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NAPOLI – Raffica di misure cautelari per imprenditori e un commercialista nell’ambito di un’inchiesta della Dda fiorentina “su una consorteria criminale, con elementi di contiguità ad organizzazioni delinquenziali di matrice camorristica, che ha manifestato interessi nella regione Toscana ed operatività in Campania ed Emilia-Romagna”.

La guardia di finanza sta dando esecuzione in queste ore in Toscana, Lazio, Emilia Romagna, Veneto, Campania e Calabria, a un’ordinanza del gip del tribunale di Firenze che ha disposto nei confronti di 17 indagati sei custodie cautelari in carcere, una agli arresti domiciliari e dieci interdizioni con divieto di ricoprire uffici direttivi di persone giuridiche e imprese.
Inoltre, le fiamme gialle stanno eseguendo il sequestro preventivo, fa sapere una nota della procura di Firenze “anche per equivalente, ai fini della confisca, di beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie fino all’ammontare di circa 30.000.000 di euro”.
I reati ipotizzati: emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, indebite compensazioni, riciclaggio, e associazione per delinquere. Il gip non ha riconosciuto l’aggravante dell’agevolazione mafiosa.

L’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze – iniziata nel 2021 con la collaborazione del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Firenze e dalla Squadra Mobile della Questura di Siena, congiuntamente con il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Modena e lo S.C.I.C.O. – ha preso le mosse dall’approfondimento della posizione di un commercialista originario di Torre del Greco, con studio a Torre Annunziata e Poggibonsi.

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Saldo e stralcio

 

“Sono così emersi, spiega il procuratore capo Filippo Spiezia in un comunicato, i rapporti continuativi del professionista con pregiudicati, anche per reati di mafia nell’ambito del territorio campano, nonché con un gruppo di soggetti già coinvolti nella commissione di delitti economico-finanziari vicini ad organizzazioni criminali.

Gli approfondimenti investigativi hanno permesso di ricostruire un sistema di frode basato sull’illecito distacco di manodopera, sulle indebite compensazioni per estinguere debiti tributari e sulle cessioni di crediti fiscali inesistenti, nonché sull’emissione e l’utilizzo di fatture relative ad operazioni economiche inesistenti concatenate, realizzate da società tutte riconducibili alla consorteria criminale e strutturate su tre distinti livelli.

Il primo livello
Il primo livello, spiega la nota della Dda, era costituito dalle cosiddette «capofila», imprese utilizzate per generare flussi finanziari grazie all’esercizio di una reale attività lavorativa necessaria per garantire uno schermo di «legalità» volto a dissimulare i successivi passaggi finanziari fraudolenti realizzati grazie alla catena di false fatturazioni.

La figura societaria centrale di cui si sono serviti i componenti del sodalizio criminoso è un consorzio con sede a Pontedera (Pi) che avrebbe agito attraverso le sue consorziate stipulando contratti, leciti, con alcune società anche toscane operanti nel settore delle carni e impiegando complessivamente circa 600 persone. È emerso che, in realtà, le decisioni afferenti all’impiego della manodopera nonché i rapporti con i soci, i rappresentanti legali e di fatto delle società, i fornitori delle società consorziate erano centralizzati e facenti capo agli uffici amministrativi del consorzio stesso.

Parte del denaro derivante dagli illeciti perpetrati è stato destinato o direttamente ad affiliati ai clan di camorra di Ponticelli, detenuti nel carcere di Poggioreale, o a loro parenti, affini e conoscenti, e ad altri clan del Casertano.

«È dunque emerso che il consorzio e le proprie consorziate – spiega il procuratore capo Filippo Spiezia – hanno rappresentato lo snodo centrale di una lunga catena di fatturazione fittizia ad opera di società cartiere, disseminate su tutto il territorio nazionale, ricollegabili sempre ai membri del consorzio ed utilizzate all’unico scopo di evadere le imposte, stimate complessivamente in oltre 28 milioni di euro, e infine monetizzare i proventi illeciti provenienti dalle false fatturazioni anche attraverso condotte di riciclaggio per circa 2 milioni di euro».



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