Sentenza della Corte di Cassazione sull’impatto dei vincoli espropriativi nella compravendita di terreni

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Francesco Calabria


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Con sentenza n. 13435 del 15 maggio 2024, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata su una questione di notevole rilevanza per le operazioni di sviluppo immobiliare, ossia l’impatto dei vincoli espropriativi sulla compravendita di terreni.

Nel 2011, le parti del giudizio stipulavano un preliminare di compravendita, con il quale il promittente venditore si impegnava a vendere alcuni terreni siti nel Comune di Verona, all’epoca aventi destinazione d’uso agricola, al promissario acquirente, prestando ampie garanzie in merito alla libertà degli stessi da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli.

Il prezzo del terreno veniva fissato in Euro 55/mq (successivamente incrementato ad Euro 68/mq), ampiamente superiore al valore delle aree agricole nella zona di riferimento (Euro 7/mq), stante il collegamento ad un’allora imminente operazione di sviluppo urbanistico che coinvolgeva un’area adiacente. Il promissario acquirente versava una caparra confirmatoria di Euro 100 mila.

Ad aprile del 2012, veniva presentata al Comune di Verona una richiesta di modifica della destinazione urbanistica. Tuttavia, nel 2013, il Comune stesso approvava una variante alla viabilità dell’area, la realizzazione del cui tracciato avrebbe gravemente compromesso la fruibilità dell’area oggetto del preliminare, assoggettandola a vincolo preordinato all’esproprio.

Il giudizio di primo grado. Il promittente venditore, scaduti i termini per l’esecuzione del preliminare, invitava il promissario acquirente a procedere alla stipula del definitivo; per tutta risposta, il promissario acquirente contestava al promittente venditore l’inadempimento al preliminare, recedendo ex art. 1385 c.c. e richiedendo il pagamento del doppio della caparra versata. Detto recesso veniva contestato dal promittente venditore e veniva così instaurato dal promissario acquirente il giudizio di primo grado, ad esito del quale il Tribunale escludeva ipotesi di inadempimento (tanto dell’una che dell’altra parte), sostenendo che la situazione amministrativa dell’area (come accertata mediate CTU) era ancora di natura provvisoria, non essendosi cristallizzata alcuna modifica tale da giustificare lo scioglimento del vincolo contrattuale.

L’appello. La pronuncia di primo grado veniva appellata dal promissario acquirente; il promittente venditore proponeva appello incidentale. La Corte d’Appello, rigettando l’appello principale e accogliendo parzialmente quello incidentale, sottolineava come nessun inadempimento potesse essere attribuito al promittente venditore appellato. Quest’ultimo, infatti, era vincolato da un contratto che prevedeva esclusivamente l’obbligo di non vendere i beni fino alla stipula del contratto definitivo entro una certa data. Il contratto preliminare stipulato nel 2011 prevedeva infatti la vendita a un prezzo fissato e definiva l’obiettivo di non vendere fino alla stipula successiva. A quel tempo, la garanzia circa la libertà dei terreni da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli era stata rispettata, in quanto il primo atto amministrativo suscettibile di imprimere una diversa destinazione all’area era del 2013 e tale possibilità di diversa destinazione rientrava nella normale alea contrattuale, del tutto prevedibile utilizzando l’ordinaria diligenza. Sanciva quindi la legittimità della richiesta di risoluzione per inadempimento formulata dal promittente venditore, che era quindi legittimato a ritenere la caparra di Euro 100.000 a suo tempo ricevuta.

La sentenza di Cassazione. L’originario promissario acquirente ricorreva per Cassazione avverso la pronuncia della Corte d’Appello, con un ricorso affidato a sei motivi. La pronuncia di legittimità, accogliendo due dei motivi proposti, metteva in risalto l’operatività dell’istituto della “presupposizione” (o condizione implicita).

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Secondo consolidata giurisprudenza, si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto – comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere obiettivo – essendo il suo verificarsi indipendente dalla loro volontà e attività – e certo – sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo da assurgere a fondamento – pur in mancanza di un espresso riferimento – dell’esistenza ed efficacia del contratto (ex multis, cfr. Cass. Civ., sez. un., 20 aprile 2018, n.9909).

Nel caso di specie, era chiaro l’intento speculativo perseguito dal promissario acquirente, che trovava riflesso nel prezzo pattuito tra le parti, di fruire di un terreno potenzialmente utilizzabile a scopo edificatorio, nel quadro di un complessivo sviluppo edilizio di un’area più vasta, che sarebbe stato impedito dal vincolo espropriativo ad esso apposto.

A tale riguardo la Corte, come l’imposizione di un vincolo preordinato all’esproprio, pur non incidendo immediatamente sulle facoltà di godimento e disposizione del proprietario (dovendo essere necessariamente seguito dalla futura ed eventuale attuazione della procedura espropriativa), non può essere considerato irrilevante nel quadro della ricostruzione della causa in concreto sottesa al contratto preliminare con cui il proprietario si impegna a cedere quello stesso bene. La pronuncia evidenzia, infatti, come l’eventuale decadenza di un vincolo preordinato all’esproprio possa lasciare un’area senza regolamentazione urbanistica, richiamando il regime delle cd. “aree bianche” di cui alla Legge 10/1977. In queste zone, non si ottiene automaticamente il riconoscimento di edificabilità dell’area, ma è necessario valutare la funzionalità e integrazione dell’area con quelle circostanti già destinate all’edificazione.

Sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale circa l’impatto, sui contratti di compravendita immobiliare (preliminari e definitivi), dei casi in cui, successivamente alla relativa stipula, la Pubblica Amministrazione abbia proceduto alla modifica delle caratteristiche urbanistiche del bene, sì da determinare un’imprevedibile riduzione o eliminazione delle sue potenzialità edificatorie, per tale via determinando l’applicazione dell’istituto della presupposizione, con richiamo ai seguenti principi di diritto:

Con riguardo a preliminare di compravendita di terreno, la circostanza che il terreno medesimo, contrariamente alle aspettative del promissario acquirente, risulti inedificabile, può abilitare quest’ultimo a chiedere la risoluzione ex tunc del rapporto, in applicazione dell’istituto della cosiddetta presupposizione, solo se si tratti di inedificabilità sopravvenuta alla conclusione del contratto e se inoltre l’edificabilità del fondo sia stata tenuta presente da entrambi i contraenti quale presupposto oggettivo per la formazione del consenso (alla stregua di una globale ricostruzione della loro volontà e senza che si richieda un espresso riferimento a detto presupposto nelle clausole negoziali)” (Cass. Civ., Sez. 2, 17 aprile 1991, n. 13578).

“La presupposizione (o condizione non svolta) è configurabile quando dal contenuto del contratto risulti che le parti abbiano inteso concluderlo soltanto subordinatamente all’esistenza di una data situazione di fatto che assurge a presupposto della volontà negoziale, la mancanza del quale comporta la caducazione del contratto stesso, ancorché a tale situazione, comune ad entrambi i contraenti, non sia fatto espresso riferimento (nella specie, trattavasi di vendita immobiliare stipulata sul presupposto comune di entrambi i contraenti della edificabilità del terreno compravenduto e destinato invece dal programma di fabbricazione comunale in parte a zona agricola ed in parte a zona di rispetto stradale e di servizi pubblici)” (Cass. Civ., Sez. 2, 11 agosto 1990, n. 8200).

La Suprema Corte, dunque, cassa la pronuncia impugnata e rinvia gli atti alla Corte d’Appello, per un ulteriore approfondimento sulla realizzabilità del programma contrattuale, così come risultante dai termini e condizioni del contratto preliminare.

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Considerazioni e conclusioni. La pronuncia in commento aggiunge un ulteriore angolo visuale circa l’impatto dei vincoli espropriativi sul valore ed utilizzabilità dei terreni e, pertanto, sulla sorte dei contratti connessi alla loro circolazione. Difatti, benché la Cassazione riprenda un orientamento giurisprudenziale consolidato, i precedenti cui la pronuncia fa riferimento attengono sostanzialmente ai casi in cui vi sia un mutamento della destinazione urbanistica del terreno, tale da determinarne l’inedificabilità, mentre nel caso in esame viene in rilievo appunto la diversa ipotesi del vincolo preordinato all’esproprio.

Ebbene, nonostante detto vincolo abbia, per sua natura, carattere di provvisorietà e temporaneità – avendo la funzione di salvaguardare l’interesse pubblico ad esso sotteso, nelle more del completamento della procedura espropriativa – esso può comunque influenzare negativamente le aspettative dell’acquirente, frustando la fattibilità dell’operazione economica dedotta in contratto.  

È fondamentale, pertanto, che chi opera nel campo delle operazioni immobiliari tenga conto di tali aspetti nella determinazione degli aspetti contrattuali delle compravendite, considerando attentamente le potenziali implicazioni delle sopravvenienze urbanistiche e, ove possibile, disciplinandole compiutamente a priori nel regolamento negoziale, in modo tale da prevenire possibili fonti di contenzioso.

 



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