Se la sinistra è solo un salotto pieno di amenità

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“Siamo due rivoluzionari, caro mio, come Sce Guevara!”

“Chi?”

Sce Guevara!”

“E chi è?”

“Non lo so, uno che fa magliette…”

Questa formidabile scena dei comici siciliani Ficarra & Picone, prendendo a pretesto la figura del nobile rivoluzionario Che Guevara (sicuramente più nobile dell’astuto Fidel), ci spiegava, in realtà più in profondità, il vero problema di certa sinistra italiana. Si aderisce a un mito, spesso storicamente inesatto e non sufficientemente studiato, come pretesto per parlare sempre di altro, di qualcosa che riguardi sempre un mondo diverso che neanche si immagina, fors’anche, tutto sommato, banalmente parossistico.

Ne vedo tanti oggi, per strada, nei capannelli di amici e conoscenti che si fermano a commentare la “giornata della Memoria” e anche sui social. Fino all’incredibile situazione per cui, anche gente formalmente preparata, appone in bacheca o contrappone dialetticamente la bandiera del povero popolo palestinese. Come se la condanna dell’attuale governo israeliano possa mai giustificare che a difendere il popolo palestinese sia un’organizzazione ferocemente terroristica come Hamas.

Oggi, infatti, non si celebrava semplicemente la Shoah, la memoria dello sterminio di un popolo, quello ebraico, ma i presupposti ideologici di quella tragedia, che sono più ampi persino delle sue dimensioni numeriche.

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Insomma, è chiaro che, per comodità di discorso (e di comunicazione) si parli di sterminio degli ebrei, di Olocausto, di Shoah, per l’appunto, ma quello che si ricorda, a differenza di altri genocidi perpetrati anche nella storia recente, è che per la prima volta nella nostra modernità, circa metà del mondo aveva ritenuto accettabile che un gruppo di pazzi dichiarasse e procedesse alla luce del sole allo sterminio di uomini, donne e bambini, sulla base di una loro appartenenza a un gruppo non meglio definito: fossero essi ebrei, nomadi slavi, omosessuali, popoli romanì, europei di colore, disabili e dissidenti di sorta.

Facendo un parallelo neanche tanto azzardato, è come se oggi si confondesse il problema della “violenza di genere” con il genere in sé (al quale ci si riferisce per delimitare il campo della priorità dell’emergenza in atto) e non con la tragedia della violenza di base. E, dopotutto, ieri come oggi, a livello storico o semplicemente securitario, il problema parte sempre dalla convinzione atavica che occorra sempre trovare un acerrimo nemico da abbattere in ogni modo per ritrovare quella sicurezza di pensiero che, in realtà, non abbiamo: la moglie o la compagna che sfugge, un gruppo sociale che non ci ubbidisce o che non aderisce alle nostre convinzioni, una figura polemica che mette in discussione il pensiero di massa.

E anche nella nostra Marsala ne ho avuto oggi un esempio più che lampante, a dire il vero assai più innocuo ma non meno equivoco ed equivocato.

Qualche giorno addietro leggevo sulla comunicazione locale che oggi ci sarebbe stata, in quel di Digerbato, l’apposizione di una pietra di inciampo in memoria del marsalese Vincenzo Alagna, giovane partigiano ucciso dai nazifascisti a soli vent’anni, con altri 67 vittime, a Fossoli, nel modenese.

“Pietra d’inciampo”, dicevo, qualcosa che solo in altri luoghi, come Roma, dove ho vissuto per circa 26 anni, avevo visto e che infatti in Sicilia conta solo altri tre esempi: Palermo, Geraci Siculo e Caltanissetta. E, da convinto repubblicano di sinistra, sin da ragazzo, ho preso la mia macchina per presenziare, seppur in disparte, alla cerimonia, pensando di trovare i tanti che, più o meno sinceramente, sento spesso blaterare di diritti, libertà, pace, giustizia e memoria nella mia adorata città. Magari i vecchi amici e conoscenti di sinistra, più o meno politicamente impegnati, magari in Consiglio comunale.

Ma nulla, a parte gli indefessi portatori della bandiera dell’Anpi, nessuno di quella società civile marsalese che poi spessissimo sento sbandierare l’appartenenza a quella metà del cielo che dovrebbe essere la stessa nella quale sono cresciuto. Ma d’altronde, a ben pensarci, neanche da piccolo li vedevo, che ne so, a Portella delle Ginestra, quando, al seguito di mio padre e centinaia di umili lavoratori, si commemoravano le povere vittime di un misto di violenza criminale e padronale.

Oggi, però, c’era il Sindaco, con la sua fascia tricolore, a fare le veci di una (parte) di città troppo spesso distratta, e molti abitanti di quelle contrade di cui spesso ci dimentichiamo. Oltre alla gioia di una mezza dozzina delle vicine scolaresche con dei bambinetti che chiedevano in continuazione perché qualche “uomo cattivo avesse fatto del male a quel signore in foto”, in realtà un giovane contadino marsalese che, suo malgrado, era stato chiamato dalla Storia a farsi eroe di un sentimento che non era e non è una targa ma una testimonianza quotidiana di sacrificio.

Non c’eravamo “noi” di questa fantomatica sinistra marsalese, i quali neanche il sacrificio di rubare un paio d’ore al nostro lavoro, alla nostra professione, alla nostra partitella di padel, abbiamo saputo compiere per confermare che un nostro avo non fosse morto invano. C’era il sindaco, sì. E oggi questo sindaco (che, per quel che posso, proverò personalmente a pungolare, anche schiettamente, come ho sempre fatto) si è riguadagnato la mia imperitura stima di uomo e di cittadino.

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