dello smartphone. Vedrete una sequenza talmente diffusa da essere diventata lo stesso nome dato a battesimo al tipo di tastiera: QWERTY.
Dall’alto a sinistra in basso le tastiere occidentali sono pressoché tutte uguali:
QWERTYUIOP
ASDFGHJKL
ZXCVBNM
Fino a qui tutto è noto. La tastiera QWERTY divenne famosa anche negli anni (gloriosi) del Blackberry, il vero primo smartphone che ha trasformato il telefono da tecnologia per parlare a strumento per scrivere. Erano gli anni rampanti delle email a tutte le ore del giorno e della notte. Una sbronza tecnologica dalla quale non ci siamo più ripresi per molti versi, anche se ora alla posta elettronica si è sostituita l’attività sui social.
Ma non è questo il tema. La domanda da porsi è: come mai questa è la sequenza di lettere che ha monopolizzato le tastiere? E perché? La storia della tastiera QWERTY è il miglior esempio per capire come non sia vero che a prevalere è, razionalmente, sempre l’innovazione migliore. Anzi.
L’aneddoto sulla nascita del QWERTY, che potrebbe apparire superficiale, è al contrario talmente importante da essere riportato anche da Jared Diamond nel famoso libro “Armi, Acciaio e Malattie” (qui potete trovare la mia video-intervista per il Corriere allo stesso Diamond nel 2020).
“Questo libro, e probabilmente ogni altro documento stampato che vi sia capitato sotto gli occhi, è stato battuto su una tastiera di tipo QWERTY. Può sembrare incredibile – scrive Diamond – ma questa disposizione di tasti fu disegnata nel 1873 in modo da essere apposta irrazionale. E’ progettata in modo da rallentare il lavoro di chi la usa, perché ad esempio le lettere più comuni sono distanti fra loro e concentrate sul lato sinistro”.
Per capire Diamond bisogna conoscere la preistoria della macchina da scrivere, con tutte le sue incertezze. E un nome: James Densmore, accreditato talvolta, insieme a diversi componenti della sua famiglia, dell’invenzione stessa della prima macchina da scrivere commercializzabile. In realtà Densmore era il finanziatore della start up. Oggi lo chiameremmo il venture capitalist che finanziò il lavoro di persone come l’editore Christopher Latham Sholes, imponendo però il proprio nome al prodotto. Il primo negozio delle Densmore Typerwriter fu aperto nel Milwaukee, Wisconsin. Stati Uniti.
La preistoria della macchina da scrivere
Le origini della macchina da scrivere sono riportate in un famoso paper pubblicato nel 1985 da Paul A. David, “Clio and te Economics of QWERTY”, su The American Economic Review. Paul A. David è lo stesso autore di un altro citatissimo paper: “The Dynamo and the Computer: An Historical Perspective on the Modern Productivity Paradox” (stessa rivista, 1990).
Il riferimento del titolo è a una altrettanto famosa battuta del premio Nobel per l’Economia Robert Solow: “Vediamo i computer ovunque tranne che nelle statistiche sulla produttività”. Siamo sul serio più produttivi immersi in tutta questa tecnologia? Oltre 30 anni dopo il paradosso non ha ancora una risposta certa.
Per certi versi, anche se l’autore non lo espresse chiaramente, la risposta al mistero della produttività potrebbe trovarsi proprio nell’Economia della tastiera QWERTY.
Le prime macchine da scrivere datate 1867 (anno in cui Sholes, con gli amici Carlos Glidden e Samuel W. Soule, depose la richiesta di brevetto) non permettevano di vedere ciò che veniva stampato sul foglio di carta. La tastiera era stata posta, razionalmente, in ordine alfabetico. Ma a causa della meccanica delle bacchette il risultato era una marmellata di lettere a caso di cui ci si rendeva contro troppo tardi.
Il gruppo di “padri” della macchina da scrivere impiegò 5 anni, con il metodo del “prova, sbaglia e riprova”, a sistemare in maniera “ottimale” la tastiera. Inutile dire che una qualunque intelligenza artificiale oggi impiegherebbe pochi secondi a risolvere il dilemma. Il risultato fu la tastiera QWERTY. Nel 1873 Densmore cedette i diritti della macchina alla E. Remington and Sons, i produttori di armi. Uscì così la Remington 1 nello stesso 1873. Se guardate qualunque macchina da scrivere vedrete che è una QWERTY o, in pochi casi, una sua variante, la QZERTY.
Le prime macchine costavano 125 dollari. Una cifra folle per l’epoca. La crisi degli anni Settanta dell’Ottocento portarono la società quasi alla bancarotta. Nel 1881 vennero prodotte solo 1200 unità e si pensò che non sarebbero mai decollate (lo stesso errore di valutazione che si fece con i primi personal computer laddove società come Ibm o Hewlet Packard pensarono che le vendite sarebbero rimaste ferme a poche migliaia di unità, un oggetto per hobbisti).
Da sapere che bisognerà attendere il 1908 e la Remington 10 per risolvere il problema di una architettura che permettesse di vedere la porzione del foglio su cui si stavano imprimendo le lettere.
QWERTY divenne insomma lo standard.
Ma è la migliore disposizione dei tasti?
No. Come scritto da Diamond sarebbe stata pensata addirittura per rallentare il lavoro del dattilografo.
Secondo altre versioni della storia venne scelta per colpire gli acquirenti perché permetteva ai commerciali dell’azienda di scrivere molto velocemente la parola TYPERWRITER.
La storia dell’innovazione QWERTY è interessante perché permette di raccontare la testardaggine di un errore.
Una storia sfortunata quella di Dvorak, innovatore dimenticato
Nei primi anni Settanta, con l’arrivo dei computer e la completa scomparsa del problema meccanico, qualcuno ricordò che nel 1932 August Dvorak aveva inventato la DSK, (Dvorak Simplified Keyboard). Nel 1940 la Marina americana aveva potuto sperimentare che i tempi di addestramento con la nuova tastiera erano notevolmente inferiori. La stessa Apple convertì l’Apple IIC alla tastiera DSK pensando di usare la maggiore efficienza come un punto di forza commerciale.
Niente. Nessuno è mai riuscito a cambiare lo standard che avete sotto gli occhi e che secondo le statistiche ci fa perdere fino al 40% del tempo rispetto a una disposizione migliore dei tasti. Potremmo pensare che la lobby dei dattilografi è stata una delle più potenti del Novecento. Dvorak morì nel 1975 con questa convinzione.
Per certi versi è un bene che sia prevalsa l’inefficienza considerando che le parole sono delle armi, come ricorda anche Diamond sottolineando che le civiltà che hanno dominato la scrittura l’hanno usata anche per dominare gli altri popoli (pensate all’efficienza del sistema postale dell’Impero romano usato per dividere e governare): pensate quante sciocchezze in più si potrebbero scrivere oggi sui social network e in quanto meno tempo. Anche il populismo è ormai dominato da rapidi tweet.
Diamond avrebbe potuto intitolare il suo libro: Armi, tastiera QWERTY e malattie.
Nel Conte di Montecristo Alexandre Dumas, descrivendo il telegrafo, fa dire a uno dei protagonisti che la nuova tecnologia renderà gli uomini che la controllano più forti di Napoleone con la sua spada (ne scrivevo qui: Fake news sulla Rete: c’erano già nel Conte di Montecristo).
La storia della resilienza dell’errore QWERTY dimostra come il comportamento umano e le abitudini siano fattori altrettanto importanti rispetto alla razionalità e anche all’efficienza tecnologica e culturale. Inoltre dimostra che non sempre sia la migliore innovazione a prevalere, una lezione che dovrebbe tornare utile per domandarsi oggi quale sarà il sistema di LLM, cioè intelligenza artificiale generativa di testi, che prevarrà. Con un dubbio: ma l’AI ragiona in formato QWERTY?
La macchina da scrivere in Cina
Post Scriptum: la macchina da scrivere nel Novecento ebbe un successo senza limiti, ma non in Cina, dove la complessità e la numerosità dei caratteri non la rendevano efficiente per scrivere. Solo con l’arrivo dei computer (e la semplificazione dei logogrammi) lo scoglio venne saltato con un balzo. Secondo questo ragionamento riportato indietro di secoli fu per questo motivo che fu l’Occidente a inventare una stampa a caratteri mobili efficiente sebbene la Cina già dai tempi di Marco Polo, tra il Milleduecento e il Milletrecento, possedesse tutti i singoli pezzi della tecnologia: la stampa, i caratteri e la carta.
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